Maria Novella De Luca, la Repubblica 6/9/2009, 6 settembre 2009
Hanno intelligenze straordinarie, talenti superiori alla media, capacità eccezionali. Già a cinque, sei anni mostrano abilità particolari, le loro doti matematiche, logiche, artistiche, musicali, linguistiche, tecniche
Hanno intelligenze straordinarie, talenti superiori alla media, capacità eccezionali. Già a cinque, sei anni mostrano abilità particolari, le loro doti matematiche, logiche, artistiche, musicali, linguistiche, tecniche. Sono i bambini gifted, quelli con il "dono": in italiano vengono definiti "plusdotati", la parola genio sembra ormai desueta, troppi echi letterari e leggendari dietro quell´etichetta spesso sinonimo di vite travagliate e destini incerti. In Italia, come nel resto del mondo, si calcola che circa l´otto per cento dei bambini in età scolare abbia le caratteristiche della "plusdotazione", ma i loro talenti non sempre vengono riconosciuti, anzi spesso vengono negati o confusi. Sono decine i casi di piccoli allievi frettolosamente definiti in classe come iperattivi o affetti da disturbi dell´apprendimento, mentre la loro inquietudine si rivela poi curiosità intellettuale, impazienza creativa, intelligenza superiore. C´è chi a tre anni legge, chi a cinque suona il piano con maestria, chi scompone e ricompone oggetti con la tecnica di un ingegnere, chi si lancia in calcoli matematici da mettere in crisi un adulto, chi già pericolosamente viola i segreti del computer. E proprio il destino e le difficoltà dei "bambini prodigio" - a cui paesi come la Svezia, la Gran Bretagna, la Germania o gli Stati Uniti assicurano enormi attenzioni e risorse, sapendo che è da queste menti che può dipendere (anche) il futuro di una nazione - sono stati al centro di un convegno internazionale dell´Università di Pavia dal titolo Lo sviluppo del potenziale e i bambini di talento. Dalla famiglia alla scuola un percorso di crescita. Perché poco o nulla si fa ancora nel nostro Paese per chi mostra abilità così forti e precoci che spesso spiazzano e anzi preoccupano gli insegnanti, con la stessa logica che lascia ai margini del gruppo chi è più lento e più fragile. Così, quando invece accade il contrario, quando cioè la scuola, anzi una maestra, non solo riconosce il talento di un bambino ma coglie e valorizza il suo "dono", ecco che il nome di quella insegnante resta nel cuore e non si scorda più. Fabrizio Zanello, trentuno anni, ex studente prodigio oggi brillante matematico alla Michigan Technological University, dice ad esempio che gran parte del suo successo lo deve proprio alla sua docente delle elementari, «la maestra Vanda Mazzarello della "Maria Mazzini" di Genova». «L´anno scorso tra gli applausi di noi ex allievi è gloriosamente andata in pensione - racconta Fabrizio Zanello, approdato negli States dopo un dottorato di ricerca in Canada e un incarico al Royal Institute of Technology di Stoccolma - e sono certo che la scuola ne sentirà la nostalgia. Sono sempre stato uno studente eccellente in tutte le materie, ma con una passione spiccata per la matematica. La maestra mi spronava costantemente a coltivare il mio talento, insieme ai miei genitori, anche al di fuori dei programmi "canonici", che spesso mi stavano stretti… Ma forse la sua più grande abilità è stata quella di rendere la scuola attraente, eravamo sempre tutti felici di ritrovarci in classe e ancora oggi i miei più cari amici sono quelli incontrati da bambino alla "Maria Mazzini". Adesso vivo felicemente in America, e a Genova torno per le vacanze. No, non potrei più lavorare qui: l´Italia non valorizza i talenti, li abbandona». Perché il filo è sottile, e il "dono" da solo non basta. Anna Maria Roncoroni, psicologa, è la coordinatrice del Laboratorio di ricerca e intervento sulla plusdotazione dell´Università di Pavia, uno dei pochi centri, insieme al Mensa Italia, dedicato ai bambini gifted e alle loro famiglie. «I bimbi plusdotati hanno elevate capacità cognitive in generale, ma un talento specifico in un´area. Queste doti hanno però bisogno di opportunità per esprimersi, ed è proprio nei primi anni della scuola che bisogna dargli la possibilità di manifestarsi. Non per dare la caccia ai "piccoli geni", stressando bambini di due o tre anni con test o prove che assai poco vogliono dire. No, lo scopo deve essere quello di riconoscere le abilità particolari di un alunno e creare attorno a lui un mondo che lo stimoli. Le grandi scoperte, la storia ce lo insegna, si fanno quasi sempre entro i trent´anni. In Italia non c´è una cultura della plusdotazione, anzi nel laboratorio che abbiamo creato a Pavia ho seguito decine di famiglie arrivate da me con un referto del neuropsichiatra che diagnosticava ai loro figli diversi tipi di deficit e la conseguente prescrizione di farmaci. bastato inserire questi bambini in contesti stimolanti e i loro meravigliosi potenziali sono venuti alla luce...». Un vero