Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 5/9/2009, 5 settembre 2009
Il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo Le pensioni diventano sempre più basse ( e i fondi integrativi non bastano) I conti dell’Inps sembrano reggere non solo perché oggi l’Istituto guadagna ma anche perché la riforma Dini neutralizzerà gli effetti dell’invecchiamento della popolazione che metterebbe a dura prova l’attuale sistema retributivo
Il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo Le pensioni diventano sempre più basse ( e i fondi integrativi non bastano) I conti dell’Inps sembrano reggere non solo perché oggi l’Istituto guadagna ma anche perché la riforma Dini neutralizzerà gli effetti dell’invecchiamento della popolazione che metterebbe a dura prova l’attuale sistema retributivo. Con il passaggio al sistema contributivo, che sarà completato attorno al 2030, la pensione dipenderà dalla consistenza e dalla durata dei versamenti, rivalutati in base al Prodotto interno lordo, e alle attese di vita, ricalcolate ogni 3 anni. Il periodo critico è la lunga transizione tra i due sistemi. Ma a regime i conti della previdenza pubblica sono in cassaforte. Non lo saranno, invece, i redditi dei pensionati. Se l’economia va male, i contributi non vengono rivalutati e perdono potere d’acquisto. Se, come pare fortunatamente certo, le speranze di vita si allungano e se, come pare sfortunatamente probabile, le persone avranno lunghi periodi di bassi salari e contributi, la pensione diventerà modesta. Ipotizzando un’inflazione al 2% e una crescita reale del Pil dell’1,5%, un dipendente che abbia iniziato nel 2000 avrà una pensione pari al 51% dell’ultimo salario se si ritirerà a 60 anni con 35 anni di contributi. A parità d’inflazione, se il Pil crescerà solo dello 0,5%, la pensione scenderà al 44,5%. Rinviando il ritiro a 65 anni e con 40 anni di contribuzione, nel primo scenario la pensione sarà pari al 68,6% e nel secondo scenario non supererà il 58,2%. Può aiutare la previdenza privata? Molto poco. In Italia svolgono lavoro dipendente 18 milioni di persone per una retribuzione media lorda annua di 26 mila euro. Tolte spese, mutuo, imposte, contributi, che cosa resta per il fondo pensione integrativo? Briciole. Qualcosa potrebbe venire dall’impegno del Tfr. Ma la maggioranza dei lavoratori non ci crede, come dimostra il basso livello di adesioni ai fondi negoziali promossi dai sindacati e a quelli aperti varati dalle assicurazioni. E le ragioni sono due: a) il Tfr è un tesoretto del quale il lavoratore può sempre disporre in caso di bisogno, mentre i fondi sono meno sicuri e flessibili; b) negli 11 anni di esperienza, il rendimento dei fondi è stato mediamente inferiore a quello del Tfr ; nel lungo termine solo quelli più legati alla Borsa promettono di fare meglio, ma con il rischio per il lavoratore di trovarsi in uscita nel momento sbagliato, con il tesoretto svalutato. M.Mucch.