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 2009  settembre 05 Sabato calendario

Ali Ben Bongo, figlio di Omar Bon­go, satrapo del Gabon per 41 anni, morto l’8 giugno, è stato eletto presi­dente

Ali Ben Bongo, figlio di Omar Bon­go, satrapo del Gabon per 41 anni, morto l’8 giugno, è stato eletto presi­dente. La dinastia è salva, l’opposi­zione grida ai brogli e nella capitale e a Port Gentil, seconda città del Pae­se, sono scoppiati violenti scontri (ieri almeno due morti, incendiata una sede del gigante petrolifero fran­cese Total). Dev’essere stato difficile per il vec­chio dittatore El Hadji Omar Bongo Ondimba scegliere il successore tra una trentina di figli. Ha preferito Ali Ben, che qualcuno dubita sia suo di­scendente di sangue. «L’ha adottato perché è stato concepito 18 mesi dal matrimonio con la sua prima mo­glie » sussurrano i maldicenti a Libre­ville, la capitale gabonese, e il cin­quantenne delfino ha dovuto far in­tervenire la madre, Josephine Kama, cantante diventata Patience Dabany, che ha confermato. Ali Ben (nato nel 1959) si chiama­va Alain Bernard ed era cristiano. Es­senziale nella sua vittoria elettorale l’aiuto della Francia, interessata a mantenere la continuità di un regi­me che ha garantito al Paese la stabi­lità necessaria alle compagnie fran­cesi, americane e all’italiana Eni, di sfruttare senza problemi il petrolio. La dinastia Bongo è riuscita, per ora, a assicurarsi la successione. Già il «dinosauro» aveva pensato ad allar­garsi e dopo il divorzio con Josephi­ne aveva scelto di sposare Edith Sas­su Nguesso, giovanissima figlia di Dennis Sassu Nguesso, presidente cleptocrate del Congo Brazzaville. Omar Bongo, che prima di convertir­si all’Islam nel 1973 si chiamava Al­bert- Bernard, nei sui 41 anni di pote­re assoluto ha accumulato una fortu­na enorme. I gabonesi, grazie ai pro­venti del petrolio, potrebbero essere ricchissimi. Invece la famiglia Bon­go «allargata» è l’unica a sprofonda­re nell’oro, mentre la popolazione (meno di un milione e mezzo di per­sone) vive in condizioni miserabili. La collezione di automobili di Omar Bongo, finita al figlio, è leg­gendaria: due Ferrari, sei Mercedes, tre Porsche, una Bugatti, due Rol­ls- Royce e una Maybach. Nessuno sa a quanto ammontino i beni di fa­miglia. Negli anni ”90 gli americani avevano trovato nelle banche Usa 100 milioni di dollari appartenenti al dittatore. In Francia la compagnia petrolifera Elf-Aquitaine è stata ac­cusata di aver versato nella casse del dittatore pesanti tangenti. Oltralpe i Bongo possiedono, oltre ad alcuni conti correnti milionari, 33 proprietà, compresa una villa da 25 milioni di euro. La prima moglie di Ali Ben, Inge, è apparsa in un reality show televisi­vo, Really Rich Real Esta­te, per acquistare una di­mora da 23 milioni di eu­ro a Hollywood. Ogni tanto il vecchio mostrava grande benevo­lenza e così durante un in­contro con i diplomatici a Libreville aveva annuncia­to una donazione di alcu­ni milioni di dollari per opere caritatevoli. L’am­basciatore americano, col­pito da tanta magnanimi­tà, chiese: «Denaro che viene da vostri fondi per­sonali o dalle casse dello Stato?». Il presidente sem­brò confuso ma poi i due uomini si trovarono d’ac­cordo: questa distinzione era super­flua e insignificante in Gabon. Poco il denaro impiegato per svi­luppare il Paese. A fianco di oleodot­ti modernissimi corrono strade ster­rate piene di buche. I miliardi otte­nuti dai proventi del petrolio non so­no stati messi a disposizione della popolazione. In vero qualcosa è sta­ta destinata per glorificare Papa Bon­go: a parte le enormi gigantografie con il suo faccione ornato di baffi piazzate per le strade e le piazze di Libreville con cui «il popolo si con­gratula per i 40 anni al potere», il Pa­ese è pieno di palazzi e strade, a lui intitolati: dal Senato Omar Bongo, al boulevard trionfale Omar Bongo, al­l’università, allo stadio, alle pale­stre, all’ospedale militare. Perfino la città natale dell’uomo amico di tutti i presidenti francesi, da de Gaulle a Chirac, ha cambiato nome: ora si chiama Bongoville. Il suo scettro è passato al figlio Ali Ben che ha già rassicurato le compa­gnie petrolifere: «Il Paese non cam­bierà ». Il che, tradotto, vuol dire: voi vi prendere il petrolio e noi conti­nueremo ad arricchirci. Qualcuno a Libreville ha aggiunto: «E la popola­zione a morire di fame». Massimo A. Alberizzi