Lucio Caracciolo, la Repubblica 5/9/2009, 5 settembre 2009
A Washington lo chiamano "scenario Somalia". Preso atto dell´inutilità del conflitto, dell´impossibilità di metter fine alla guerra civile, Obama potrebbe un giorno ordinare il disimpegno dall´Afghanistan
A Washington lo chiamano "scenario Somalia". Preso atto dell´inutilità del conflitto, dell´impossibilità di metter fine alla guerra civile, Obama potrebbe un giorno ordinare il disimpegno dall´Afghanistan. Ritirando le truppe e concentrandosi sul contrasto al "terrorismo globale" grazie all´intelligence e a operazioni mirate dalle basi americane sparse nel mondo. "Somalia" sta qui per "Stato fallito": un territorio incontrollabile, dove non vale più la pena stanziare truppe perché finirebbero ostaggio delle fazioni in lotta. Qualcosa di non troppo diverso dall´Afghanistan di oggi. Come ha scritto un analista dell´influente Council on Foreign Relations, Stephen Biddle: «Chiaramente non possiamo permetterci di condurre una guerra prolungata, schierando svariate brigate di truppe americane di terra solo per impedire ad al-Qaida l´accesso a ogni possibile rifugio. Resteremmo senza brigate molto prima che bin Laden restasse privo di santuari». La Casa Bianca non intende arrendersi a questo scenario estremo. Se in futuro lo farà, non sarà tanto per l´intrattabilità del conflitto quanto per il disincanto dell´opinione pubblica. Per la prima volta la maggioranza (51%) degli americani si esprime contro la necessità della guerra in Afghanistan. Il 65% pensa che alla fine gli Stati Uniti se ne andranno senza aver vinto. A poco più di un anno dalle elezioni di mezzo termine e a tre anni dalla nuova sfida per la Casa Bianca, Obama è già costretto a ragionare sulla missione afgana in termini di politica interna, più che strategici. Il massacro di Kunduz, dove insieme a decine di insorti pare siano morti diversi civili innocenti, vittime di un bombardamento aereo Nato ordinato dal comando tedesco di zona, conferma quanto arduo sia tradurre in pratica il credo del nuovo comandante americano e alleato, generale Stanley McChrystal. Il quale più che dare la caccia ai taliban intende proteggere la popolazione civile dagli insorti, irrobustendo le forze afgane e pagando i signorotti locali affinché garantiscano una parvenza d´ordine. Schema simile a quello adottato da David Petraeus in Iraq, ma che in Afghanistan finora non sembra avvicinare i risultati a suo tempo ottenuti in Mesopotamia con le tribù sunnite. Semmai i signori della guerra afgani si comportano come i capi militari pakistani, che succhiano miliardi di dollari agli americani per consolidare il proprio potere, godersi la vita e dotarsi di armamenti inservibili contro i taliban ma assai utili nel braccio di ferro con l´India: il vero scenario strategico, di cui il teatro afgano è mera appendice. McChrystal è consapevole che in maggioranza gli insorti non sono taliban, ma disperati ridotti alla fame e perciò facilmente assoldati dai tagliagole locali. Ciò che spiega l´espansione dell´insurrezione in aree dove dei taliban non s´è mai vista l´ombra. Il ricorso agli attacchi dall´aria, spiegabile in parte con la carenza di truppe di terra (eppure schieriamo più di centomila soldati, fra americani e Isaf), implica un tributo di sangue innocente che rafforza la propaganda degli insorti. Ogni civile ucciso è un punto per i ribelli e un macigno in più da rimuovere per recuperare la credibilità dell´Occidente in Afghanistan. Anche per questo McChrystal chiederà probabilmente rinforzi robusti: 20-30mila uomini, necessari a fronteggiare una crisi da lui stesso battezzata "seria". Sull´afflusso di altre truppe americane in Afghanistan Obama dovrebbe decidere nelle prossime settimane, ponendo fine alla cacofonia che dilania l´amministrazione. Il ministro della Difesa, Bill Gates, dopo aver avvertito che più soldati Usa sul terreno significa condannarsi ad essere percepiti dagli afgani come occupanti, pare ora disponibile all´invio di rinforzi. Per un impegno più massiccio è Hillary Clinton, mentre il vicepresidente Joe Biden suggerisce di concentrarsi sul Pakistan, il cui arsenale nucleare minaccia di finire in mani jihadiste. Sullo sfondo, continua il farsesco "conteggio" dei voti per la presidenza della Repubblica. Ogni giorno si scoprono nuovi dettagli della truffa pilotata da Karzai e dai suoi referenti provinciali, tra cui eminenti signori della droga e notori criminali di guerra. Gli americani sono furiosi con il presidente che pure vollero con tutte le loro forze, ma di cui sembrano aver perso il controllo, senza che perciò Karzai abbia acquistato il controllo del suo paese. Le sfuriate (private) di Richard Holbrooke, plenipotenziario di Obama nella regione, contro Karzai, principale responsabile del caos elettorale, non servono a molto. Quale che sia il risultato "ufficiale" del voto - con o senza ballottaggio - non sarà la pietra miliare sulla via della pace che le diplomazie occidentali avrebbero voluto veder scolpire.