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 2009  settembre 07 Lunedì calendario

CON LA CRISI GLI EMIGRANTI RIFANNO LA VALIGIA

Il "tedesco" è tornato. Tonino Vorraro, 44 anni, è nato in provincia di Napoli a due passi dal Vesuvio. Scuole in Germania, per seguire il padre emigrante che aveva trovato un posto fisso alla Deutsche Bahn. Apprendista fabbro in Italia e di nuovo al di là delle Alpi, a Norimberga, la città dei giocattoli, dal 1986. Verniciatore di trenini, operaio alla Bosch e per 15 anni alla Linde Gas. Poi la crisi che dalle fredde previsioni degli economisti contagia la realtà quotidiana degli europei. «Ora – racconta – l’azienda è in ristrutturazione e ho aderito al piano di licenziamento. Dal 1? gennaio potrò iniziare un nuovo lavoro. La Germania mi ha aperto tante porte, ma ho deciso di tornare. Guadagnavo 2mila euro, ma adesso gli stipendi non sono più buoni come prima». Tonino vuole voltare pagina. Con la Germania, ma anche con un pezzo di Italia che rappresenta ormai un’esperienza da dimenticare. Non torna nel paese d’origine,dove aveva mosso i primi passi nel mondo del lavoro: «Non è stata una bella esperienza, mi avevano fatto credere di avermi versato i contributi, ma non era vero, mi sentivo isolato, messo da parte, mi chiamavano u tedesc in dialetto». Ricomincerà da zero in un centro dell’hinterland milanese.«Ci abita un mio nipote, il paesaggio è simile a quello di Norimberga, uno dei miei tre figli ci ha seguito e in un solo mese ha trovato lavoro come apprendista. Spero di trovare qualcosa anch’io».
Fabio Nardella, invece, sales manager disoccupato da una settimana a Barcellona, in Italia proprio non vuole rientrare. «Quando ho detto ai mei amici d’infanzia che ero stato licenziato mi hanno guardato come se avessi una malattia incurabile - ricorda - . Qui invece quando fai colloqui di lavoro nemmeno ti chiedono il perché». Trentadue anni, una laurea alla Bocconi e un’occupazione a Milano, abbandonata per scelta e coraggio nel 2003. «Mi sentivo in affitto, non stavo bene, cercavo una città con il mare che però offrisse opportunità lavorative. Il primo lavoro, in un call center, l’ho trovato in 15 giorni, poi come organizzatore del Salone nautico, alla Bombardier (moto d’acqua) e alla Consalt al settore vendite».
Due storie e due modi diversi di reagire alla crisi. Sono oltre 21 milioni gli europei che non hanno un lavoro, secondo l’ultima fotografia scattata da Eurostat. Una piaga che colpisce la fascia di popolazione tradizionalmente più fragile: le comunità di stranieri, italiani compresi. In Belgio i senza lavoro di nazionalità italiana sono addirittura il triplo (20-22%) rispetto al tasso ufficiale per l’intero paese, in Germania il doppio. Per molti il ritorno in Italia appare l’unica via d’uscita. Si informano ai patronati sindacali dei paesi di adozione e alcuni tentano il grande passo. Le statistiche non lo raccontano ancora, ma il fenomeno è in atto. La maggioranza, per il momento, decide però di restare, spesso per ragioni di convenienza.
«Qualche segnale c’è – riconosce Gianluca Lodetti, responsabile estero del patronato Inas (Cisl) – anche se non è un fenomeno di massa. E certamente il rientro in Italia è più facile se c’è una rete familiare in grado di accogliere l’emigrante di ritorno». il caso di Assuntina Sammarro, 35 anni, che da poco è tornata al paese d’origine, Corigliano Calabro, dopo un’esperienza a più riprese in Germania. Diploma da ragioniera e professione "precaria" a Francoforte. Un marito, anche lui di origine italiana, che ha trovato lavoro come elettricista: «Ho avuto una serie di con-tratti a termine, poi sono rimasta incinta. Abbiamo deciso di partire perché non ce la facevamo più a vivere, pagavamo 800 euro al mese per una casa di 60 metri quadrati. E poi tutte quelle bollette da pagare e non avere i soldi per farlo. Mi sono trovata a un bivio, ero persino caduta in depressione». Poi la decisione di tornare: «Mio marito sta iniziando a trova-re qualcosa come elettricista, qui tutti ci danno una mano e stiamo cercando una casa ».
Scelte individuali, sofferte, da parte di persone con i profili professionali più disparati. Emigrati di lunga data, ma anche di nuova generazione. Racconta il responsabile del patronato Ital-Uil per la Gran Bretagna, Stefano Scalzo: «Abbiamo avuto diverse richieste di rientrare in seguito alla crisi: persone occupate in negozi, ristoranti e alberghi, con un livello culturale ad ampio spettro, dalla licenza elementare fino al diploma. Alcuni lasciano il paese dopo 3-4 anni, altri dopo dieci, una persona dopo ben 18 anni».Senza contare gli emigranti di nuova generazione, i giovani rampanti della City, travolti dal terremoto della finanza globale. Trentenni superqualificati che hanno dovuto abbandonare loro malgrado il sogno londinese. Come Giorgio (il nome è di fantasia, perché preferisce non rivelare la propria identità), 34 anni, appena rientrato in Italia dopo un’esperienza presso una banca inglese. «Sono scampato a ben due round di licenziamenti. Lo chiamavamo " il momento della morte"- confida -: un incaricato della banca attraversava la fila di scrivanie e si fermava davanti alla vittima sacrificale, che veniva convocata al piano di sotto e apprendeva di aver perso il lavoro. Capivo che le cose stavano cambiando e ho dato le dimissioni». Una decisione non facile, con un duro colpo all’autostima. «Si lavora 16-18 ore al giorno, sacrificando la propria vita personale. Ti crolla il mondo addosso, cominci persino a dubitare di te stesso». Poi la svolta, arrivata per caso. «Tramite un amico ho saputo che stavano cercando in Italia. Ho fatto diversi colloqui e ora lavoro nell’investment banking a Milano».
