Andrea Galli, Corriere della Sera, 6/9/09, 7 settembre 2009
COLF IN 13 FAMIGLIE, NESSUNO LA REGOLARIZZA
Si chiama Lourdes, ha 39 anni, è boliviana di Cochabamba, cittadina di pianura da mezzo milione di abitanti. Non è escluso che qualcuno di voi la conosca: in giro la si vede spesso. Lavora infatti in 13 case milanesi, e forse è un record. A Lourdes, il 13 in dote ha portato la fortuna di tutte queste famiglie che l’hanno assunta come colf e la sfortuna che delle famiglie nessuna voglia (o possa) regolarizzarla.
Martedì è partita la sanatoria per badanti e altri lavoratori domestici. Ci sono una domanda da presentare, documenti da allegare, soldi da versare. La signora Lourdes comincia da quest’ultimo capitolo: «Bisogna pagare 500 euro di contributo forfettario. Li pago io, ci mancherebbe. L’ho detto e ripetuto a tutti». Non pare sia però un problema di denaro. Un problema per le famiglie, beninteso, visto che Lourdes dice di guadagnare «sugli 800-900 euro al mese». Le famiglie, sempre ad ascoltare la signora, bassa di statura e con un’espressione decisa (ha carattere da mastino, per incontrarla bisogna mettersi in coda, attacca a lavorare alle 7 del mattino e finisce alle 7 di sera, gli intervalli di pausa sono rari e utilizzati per i trasferimenti da un appartamento all’altro), le famiglie, dicevamo, sono di cosiddetto ceto medio- alto. Ci sono un medico, un alto dirigente di banca, e via elencando.
Dimenticavamo una cosa: Lourdes ha fatto una premessa che nel colloquio presto è diventata ritornello pieno di angoscia e timore: «Mi ascolti, la prego. Io sono molto amata dai padroni, da tutti i padroni. Sono educati, gentili. Al compleanno e a Natale mi fanno i regali. Quali? Ah, vestitini, vestitini per i miei figli. D’estate mi lasciano le chiavi di casa, si fidano, io vado, controllo... Forse, è vero, tra i padroni, qualcuno poteva farmi un contratto più lungo, non so, inventarsi qualcosa per aiutarmi con la sanatoria, in queste case lavoro da anni...». a Milano da cinque anni. «Sono partita per cercare lavoro, le amiche mi avevano detto: ’Vai in Italia, vai, è un altro mondo’». arrivata con il marito, operaio in una ditta di carico-scarico merci dai camion. Senta, siamo davvero un altro mondo? «Beh, insomma. Credevo fosse meno difficile vivere».
Lourdes è una clandestina. Dalla sanatoria, per la quale c’è poco tempo (il termine ultimo è il 30 settembre), si aspettava di più. Sorride: «Avessi lavorato per un padrone soltanto... Ma tredici, tredici! Qualcuno ci avrebbe pensato a mettermi a posto, no?».
Nella sanatoria, uno dei requisiti è un contratto minimo di 20 ore settimanali. Lourdes, che ha sette figli (in Italia si è portata il maggiore e il minore, hanno 22 e 6 anni), ogni settimana lavora certo più di 20 ore, a volte il doppio, spesso il triplo; solo che non lo fa per un singolo datore di lavoro. Maurizio Bove, sindacalista della Cisl, su questa storia si sta spaccando la testa. Cerca una soluzione, e però senza tralasciare, tiene a precisare, altre quaranta donne, sempre colf o domestiche, alle prese con un’altra disperazione: i padroni, per evitare documenti e iter burocratici, le hanno già cacciate. Licenziate, abbandonate. Al posto loro, gli italiani, hanno assunto immigrate appena sbarcate, forza lavoro nuova, più ricattabile, con meno pretese, figurarsi la sanatoria.
Lourdes è colf nell’accezione tipicamente milanese del termine. Ferro da stiro, lavatrice, bucato, pulizie di arredi e stanze e pavimenti, magari un’occhiata a fiori e piante sul terrazzo, un’altra alla mamma anziana della padrona che riposa nella stanza degli ospiti, un’altra occhiata ancora al figlioletto della padrona. Insomma, le mille cose di casa dei genitori che, fuori per lavoro, stesi dalla frenesia, rimandano o non riescono a fare. In più, queste molteplici attività vanno svolte al millesimo, senza indugiare (chiusa la pratica di un appartamento bisogna passare al prossimo) e calcolando alla perfezione tempi e tragitti per gli spostamenti, dunque avendo bene in mente corse di tram e metrò, nonché le (sballatissime) coincidenze tra i mezzi pubblici.
quasi sera e Lourdes riposa a casa sua, in affitto. Oddio, riposa: mette in ordine l’armadio. Si dice grata all’Italia, dice che i soldi dello stipendio comunque vanno bene, che basta guardarsi in giro per vedere italiani precari che guadagnano meno. Essere colf non le pesa, e del resto, ammette, è nata con una vocazione («fare la casalinga») che non considera offensiva e né ha soffocato.
Lourdes non sa come andrà a finire questa storia. Spera, ovvio, che si risolva. Ma non è tanto la quotidianità da precaria che la spaventa. «Sono una clandestina. I medici posso denunciarci, giusto? Sono da cinque anni tra voi, ma non sono mai andata da un dottore, o in ospedale».