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 2009  settembre 07 Lunedì calendario

QUEL FACCIA A FACCIA A PORTE CHIUSE


VITERBO - Cinquantacinque secondi di per sè sono pochi ma diventano inestimabili se sono in gioco equilibri tanto delicati. E così il mini ritaglio di tempo che Papa Ratzinger, ieri mattina, ha concesso al sottosegretario Letta finita la messa officiata a Viterbo, si è rivelato preziosissimo. Tecnicamente si è trattato di uno speciale saluto ad una autorità di governo, un indubbio segno di attenzione date le circostanze, comprensivo di uno scambio di battute, più che un colloquio in senso stretto; eppure è stato sufficiente a Letta per far giungere a destinazione un messaggio chiaro, e cioè che la collaborazione tra Vaticano e Governo non è in discussione. In nome della realpolitik in Vaticano si guarda avanti. Davanti al gazebo di legno bianco montato dietro il palco della messa, nello spiazzo verde della Valle Faul, proprio sotto il medievale palazzo dei Papi, il Pontiere di Palazzo Chigi è di nuovo al lavoro e attende che Benedetto XVI, in questa specie di sacrestia mobile, si tolga di dosso i paramenti liturgici indossati durante la celebrazione, per parlargli. L’anticamera è d’obbligo e Letta inganna l’attesa chiacchierando amabilmente con il capo della Gendarmeria vaticana, salutando il cardinale Vallini, monsignor Harvey e parlando fitto fitto col vescovo di Viterbo, monsignor Chiarinelli. Ad un tratto si affaccia il segretario del pontefice, don Georg. E’ il segnale. Letta varca in un baleno la soglia, la porta viene chiusa e passano quei fatidici 55 secondi d’oro, diligentemente cronometrati da chi stava di fuori. Non un secondo di meno, nè uno di più. Sottosegretario come è andata? «Ma non lo vedete il mio sorriso? Il mio sorriso dice tutto. E’ eloquente, non lo vedete? La mia serenità parla da sola nella città dei Papi». Non pare abbia una gran voglia di approfondire l’argomento, ma effettivamente ha un volto radioso. Allora perchè il cardinale Ruini, nei giorni scorsi, ha espresso preoccupazione? «Bisogna giustamente lavorare affinchè si rafforzino ulteriormente i rapporti tra Stato e Chiesa». In mano stringe due piccole custodie di raso bianco, una contiene un rosario e l’altra una medaglia, entrambi doni del pontefice. Chissà se le sue parole sono bastate a rassicurarlo nella sua doppia veste di politico e di membro della Famiglia Pontificia. Ancora una volta è a lui che il premier Berlusconi ha affidato il compito di riannodare i fili. «Il Cavaliere è dispiaciuto, non voleva tutto questo». L’affaire Boffo resta sotto traccia, argomento tanto sgradito quanto minaccioso.
In Vaticano si avverte il bisogno di minimizzare, di lasciar correre per non gettare altra benzina sul fuoco. La campagna del Giornale contro l’Avvenire non è piaciuta a nessuno e sembra difficile che non lasci cicatrici, ma in curia prevale il senso istituzionale. Nel bailamme si registrano critiche nei confronti del cardinale Bagnasco per come ha affrontato la vicenda inizialmente. A mezza voce gli si rimprovera una certa imprudenza. «Quando ha parlato, dal santuario della Guardia, condannando l’attacco a Boffo, indossava ancora le vesti liturgiche. Il che significa caricare ancora di più il peso delle parole» si sussurra. Non si può fare quadrato attorno a Boffo il primo giorno e poi al sesto lasciarlo andare via, argomentano.
«Oggi siamo qui per pregare» dice il cardinale Vallini, sorridente. «Bisogna calmare le acque». Ma è impossibile strappargli una sillaba di più. Qualche altro vescovo, a microfono spento, non esita ad accusare la stampa colpevole d’aver creato dei «ballon d’essai», ingigantendo una vicenda che poteva essere fermata per tempo. Allusione non solo a Feltri e «al suo attacco strumentale», ma non tutti la pensano così. Per Letta la mission impossible nella Città dei Papi termina verso le 13, giusto in tempo per dirigersi all’Aquila e prendere parte assieme al Capo dello Stato, Napolitano, al concerto pomeridiano di Muti nella caserma di Coppito. Anche lì a rappresentare il governo. Un’altra mission impossible.