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 2009  settembre 06 Domenica calendario

I mostri del mal congiuntivo Lezioni di italiano Da Dante a Leopardi, la storia della letteratura ci insegna che tutti, prima o poi, sbagliano il modo verbale che serve soprattutto a esprimere un´ipotesi o un dubbio

I mostri del mal congiuntivo Lezioni di italiano Da Dante a Leopardi, la storia della letteratura ci insegna che tutti, prima o poi, sbagliano il modo verbale che serve soprattutto a esprimere un´ipotesi o un dubbio. Eppure, in un panorama linguistico che gli studenti e i ministri di oggi hanno trasformato in campo di macerie, quell´errore è considerato più che un errore: una gaffe. Ora un libro ci racconta il perché STEFANO BARTEZZAGHI «Quando anche ci si dassero in mano le facoltà e la scienza di un Dio, per comporre un uomo perfetto secondo le nostre idee, non lo sapremmo fare»: le tragiche avventure di Fantozzi nella lingua italiana? No, lo Zibaldone di Giacomo Leopardi. «Tu, perché non ti facci maraviglia, / pensa che ”n terra non è chi governi»: Totò? No, il Paradiso di Dante. L´idea che in un congiuntivo sbagliato possano incorrere o essere incorsi tutti (proprio tutti) non ci entra in testa. Chiunque scriva e pubblichi sa che i suoi errori verranno censurati con minore o maggiore indulgenza dai lettori, ma che le reprimende più indignate verranno suscitate da un congiuntivo mancato, o mal eseguito. Un piccolo archivio personale testimonia che si arriva con facilità sino alla perentoria richiesta di dimissioni e diversione delle proprie energie professionali verso settori intellettualmente più confacenti, come l´agricoltura o l´ippica. Che io vada, che tu vada, che lui/lei vada, che noi andiamo, che voi andiate, che loro vadano: tocca ripetere, e dove poi tutta questa gente sia diretta non è tanto importante. Sappiamo tutti che si va di male in peggio, sempre. Sarà per questo, allora, che nel tempo risuonano, sempre uguali a se stessi, dolenti rintocchi. A proposito del modo verbale che esprime principalmente dubbi e ipotesi si hanno certezze incrollabili: non si usa più, non lo conosce più nessuno, e Biscardi, e Di Pietro... Su Facebook il gruppo "Lottiamo contro la scomparsa del congiuntivo" è vicino ai centomila iscritti: discutono anche su altri aspetti della lingua italiana e dei suoi usi correnti, ma la bandiera è quella del congiuntivo. Molti fra questi centomila troveranno almeno in parte deludente il bel libro che due linguisti e divulgatori di temi linguistici, Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, hanno dedicato al «modo verbale più amato (e talvolta maltrattato) dagli italiani»: modo che compare sia di nome sia di fatto nell´allegro titolo Viva il congiuntivo. La delusione è solo ideologica ed è riservata a coloro che sono convinti che il congiuntivo sia morituro: vi scopriranno che la sua sostituzione con l´indicativo è molto meno diffusa di quanto pensino e che in non pochi casi i linguisti la considerano tollerabile. Il linguista Giuseppe Antonelli svolse due anni fa un´indagine sull´italiano scritto degli studenti universitari: le conclusioni, negative («una generale incapacità di gestire il testo secondo gli essenziali criteri di coerenza e di coesione»), menzionano lacune lessicali e sciatterie nell´uso della punteggiatura, dell´apostrofo, dell´accento, delle maiuscole ma non fanno alcun riferimento al congiuntivo perché, bestie come pure sono, gli studenti lo usano e non lo sbagliano. Con il loro stile agile e spiritoso Della Valle e Patota incominciano con le generalità e con l´uso comico del congiuntivo sbagliato, mancato o pretenzioso al cinema (Totò, Fantozzi, la "Gradisca" di Amarcord, il «Vorrei che ci sei anche tu» della Ferilli in Tutta la vita davanti). Il libro, dopo aver avvicinato gradualmente il suo oggetto, lo smonta, partendo dal suo nome e dalla sua storia e giungendo alle regole e agli usi, al ventaglio di congiuntivi esortativi, dubitativi, esclamativi, desiderativi e, finalmente, allo snodarsi del periodo ipotetico e delle subordinate in cui il congiuntivo è a volte obbligatorio, a volte illecito, a volte facoltativo. Cordiali e sistematici nello sdrammatizzare, Della Valle e Patota arrivano a spiegare che vadi, dassi, facci e stassi, i mostri più raccapriccianti del rettilario del mal congiuntivo, sono certo brutti errori, ma pure non vengono commessi a sproposito. Gli sceneggiatori li usano per caratterizzare un personaggio come tamarro e ignorante: ma dal punto di vista del linguista si tratta di persone che, ignorando o avendo anche solo momentaneamente dimenticato la forma corretta, cercano di ricostruirla. A portarli a sbagliare è il fatto che la forma corretta è un´eccezione: «Insomma, in qualche modo è la lingua a essere irregolare per la sua storia complessa e stratificata, non il cervello di chi tenta di eliminare le irregolarità usando forme che, solo da un certo momento in poi, la tradizione grammaticale ha preso a considerare sbagliate». Ma se gli errori di congiuntivo non sono statisticamente significativi, se in gran parte si possono giustificare con ragioni storiche, sociali o linguistiche, se i veri indici della sciatteria linguistica sono altri, allora perché è sul congiuntivo e quasi solo sul congiuntivo che si sofferma la deprecazione di tanti parlanti? Perché il congiuntivo sbagliato di un comico, di un personaggio antipatico e/o di un ministro della Pubblica Istruzione (carica che pare particolarmente incline a infortuni in materia) suscita immediati e ineguagliati record di ilarità e di indignato ribrezzo? Della Valle e Patota conoscono il fenomeno, e con spavalda efficacia lo definiscono così: «Un congiuntivo mancato o sbagliato fa, alle orecchie delle persone linguisticamente bene educate, lo stesso effetto sguaiato di un rutto in pubblico». Un errore è un errore; un errore di congiuntivo è una gaffe. Quello che nessun linguista può spiegare, almeno sino a che resta nei limiti della sua disciplina, è il motivo di questa sensibilità: lì, probabilmente, ci vorrebbe lo psicologo.