paradosso di cui si parla poco, e infatti al convegno di Pavia ha partecipato anche l´associazione "Giù le mani dai bambini" che si batte perché non si diffondano anche in Italia le terapie farmacologiche per "domare" il carattere dei piccoli più irruenti. Impossibile allora non citare Albert Einstein, il cui nome compare in tutti i saggi sulla plusdotazione, paradigma del genio con un carattere che oggi sarebbe definito «problematico». Albert è un bambino chiuso, che inizia a parlare più tardi di tutti gli altri, detesta la scuola autoritaria della Germania di Bismark, colleziona pessimi risultati scolastici, e nella sua autobiografia racconta di aver cominciato a studiare l´algebra da solo a otto anni non per «brillare» in classe, ma per risolvere gli indovinelli matematici a cui lo sfidava suo zio Jakob… Certo non basta essere gitfed da piccoli per diventare degli adulti "geniali" o realizzati, come ha dimostrato nei suoi studi sui "bambini prodigio" lo psicologo americano David Feldman, dimostrando quanto l´ambiente può essere stimolante o al contrario seppellire le radici della genialità. Federico, nove anni, ad esempio, se l´è vista brutta. Straordinario lettore, dotato di una logica al di fuori del comune, a tre anni era già in rotta di collisione con l´insegnante della scuola materna, che lo teneva perennemente in castigo. «Un vero calvario - racconta oggi la mamma di Federico - tanto che proprio su insistenza della maestra e dei servizi sociali l´abbiamo sottoposto a una visita neuropsichiatrica, e il referto era stato di "iperattività". Con questo sconfortante verdetto ci siamo presentati alla scuola elementare. E per fortuna qui, dopo tre mesi, una docente seria ha ribaltato la diagnosi, dimostrandoci risultati alla mano che Federico non è affatto problematico, è soltanto straordinariamente intelligente: per questo si annoia, si distrae, in un attimo ha già capito il senso di una spiegazione, e mentre la maestra continua a spiegare lui si astrae e legge i suoi libri, corre oltre. Certo non è un comportamento ortodosso, ma la sua pagella è fatta di voti altissimi… Il mio vero desiderio è che possa esprimere le sue potenzialità restando un bambino». Perché il fulcro, come suggerisce lo psicoterapeuta Massimo Ammaniti, «non è creare classi speciali, ma percorsi ad hoc che aiutino lo studente plusdotato a far emergere il proprio talento, con la consapevolezza comunque che i bambini sono tenaci e difficilmente rinunciano alle proprie passioni». E il professor Ammaniti cita un film di qualche anno fa, Billy Elliot, la storia di un ragazzino tenace e appassionato che nell´Inghilterra depressa e machista delle miniere riesce a coronare il sogno di diventare ballerino grazie al sostegno della sua insegnante. particolare anche la storia di Cristiano, otto anni, piccolo mago dei computer, la cui mamma Simona, ex bambina prodigio «incompresa», è oggi un´operaia metalmeccanica in cassa integrazione che parla tre lingue, sa cablare la fibra ottica, ma deve fare i conti con la crisi che spazza via sicurezze economiche e posti di lavoro. «Quando in mio figlio Cristiano ho rivisto le mie stesse doti, ho deciso che il suo destino sarebbe stato diverso. Anch´io, come Cristiano, già leggevo a tre anni, in classe ero sempre avanti, e dunque spesso annoiata e insofferente. Mia madre però e così le insegnanti cercavano di reprimere questo mio talento, volevano che fossi come gli altri, buona e tranquilla... Cristiano parla come un adulto, è in grado di leggere un programma del computer, fa montagne di domande, ma per fortuna ha anche un bellissimo carattere ed è pieno di amici. stato valutato nel laboratorio di Pavia ed è risultato plusdotato, ma avrebbe bisogno di un ambiente più stimolante. Non ho le possibilità economiche per scegliere una scuola privata, noi viviamo in un paesino di seimila abitanti in provincia di Bologna, in terza elementare ha già cambiato tre maestre. La verità è che per bimbi così la scuola altro non è che un muro di gomma». Ha preso il treno giusto invece Caterina, vent´anni, ex allieva della scuola steineriana di Milano, membro del Mensa Italia, oggi studentessa di medicina alla Columbia University di New York grazie a una borsa di studio conquistata superando con il massimo dei voti i test d´ingresso. «Sono cresciuta un po´ come un outsider, senza tv, con pochi giocattoli, era lo stile della scuola che ho frequentato fino alla terza media e che ho amato moltissimo… Fin da piccola mi facevo regalare i libri sul corpo umano, al liceo sono sempre stata la prima della classe. stata proprio una delle mie prof a dirmi che dovevo tentare di andare all´estero, a spingermi ad utilizzare tutte le mie potenzialità. Aveva ragione: qui la selezione è dura, però il futuro mi è chiaro, voglio studiare il cervello, voglio capire perché a un certo punto anche nelle menti più acute si possono spegnere la lucidità e il ragionamento…».