Alberto Melloni, Corriere della sera 7/9/2009, 7 settembre 2009
IL PESO DELLA SEGRETERIA DI STATO E IL LENTO CAMBIAMENTO DEI VERTICI
I nodi intricati della Curia romana tra passato e presente
L’ attacco alla Chiesa cattolica e all’episcopato italiano ha prodotto una confusione forse perfino superiore a quella che ci si riprometteva. Può darsi che a suo tempo arrivi una parola di fede, di ravvedimento, di consolazione alla quale il clero e il popolo avrebbero diritto. Per ora, invece, l’analisi è fatta di altro: e, nonostante le smentite, molti sentono nella discrasia fra la volontà della Segreteria di Stato e quella dell’episcopato le premesse delle recenti vicende. C’è chi vede nella competizione fra cordate e carriere la causa di questi mali; c’è chi richiama il peso dei Sostituti, degli ex Sostituti e di una diplomazia vaticana diventata marginale nel campo suo; e altri ancora indicano nella figura del Segretario di Stato, il cardinal Bertone, colui al quale si devono sia le svolte sia il loro costo. Si tratta di analisi volta a volta rispettose, banalmente dietrologiche o palesemente malevole.
Ma sarebbe grave se tutto si riducesse a una poltiglia di sussurri e maldicenze, a una personalizzazione dei problemi rinunciando a cogliere lo spessore istituzionale della questione che riguarda il governo centrale della Chiesa cattolica. Nata nel 1588 dal genio di Sisto V, la Curia romana è stata il modello di una organizzazione specialistica e coerente del potere: riformata varie volte dopo il 1870, essa è ora come la sognò Papa Montini: cioè un governo politico, reclutato su scala internazionale, dove i vescovi non contano, a meno che non vengano chiamati a Roma come capi-dicastero. Declassato l’ex Sant’Ufficio, il Segretario di Stato s’è trovato ad essere ora un primo ministro di questo governo, ora un vicepapa, circondato però da porporati che sono nel loro ambito (la nomina dei vescovi, la prassi liturgica, la politica dottrinale, ecc.) primi ministri e vicepapi. Accanto ci sono le rappresentanze pontificie, le relazioni romane, le conferenze episcopali.
In questo incrocio nascono nodi che da più di settant’anni sono assai intricati. Pio XII li tagliò lasciando vacante per tredici anni il ruolo di Segretario di Stato. Sia Roncalli con Tardini, sia Wojtyla con Casaroli e Sodano, scelsero un braccio destro ai propri antipodi culturali. Paolo VI immaginò di risolverlo consegnando ai successori una possibilità – rinominare tutti i capi di Curia – che nessuno ha mai usato. Benedetto XVI ha risolto il problema nominando a capo di questa macchina il cardinal Bertone, canonista di rango, vescovo di una grande diocesi e soprattutto un amico leale di lunga data del Pontefice; col che ha però dovuto rinunciare a veder salire verso di sé gravami non sempre inutili al Papa. Per questo i problemi e le soluzioni maturano così spesso fuori dal Palazzo, alla luce accecante dei media.
Nella macchina di governo che fa capo al Segretario di Stato si producono a ritmo continuo lenti avvicendamenti: il cardinale che aveva gestito l’ affaire delle scomuniche è andato in pensione, uomini chiave della politica cinese e italiana partono da Roma come nunzi; in capo a pochi anni si dovrà nominare chi farà l’ecumenismo cattolico e colui che sceglierà i vescovi della Chiesa latina di domani. In questo lento movimento le spiegazioni personalistiche, politiciste o moraliste sono sempre sbagliate, per difetto.
La Chiesa cattolica rischia niente se il suo popolo o i suoi vertici si spostano politicamente verso un punto da cui, presto o tardi emigreranno. Non ha interessi che una politica – nemmeno una biopolitica – possa far suoi per rivendicare privilegi. Le interessa rendere il Vangelo vicino ad ogni uomo fatto di quella carne assunta e sanata dal Verbo divino. Governare questo (dis)interesse non è facile. Criticando la riforma della Curia del 1988 Eugenio Corecco, il grande canonista di Communio, aveva sentenziato con durezza che era stata fatta «senz’anima ecclesiologica ». La questione è ancora quella ed è tutta aperta.