Spesso sulle ragioni del cuore prevalgono quelle del welfare. Succede in Germania, ma anche in Belgio. «Il sistema tedesco - spiega Marco Marino, esperto del ministero del Lavoro presso l’Ambasciata d’Italia in Germania- è flessibile, ma selettivo all’ingresso. C’è un primo mercato più qualificato e un secondo mercato a bassa qualifica e meno retribuito. Per gli immigrati è molto difficile accedere al primo». Anche perché già dalla quartaquinta elementare i bambini vengono selezionati verso il liceo o le scuole tecniche e non c’è più possibilità di tornare indietro.Tra gli italiani, prosegue Marino, i più fragili di fronte alla crisi sono in genere i figli 40enni di emigrati di lunga data, con lavori saltuari nei servizi ai settori produttivi o nell’indotto automobilistico e farmaceutico. «Alcuni tornano, altri chiedono l’assistenza sociale».Dopo un anno senza lavoro si ha diritto al "minimo vitale", che per una famiglia di quattro persone può arrivare fino a 1.500 euro, più un contributo per l’affitto. « chiaro che con questo sistema di ammortizzatori sociali chi intende tornare ci pensa due volte - ammette Luigi Brillante, responsabile Inca Cgil di Francoforte - . Io stesso a chi mi chiede consigli dico di fare attenzione, perché dopo sei mesi fuori dal paese si perdono tutti i diritti acquisiti».
Dal Belgio, per il momento, non si torna. Non lo fanno i figli dei minatori, arrivati con la valigia di carta e ora cittadini a tutti gli effetti, nonostante l’alto livello di disoccupazione. E neppure le nuove leve, studenti iperspecializzati e superflessibili, spesso identificati come "cervelli in fuga".
«Qui – dice Carlo Caldarini, direttore dell’Osservatorio Inca-Cgil per le politiche sociali in Europa – il mercato del lavoro è più dinamico,c’è una maggiore mobilità e le protezioni sono più forti. Per questo si preferisce restare ». Come D.G., siciliano di 26 anni, che sta concludendo un dottorato e intanto si è trasferito a Bruxelles. «Perché dovrei tornare? Non c’è possibilità di lavoro e non ho un salario garantito. Preferisco fare stages retribuiti da inserire nel curriculum piuttosto che lavorare in un supermercato in Italia
». Riccardo Viaggi, invece, 28 anni, un lavoro vero l’ha già trovato. Ha iniziato con uno stage (pagato) e oggi è segretario generale della European Builders Federation a Bruxelles. «Il mercato qui è abbastanza vivace, nonostante la concorrenza di giovani di altri 26 paesi. Gli stipendi sono più alti e ci si sente più tutelati: il mio contratto non era ancora scaduto che avevo già ricevuto i moduli per il sussidio di disoccupazione (va dagli 800 ai 1.200 euro al mese, ndr ). Per fortuna non ne ho avuto bisogno».
E c’è un altro fenomeno in crescita, una sorta di migrazione del welfare: «Italiani meno qualificati dal punto di vista professionale o precari, che vengono in Belgio - spiega Caldarini - perché qui si sentono maggiormente tutelati». Ne sa qualcosa Giuseppe, 25 anni, di Reggio Calabria: «In Italia non riuscivo a trovare lavoro, qui in 15 giorni ho trovato la casa e un’occupazione, prima in una ditta di pulizie, poi come operaio».
La crisi invece non sembra per ora intaccare il fascino della Spagna. «A Barcellona il boom di italiani è arrivato 7-8 anni fa, è la città spagnola che più ha incrementato il numero di nuovi arrivi. Ritengono che ci sia più meritocrazia e più spazio per le nuove generazioni», afferma Carlo Andreoli, coordinatore nazionale dell’Associazione giovani italiani (Agim) per la Spagna. «Sono neolaureati con età fino a 40 anni che preferiscono cercare un lavoro in Spagna piuttosto che in Italia. O persone meno giovani e meno qualificate che aprono un’attività, in genere nel commercio », gli fa eco Elettra Cappon, responsabile Ital-Uil nella città catalana.
A scommettere sulla capitale Madrid sono i giovani avvocati di diritto internazionale, che invece di fare il praticantato in Italia ottengono il titolo nella penisola iberica. O laureati in economia che cercano un posto al sole in una multinazionale. «Ultimamente sono parecchi gli italiani che hanno perso il lavoro in seguito alla crisi», spiega Andrea Coppola, segretario nazionale Agim Spagna.Ma ”conclude Andreoli ”«in genere decidono comunque di restare, perché sono convinti di trovarne un altro».
In Spagna, welfare a parte, gioca anche il fattore fisco. Grazie alla "legge Beckham", entrata in vigore nel 2004 quando il calciatore inglese giocava nel Real Madrid, icittadini stranieri pagano un’aliquota del 24% anziché del 43% per sei anni. Una riforma del provvedimento è allo studio, ma per il momento non si è arrivati a un accordo. E i giovani italiani possono dormire ancora sonni tranquilli.