Natalia Aspesi, la Repubblica 6/9/2009, 6 settembre 2009
NATALIA ASPESI
Se fai un film su Caravaggio, certo lo mostrerai mentre dipinge un suo capolavoro, in piena estasi creativa; se ne fai uno su Shakespeare, ci sarà la scena in cui scrivendo con la penna d´oca gli mancherà l´ispirazione e si prenderà sconsolato la testa fra le mani; nei tanti film sulla sarta Chanel, c´è sempre il momento in cui, preda di una furibonda genialità, lei misura un orlo o disegna il famoso tailleurino che passerà alla storia della moda.
E se fai un film su Moana Pozzi? Che fu una favolosa pornostar lo farai capire a parole, mostrando pudicamente una spalla nuda, una bocca fremente con sottofondo di gemiti, un giovanotto in mutande che le ansima sopra: roba ormai da pubblicità televisiva dei profumi, perché per la pubblicità di moda nelle riviste patinate ogni confine di prudenza è già stato varcato? Oppure spalancherai la porta sulla sua rigorosa professionalità nel far buon uso dei giganteschi attributi del famoso instancabile Rocco Siffredi, nel mostrare gli angoli più remoti della sua soffice e anelante carnalità? Rivelerai finalmente in cosa consisteva il suo lavoro appassionatamente praticato, eroicamente difeso, ostentato come una bandiera di libertà e anticonformismo contro la moltitudine italiana di bigotti, moralisti, ma anche sessuomani, che è lo stesso?
Era una donna di luminosa, delicata bellezza; una ragazza di grande intelligenza e di modi raffinati; una spiritosa, elegante signora che i massimi bacchettoni televisivi facevano a gara ad invitare come un fenomeno da baraccone, un freak per famiglie. E lei, con le sue scollature da cui talvolta usciva per calcolata distrazione un seno di perla, come in un famoso incontro con Pippo Baudo prudentemente seduto a cinque metri da lei, sapeva col sorriso non innocente ma neppure di peccato soggiogare, mettere in imbarazzo, svergognare sul piccolo schermo uomini che con lei volevano essere spiritosi, disinvolti e superiori, e con tutti i loro ammiccamenti risultavano solo spaventati, patetici o squallidi.
Di solito la televisione italiana si dedica a biografie di santi e papi, incapace di raccontare le vite normali come sanno fare con grande maestria gli americani. Quindi scegliere di far rivivere un personaggio trasgressivo come Moana potrebbe sembrare un atto di telecoraggio, anche da parte di una rete, Sky Cinema 1, certo più imprudente e libera delle solite Rai e Mediaset. Tuttavia è pensabile, e auspicabile, che non vengano mostrati stralci dei suoi tanti cinecapolavori hard (per dire, Un culo, un mito; Anal star; Troie in carriera), né si riesce a immaginare che la bella Violante Placido la interpreti con tanto fervore da arrivare anche solo a simulare gli atti sessuali come li impone la pornografia: elementari, in primo piano, dissociati da ogni emozione che non sia, diciamo così, locale e primitiva.
Non si vuole essere pignoli, ma per Moana la pornografia fu l´essenza della sua vita, l´intrepida realizzazione della sua natura. Moana era pornodiva come altre sono dame di carità o missionarie. Non imperava su sgangherati pornoset, aprofumati e puzzolenti, tra partner nudi e affranti, per necessità finanziarie o anche per catturare notorietà: la televisione le aveva già affidato trasmissioni di massima castità (anche per bambini, Tip tap club, mentre girava Valentina ragazza in calore); il cinema le offriva film di domestica virtù, da Dagobert di Risi a Ginger e Fred di Fellini, sia pure in particine. Ma era la pornografia la sua casa, il modo in cui il suo corpo esigeva di esprimersi. E lei, a differenza di altre signore, e ce ne sono, incapaci di accettare questa difficile vocazione, ebbe il coraggio di capire e l´intelligenza di scegliere. Lo aveva capito Davide Ferrario, che nel 1999, col film Guardami, aveva cercato di rievocare una pornostar che faceva pensare a Moana (l´interprete era Elisabetta Cavallotti) inserendo scene di sesso non simulato: però il film non era venuto bene, qualcuno lo giudicò moralistico, altri non abbastanza rivelatore del mondo hard.
Se nel nuovo telefilm la pornografia non sarà esibita ma, come si può prevedere, solo suggerita, le telefamigliole saranno contente però è probabile che Moana Pozzi scolorirà in una di quelle eroine il cui massimo pregio è quello di essere morte (lei a trentatré anni) in piena giovinezza e bellezza, mentre i vivi e vegeti calcolano meschini che, se ancora ci fosse, si avvicinerebbe ai cinquant´anni, non avrebbe più quella meravigliosa luce, si sarebbe ritirata dai set sporcaccioni, non avrebbe neppure più l´età richiesta oggi per diventare ministra; e insomma meglio così, per loro forse, ma certo non per lei.
Già santificata in vita, amata, rimpianta e continuamente rievocata come una Marilyn Monroe domestica, si spera che a quindici anni dalla sua morte (nell´Ospedale di Lione, il 15 settembre 1994) la televisione ne rispetti la dignità, in vita e in morte, non facendo di lei una di quelle vittime di un destino avverso costretta a una vita di peccato poi redenta dalla malattia e dalla fine prematura. Di sé, Moana donava l´immagine del suo bel corpo impegnato a offrirsi con la pornografia ai sogni, ai desideri, ai bisogni, alla solitudine, all´infelicità, all´incompiutezza degli altri. Ma proteggeva la sua incompiutezza, la sua solitudine, forse la sua infelicità, non rivelandosi mai, dietro i suoi splendenti sorrisi, neppure nelle sue interviste o nei suoi libri. Solo dopo la sua morte si seppe che aveva un marito, e che quello che presentava come fratello era invece suo figlio. Della sua malattia non si seppe nulla e non ci sono immagini. La sua morte fu annunciata cinque giorni dopo, i suoi resti sono sepolti in una tomba senza nome, a Lerma in Piemonte. Speriamo che il regista Alfredo Peyretti non violi questa estrema privacy, resista alla tentazione di mostrare la Moana di Violante Placido che agonizza tra le lacrime di parenti e pornofan.