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 2009  settembre 05 Sabato calendario

FABIO POZZO

GENOVA
Un segnale. Meglio, un’anomalia rilevata dal sonar durante i sondaggi acustici batimetrici verticali riaccende la speranza di individuare il relitto della corazzata Roma, ammiraglia della Regia Marina, l’ultima grande nave da guerra che ancora giace nell’oblio degli abissi. E per alcuni, il Titanic italiano, perché colando a picco il giorno dopo l’Armistizio sotto le bombe volanti tedesche portò con se 1.393 vite.
 un relitto che fa gola, per il suo valore storico. Le ricerche vanno avanti da tempo, la Marina militare italiana scandaglia i fondali del Golfo dell’Asinara - dove è stata colpita la corazzata - da almeno sedici anni. Ma la vera «caccia» si è aperta da non più di tre anni. E ora, sembra davvero destinata a entrare nel vivo. Sono già state compiute due campagne di rilevamenti, a partire da ottobre seguirà una terza. I tempi sono legati alla disponibilità della Comex, il gruppo di ricerche sottomarine italo-francese guidato da Henri Germani Deleuze (già direttore scientifico delle spedizioni di Jacques Costeau), che deve liberarsi da altre ricerche in corso per conto del governo francese. E poi, dipendono dalle condizioni meteomarine, particolarmente severe durante l’autunno e l’inverno nel Nord della Sardegna, falciato dal maestrale: l’anno scorso la prima «finestra» meteo utile si era aperta il 24 dicembre.
Questa volta, però, le speranze di successo sembrerebbero superiori rispetto al passato. Durante gli ultimi sondaggi del fondale del Golfo, infatti, è emerso dal blu un segnale particolare. stato ricevuto durante un passaggio sopra un lungo e stretto canyon sottomarino, distante circa 45 chilometri dalla costa, ad una profondità variabile tra i 1300 e i 1800 metri. Qui il sonar, uno strumento che riesce a «pizzicare» negli abissi persino un fusto di benzina (così è già stato trovato nei pressi delle Bocche di Bonifacio il relitto del cacciatorpediniere Antonio Da Noli), ha registrato la presenza di una concentrazione di materiale ferroso anomala, in quella zona, dove non risulta che vi siano stati altri affondamenti di navi dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi.
Il segnale è diventato così una «sbavatura» sui files dei sondaggi sonar, che non è sfuggita ai ricercatori che lavorano a terra. Questi ultimi si sono subito accorti che il punto dell’anomalia, trasportato sulla carta nautica, ricadeva nella «griglia» entro la quale si suppone riposi il relitto della Roma. Da qui, la nuova fase di ricerca, affidata ai tecnici della Comex, che adesso dovranno «ripassare» il segnale, affinarlo.
Se la risposta - come ci si aspetta - sarà positiva, allora entrerà in funzione il sonar a scansione laterale, con il quale sarà passato ulteriormente a setaccio, per mezzo di sondaggi diagonali-suborizzontali, il «reticolo» di caccia tracciato sulla carta. Sarà una prima prova del nove: la strumentazione consentirà infatti di avere riferimenti fotografici di alta qualità delle linee del relitto. La risposta definitiva, però, arriverà dai Rov (acronimo di Remotely operated vehicle), i minisommergibili filoguidati, e dalle loro telecamere, occhi elettronici che possono scendere negli abissi e che, in questo caso, devono essere pronti a immergersi sino a duemila metri.
Nel successo dell’operazione Roma ci sperano in molti. Anzitutto gli ultimi sopravvissuti dell’affondamento, ormai sempre meno, e l’associazione dei familiari delle 1.393 vittime, a cominciare da quelli del comandante della sfortunata nave, l’ammiraglio Carlo Bergamini, che da sempre sperano di poter gettare una corona di fuori sulla tomba dei loro cari. Poi, naturalmente, la Marina militare, che ha rilasciato il suo nulla osta all’operazione. E ancora, i tanti storici e appassionati.
Ci spera, infine, anche Francesco Scavelli, un calabrese di 33 anni, che nel 2002 a Catanzaro ha fondato la Bluimage, una società di produzione video e documentari, specializzata in riprese subacquee. Scavelli, che ha già localizzato diversi relitti di navi affondate durante la guerra nel mare della Calabria, è finora l’unico finanziatore delle ricerche in corso. Sta investendoci una fortuna, ma se là sotto ciò che resta della Roma c’è davvero, probabilmente si rifarà ampiamente della spesa. Vendendo le riprese, sfruttando i diritti di una scoperta eccezionale. escluso infatti il recupero: essendo un sacrario, la nave è inviolabile (costerebbe inoltre troppo tirare su 46 mila tonnellate di ferro). E poi, forse, la corazzata degli eroi tornerà a riposare. In pace.


