Andrea Sorrentino, la Repubblica 7/9/2009, 7 settembre 2009
Botti Bi Leandro è sparito l´altra sera. Ha litigato col presidente della Federazione per una storia di soldi che non arrivavano mai, infine gli ha scaricato addosso una combinazione di ganci e diretti, a mani nude
Botti Bi Leandro è sparito l´altra sera. Ha litigato col presidente della Federazione per una storia di soldi che non arrivavano mai, infine gli ha scaricato addosso una combinazione di ganci e diretti, a mani nude. L´ha lasciato sul pavimento della stanza d´albergo, ha preso il passaporto e si è dileguato nella notte nera di zanzare. Poche ore dopo avrebbe dovuto esordire al Mondiale, ma il suo avversario l´ha atteso invano sul ring illuminato a giorno, dentro il cubo di cemento del Forum di Assago. Botti non ha ancora 19 anni, viene dalla Costa d´Avorio e si vede che non ha intenzione di tornarci. Buona fortuna. A lui e ad altri quattro del Camerun, pure loro uccellini di bosco prima di infilarsi i guantoni. Non hanno neanche iniziato il Mondiale dilettanti di boxe, hanno preferito cercare una nuova vita. Forse non meno problematica di quella precedente: qualcuno li avverta che sono in Italia, non esattamente l´Eldorado. Stessa sorte per un paio di atleti della Repubblica Centrafricana: a un certo punto non si sono più visti e s´è capito che era inutile cercarli. I due, più un´altra novantina di giovani pugili, sono qui dal 10 agosto. Vengono da 67 paesi diversi, tutti del Terzo e Quarto mondo, spesso dalle zone delle guerre dimenticate: Centrafrica, Centramerica, Balcani, Sudest asiatico, le isole più sperdute del globo. Li ha invitati l´Aiba, la Federboxe mondiale dei dilettanti: quindici giorni di training camp ad Assisi, guidati da tecnici occidentali tra cui gli italiani Sergio Rosa e Nino Fracasso, poi il grande palcoscenico del Mondiale di Milano. Tutto pagato: viaggio, vitto, alloggio e allenamenti, fino al termine dell´avventura. I migliori dieci saranno seguiti anche il prossimo anno. Bisogna allargare la base di uno sport che nel mondo si affievolisce, e intanto si dà una mano a chi la implora. Ad Assisi, fin dalla notte di San Lorenzo, hanno dormito a Santa Maria degli Angeli, di fronte alla Porziuncola. L´atmosfera francescana, l´emozione e l´incredulità di chi può avere l´occasione della vita: sta di fatto che subito hanno fatto gruppo, stringendosi l´uno all´altro. Un mappamondo di muscoli. Ora a Milano, durante i match, li vedi fare il tifo per i compagni che combattono. In Umbria sono arrivati per lo più privi di equipaggiamento, un fagotto per valigia. Scarpe e guantoni veri li hanno scoperti qui. Begli atleti, certo, ma sul resto meglio soprassedere. Gli hanno insegnato i primi rudimenti di tecnica e tattica per difendersi a certi livelli, mentre il fiato c´era: molti hanno superato brillantemente il test di Cooper. I due afgani sono sbarcati in ritardo, perché in quei giorni di elezioni volare via da Kabul era un miracolo. Il più grosso e il più simpatico è il Bisonte delle Antille, 130 chili, un nome che più meticcio non si può: Gilton Benjey Zimmerman. Viene dalle Antille Olandesi, al suo paese faceva solo kickboxing. Ad Assisi mandava baci alle ragazze per strada, fraternizzava con chiunque esprimendosi a gesti o con la sua risatona. Poi fa un po´ di guanti con Cammarelle e a Milano vince il match d´esordio: alla fine è il più incredulo di tutti, perché quello è stato il primo vero incontro di pugilato della sua vita. Lony Pierre è un peso mosca di Haiti, boxa appena da due anni. Nella sfida contro Mogajane, del Botswana, Lony si emoziona. Nella prima ripresa perde due volte il paradenti e gli si slaccia una scarpa, nella seconda soffre, riemerge con un terzo round di cuore che non lo salva dalla sconfitta, netta. Scuote la testa e gli occhi dondolano di delusione: «Non ero io». Si torna ad Haiti: «Là ho due sorelle e quattro fratelli. Si soffre. Non c´è nulla per allenarsi, ma il dramma vero è che non c´è nulla da mangiare. Manca tutto. Siamo in emergenza assoluta». Kitson Gery Julie, peso welter dalle Seychelles, ha successo nelle isole dell´Oceano Indiano, che però nel pugilato valgono quanto uno stagno. Supera in scioltezza Hawawreh, della Giordania, e urla: «Voglio una medaglia, per scrivere la storia del mio paese». Viene dal paradiso, stavolta Isole Figi, pure Mohammed Shahmeem, peso piuma che crolla sotto un sudafricano: «E´ un mese che non mi adatto a questo clima. Ma non cerco scuse, sia chiaro». Il guatemalteco Eddie Valenzuera straccia Avila e vuoi mettere la soddisfazione: «Era un messicano». Hanno talento pure Vilasack Khouandy, dal Laos, e Nguyen Hai Van, dal Vietnam. Ne ha meno Hassane Nabaloum, dal Burkina Faso: «Sono deluso, eppure ho capito dove devo migliorare: era il mio primo match a certi livelli. Sarebbe bello se i paesi ricchi ci aiutassero, almeno con qualche campo di allenamento. Vengo da Ouagadougou e lì non è per niente facile». Shafick Chitou è un peso piuma con movenze da pantera, dicono. E´ del Benin. Balla prima di salire sul ring. Al gong saltella addosso all´afgano Hassan, vince di slancio, è felice. «E pensare che sono venuto qui solo col mio paradenti, nient´altro. Allenatori? Mai avuti». Un solo vero cruccio, mentre la vita ti sorride: «E´ un mese che non parlo con i miei». Allora un dirigente dell´Aiba gli passa un telefonino: meglio di una borsa da un milione di dollari.