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 2009  settembre 06 Domenica calendario

era il luglio del 1950 e il deserto del New Mexico rosolava sotto il sole dell´estate. Nella mensa dei laboratori di Los Alamos, i quattro moschettieri dell´atomo, Teller, York, Kopinski e il nostro Enrico Fermi, gli uomini che appena cinque anni prima avevano polverizzato Hiroshima e Nagasaki, scherzavano tra loro come scherzano i geni

era il luglio del 1950 e il deserto del New Mexico rosolava sotto il sole dell´estate. Nella mensa dei laboratori di Los Alamos, i quattro moschettieri dell´atomo, Teller, York, Kopinski e il nostro Enrico Fermi, gli uomini che appena cinque anni prima avevano polverizzato Hiroshima e Nagasaki, scherzavano tra loro come scherzano i geni. Parlavano di galassie, pianeti, e possibili voli superluminali, oltre il limite della luce. E discutevano lo strano caso dei cassonetti di Manhattan, che stava scuotendo i nervi dei tabloid e di un pubblico agitato come mai prima dalla fantascienza divenuta realtà con le bombe della fine del mondo. Accadeva, per la disperazione del sindaco e dei netturbini, che centinaia di contenitori per la spazzatura scomparivano dalle strade di New York. Kopinski, ridendo, mostrò ai colleghi una vignetta del grande Alan Dunn uscita fresca fresca sul New Yorker al quale era abbonato. All´ombra di un disco volante, una processione di alieni con antennina in testa e occhioni sgranati e stolidi scaricava bidoni della spazzatura. «Per ragioni note soltanto a loro, alieni riportano sul loro pianeta migliaia di bidoni della spazzatura di proprietà della Nettezza Urbana di New York». Tre dei quattro moschettieri risero. Ma non Fermi. «Ma si può sapere dove sono?», sbottò serio, e i suoi compagni capirono al volo. L´ex ragazzo di via Panisperna aveva posto la domanda alla quale un secolo di ufologia ancora cerca la risposta e che sarebbe divenuta da allora conosciuta come "The Fermi Paradox", il paradosso di Fermi: «Se gli extraterrestri sono così numerosi e avanzati, dove sono le loro tracce, i loro segni, i loro artefatti? Soprattutto, dove sono loro?». Da quella domanda, la irrisolvibile controversia sull´esistenza di E. T. - e sulla voglia divorante di scoprire se davvero siamo soli, in una galassia che conta almeno 250 miliardi di stelle soltanto nella nostra Via Lattea e 70 sestilioni (sette per dieci elevato alla ventiduesima potenza) visibili nell´universo - non ha mai trovato una risposta, ma neppure una smentita, definitiva. Dalle trovate radiofoniche di Orson Wells nel 1938, che terrorizzarono una nazione di ascoltatori evidentemente persuasi che una guerra di mondi fosse possibile, alle gentili farneticazioni della nuova first lady giapponese, Miyuki Hatoyama, che in questi giorni ci ha rivelato di avere visitato altri mondi (fortunatamente verdeggianti, a differenza della sua Tokyo), il paradosso che sta nello squilibrio fra le possibilità di vita intelligente nell´universo e la assenza di prove ancora regge. Non ci saranno, non nel futuro misurato con i minuscoli tempi della vita umana e con i nostri miserevoli mezzi di trasporto, sentenze di Cassazione che possano confermare le speranze o alimentare le paure della nostra piccola e patetica specie, naufragata nella sua solitudine galattica. Come tutte le fedi, anche questa si nutre e si organizza attorno alla dialettica di "speranza" e "paura", aggrappata alla predicazione degli sciamani, al rovescio del paradosso di Fermi (se ci sono tante possibilità di vita, la combinazione giusta deve essere per forza uscita, come i "ritardatari" al Lotto), al reliquiario ambiguo di prodigi nel cielo, tracce sulla terra, racconti mistici, testimonianze e profezie, dal grande fisico che ci crede alla contadinella del Nebraska invariabilmente sottoposta a ispezioni ginecologiche nel suo fienile. Ma se le prove dell´esistenza di questi "superuomini", perché tali devono essere immaginati nella loro capacità di bucare il tempo e lo spazio, restano oggetto di controversie e di discussione, l´infallibile carburante che muove il motore della paura/voglia, della speranza/terrore sono proprio quegli enti ai quali dovrebbe essere assegnato il compito di dirci una parola definitiva: i governi nazionali. La paranoia delle autorità, esplosa negli anni della guerra di scienza applicata alle armi dopo la Seconda guerra mondiale che rese tutto supersegreto, è la fonte generosa che fornisce abbastanza dossier e "Libri Blu" di inchieste condotte per occultare, per garantire lunga vita ai dubbiosi in buona fede come alle armate globali dei "conspiracy theorist", dei complottisti. La imperscrutabile "Area 51" nel mezzo del nulla in Nevada, base sperimentale sopra e sotto la superficie terrestre che ancora oggi il governo americano a fatica ammette che esista, è da mezzo secolo la capanna della Betlemme che attira pellegrinaggi dei miti, oltre che gli obbiettivi di satelliti spia, nella certezza che lì siano concepiti, costruiti e collaudati marchingegni volanti e armi spaziali, come in effetti accadde per i primi, disastrosi test di quell´aereo spia U2 che i sovietici abbatterono. Nelle sue viscere, che una teoria vuole siano addirittura il terminale di un sistema di gallerie sotterranee esteso fino a Washington, si vivisezionano corpicini di alieni caduti in atterraggio, poveri E. T. dotati di tecnologie favolose in grado di superare gli abissi dell´universo ma poi incapaci di posare le loro navicelle senza sfasciarle. Si pratica il "reverse engineering", lo smontaggio e il rimontaggio di astronavi aliene per carpirne i segreti. Non importa se il leggendario filmino-cult degli interventi chirurgici e della autopsie sui resti di altri "marziani" precipitati a Rosewell in New Mexico - sempre nel New Mexico, la culla del progetto Manhattan e della prima Bomba - nel 1947, siano stati del tutto screditati. Non è la occasionale madonnina piangente smascherata come un falso, o l´apparizione divina mai apparsa, a demolire la fede del credente. Se è possibile credere, qualcuno crederà e troverà le prove che confermano la propria fede. Non essendo logicamente possibile dimostrare un negativo, che altre specie intelligenti "non" siano state prodotte nei dodici miliardi di anni di esistenza dell´Universo, è legittimo sperare o temere. Mentre i governi che negano, offuscano, evadono, balbettano di fronte alla impossibilità di spiegare tutti gli avvistamenti di Ufo, che non sono necessariamente dischi volanti, ma oggetti volanti non identificati, e di ammettere che neppure le aviazioni militari, le facoltà, i ministeri, sono in grado di capire sempre tutto, sono la causa, spesso creata volutamente, dello scetticismo. Possiamo quindi continuare a sperare, come in fondo sperava anche il grande astrofisico Carl Sagan, che ammise qualche crepa nel suo scetticismo e nella sua adesione al "paradosso di Fermi". Il cinquanta per cento degli americani, uno su due, è convinto che ci sia qualcuno, là fuori, e cresce la sensazione che l´umanità, educata da milioni di chilometri di film, sia più disposta ad accettare qualche visitatore con la pelle squamata e le antenne sulla nuca. Specialmente se riuscissimo a convincerli a portarsi via la nostra immondizia, verso le profondità della galassia.