Un atto eroico, fra i primi gesti di ribellione contro l’occupante nazista, o la conferma di un tradimento che covava da tempo. La tragica fuga della flotta italiana verso Malta, di cui l’affondamento della corazzata Roma fu l’evento più sanguinoso, divide da sempre gli animi degli italiani che vissero quei giorni drammatici della nostra storia.
La Regia Marina era guardata con sospetto dai fascisti: primo, perché erano noti i sentimenti filomonarchici della maggior parte dei suoi quadri; secondo, perché molti ufficiali avevano antichi rapporti di stima con i colleghi britannici. L’episodio chiave di questo rancore era stata la battaglia di Capo Matapan, al largo delle coste del Peloponneso. Nel marzo del 1941 Supermarina, cioè il comando supremo della flotta italiana, aveva ordinato la sua operazione più ambiziosa di tutta la guerra: intercettare e affondare le navi alleate che dall’Egitto rifornivano la Grecia, impegnata a resistere all’offensiva nazista. Sulla loro rotta, però, le nostre unità non trovarono le facili prede che si aspettavano.
Ad attenderle, invece, c’era la potente flotta dell’ammiraglio Cunningham, che grazie ai suoi moderni sistemi di puntamento notturno fece una strage. Vennero affondati gioielli come lo Zara e morirono oltre 2.300 uomini, nella battaglia che sarebbe passata alla storia come la Caporetto della Regia Marina.
I fascisti sospettarono subito che qualcuno avesse tradito, perché Cunningham sembrava troppo informato sulle nostre mosse; i critici del regime invece rinfacciarono la strage alla retorica mussoliniana, che considerava l’Italia una portaerei naturale, ma non aveva equipaggiato le sue navi con gli strumenti indispensabili per la guerra moderna, tipo il radar.
La storia poi ha dimostrato che non ci furono traditori: gli inglesi erano riusciti a decrittare il codice Enigma, inventato dai nazisti e usato anche dagli italiani per le comunicazioni cifrate, e quindi conoscevano in anticipo le nostre intenzioni. I fascisti però non avevano mai smesso di sospettare la Regia Marina di intendersela col nemico.
Oltre due anni dopo, quando il 3 settembre 1943 il generale Castellano aveva firmato l’armistizio di Cassibile con gli anglo-americani, la sorte della flotta italiana era stata al centro delle trattative. Era ancora in buone condizioni e gli alleati volevano che combattesse al loro fianco, consegnandosi subito in un loro porto.
Il 7 settembre i nostri equipaggi, ignari dell’armistizio, si preparavano a salpare per lanciare un’ultima offensiva disperata contro gli anglo-americani, arrivati davanti alle coste della Penisola. Quindi la sorpresa fu enorme, quando il giorno dopo scoprirono che la resa era stata firmata e imponeva alle navi italiane di fare rotta su Malta. Qualcuno tentò l’ammutinamento o cercò di autoaffondare le unità. Lo stesso ammiraglio Bergamini, che comandava la Roma ancorata a La Spezia, aveva manifestato i suoi dubbi. Alla fine però accettò gli ordini e salpò.
I comandi italiani avevano ottenuto che la nostra flotta non si consegnasse in un porto alleato, ma facesse rotta verso la Maddalena, e questo fu l’errore che costò la vita a oltre 1.300 uomini. Infatti i nazisti, che volevano mettere le mani sulle nostre navi quanto gli anglo-americani, avevano già occupato l’isola ed erano pronti ad attaccare. Fu ancora strage, ma stavolta l’ultima. In quei giorni terribili e confusi molte unità furono colpite, però il grosso della flotta superstite riuscì a raggiungere Malta, aiutata anche da pochi eroi che rimasero a Roma, dietro le linee nemiche, per guidare e assistere la fuga.
Molti di quei marinai appartenevano al Sis, il servizio segreto comandato all’ammiraglio Maugeri, anche lui sempre sospettato di collusione col nemico. Una volta assicurata la fuga dei colleghi verso Malta, entrarono nella Resistenza militare clandestina guidata dal colonnello Montezemolo, per combattere i nazisti nelle vie di Roma occupata.

Paolo Mastrolilli


GIANNI MICALETTO
SANREMO
Sa di essere un testimone della storia, scampato all’affondamento della «Roma» sulla quale era imbarcato come carpentiere. Così Giovanni Vittani, sanremese, classe 1923, non finisce di ringraziare il destino. Lui, allora ventenne, salvo mentre 1393 uomini morivano al largo della Maddalena.

Cosa prova nel sapere che, dopo 66 anni, potrebbe essere stato individuato il relitto?
«Sono molto contento. E curioso di sapere se sia possibile raggiungerlo, magari per recuperarlo. Quella nave è un pezzo della mia vita: a bordo c’erano tante persone perbene. Un grande equipaggio diretto da un vero signore: l’ammiraglio Carlo Bergamini».
Che cosa ricorda di quel giorno?
«Eravamo in coperta, stavamo mangiando della pasta quando in lontananza abbiamo sentito il rombo degli aerei. Non pensavano che stessero per attaccarci. Ci hanno colpito di sorpresa. Ed è scoppiato l’inferno. Io sono rimasto ustionato da una fiammata, con i capelli bruciati».
E poi?
«Sono corso a poppa, ho indossato il salvagente e mi sono lanciato in mare. Come altri. Prima che la nave fosse colpita ancora. Ho nuotato per allontanarmi. Poi l’ho vista girare su stessa e spezzarsi in due tronconi, affondati in pochi minuti. E’ stato terribile: come se avessi perso la mia casa».
Chi l’ha tratta in salvo?
«Rimasto solo, dopo 4 ore in balia delle onde e della corrente ho visto arrivare una motobarca del caccia ”Carabiniere”. Mi ha tirato su e portato all’ospedale di Maone, nelle Baleari, con gli altri feriti. Ci sono rimasto un mese».
Che cosa conserva di quella nave?
«Tanti ricordi. Foto e documenti che sfoglio pescando nella memoria. E con i miei familiari ogni tanto rivedo il documentario sulla tragedia della ”Roma” realizzato nel 2007 e trasmesso da History Channel. Ci sono anche io».


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