Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 05 Sabato calendario

ENRICO FRANCESCHINI SU REPUBBLICA

Se ci fosse ancora in giro Agatha Christie, potrebbe intitolarlo così: «Lo strano caso delle matite colorate», e scriverci un delizioso giallo con l´ispettore Poirot o Miss Marple che indagano nel curioso mondo dell´arte contemporanea londinese. Gli ingredienti del thriller non mancano: c´è un furto, anche se il ladro lo considera un «prestito», per un valore di almeno mezzo milione di sterline; c´è un arresto; e c´è un movente, il desiderio di vendetta, o di giustizia, a seconda dei punti di vista. Per di più, come nei romanzi della Christie, il delitto in questione si svolge sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno se ne accorga; e se non fosse stato il ladro a reclamizzarlo, forse nessuno se ne sarebbe ancora accorto.
 insomma una tipica storia inglese quella che vede come protagonisti Damien Hirst, il beniamino dell´arte concettuale, colui che trasforma in oro, letteralmente, tutto ciò che tocca, e un ragazzino di 17 anni conosciuto solo con il suo soprannome, Cartrain, un giovanissimo epigone di Hirst, determinato a fare carriera con i graffiti. Nel luglio scorso, alla Tate Modern, uno dei più illustri musei di Londra, si teneva un´esibizione di opere di Hirst, tra cui "Pharmacy", una scultura - o forse è il caso di chiamarla un´installazione - che riproduce parte di una farmacia, una farmacia stile anglosassone per la precisione, uno di quei drugstore dove si possono acquistare non soltanto medicinali ma un po´ di tutto. Perfino matite colorate. Cartrain ha gironzolato nella "Pharmacy" di Hirst, e prima di andarsene si è messo in tasca una confezione di Faber Castell, le matite che i bambini di mezzo mondo usano per disegnare.
A questo punto, come nei romanzi, è necessario fare un passo indietro. L´anno scorso il giovane graffitaro fotografò un´immagine di "For the love of God", il famoso teschio tempestato di diamanti di Hirst, per creare una collage che mise poi in vendita su un sito d´arte. Scoperta la cosa, Hirst lo denunciò alla società dei diritti d´autore e riuscì a farsi dare indietro l´immagine della sua opera. Lasciati passare alcuni mesi, Cartrain ha operato la vendetta, sgraffignando le matite e creando una specie di finto poster della polizia, nello stile degli avvisi per i ricercati: «Sparite matite colorate dalla Tate Modern. Chiunque le abbia viste chiami questo numero. Se Damien Hirst le vuole indietro, mi restituisca il mio lavoro. Entro la fine di luglio, altrimenti faccio la punta alle matite. Io l´ho avvertito». Che è come minacciare di tagliare una colonna del Partenone, o qualcosa del genere: "Pharmacy" non sarebbe più stata la stessa cosa.
Anziché patteggiare, tuttavia, Hirst ha chiamato la polizia. E qualche giorno fa, quando il graffitaro è tornato a casa, ha trovato ad aspettarlo gli agenti della squadra "arte e antichità" di Scotland Yard: che lo hanno arrestato per furto, comunicandogli che le matite colorate hanno un valore stimato in mezzo milione di sterline e che ha danneggiato un´opera, "Pharmacy" appunto, che di sterline ne vale dieci milioni. Il ragazzo si è difeso sostenendo di averle prese «in prestito», ma è stato rilasciato solo su cauzione in attesa del processo. Le matite sono state riconsegnate a Hirst. Giustizia è fatta. L´arte (concettuale) è salva. Il caso è chiuso.

Chi è

Volto coperto
Il graffitaro Cartrain, 17 anni, non è nuovo alle provocazioni: lo scorso anno aveva riutilizzato l’immagine del teschio ricoperto di diamanti – uno dei simboli dell’opera di Damien Hirst’ in una serie di collage umoristici in vendita a 65 sterline su un sito web. In alto, il ragazzo indossa il teschio come una maschera mentre mostra uno dei collage

Il finto manifesto
Questa volta a fare infuriare Hirst, vera e propria star dell’arte britannica, è stato il furto di una scatola di matite messo a segno da Cartrain ai danni di un’installazione di Hirst, «Pharmacy». Dopo averle rubate, il ragazzino terribile ha costruito un finto manifesto della polizia, nella foto, con l’immagine della scatola di Faber Castell rubata e l’invito a chi avesse notizie a informare gli agenti

L’arresto
Tanto è bastato a farlo arrestare, riuscendo ad uscire solo dietro cauzione.

DAL NOSTRO INVIATO

LONDRA – Se vuoi irritare un artista milionario, prendi in ostaggio le sue matite. Co­sì un diciassettenne inglese, che invece di fare i compiti a casa nel pomeriggio dipinge graffiti di Topolino, Tony Bla­ir e Clint Eastwood sui muri di East London (o li vende a 65 sterline su Internet), ha fat­to saltare i nervi a Damien Hirst. Ma l’artista 44enne, star della BritArt e vincitore del Turner Prize, che con ope­re come lo squalo tigre in for­maldeide e il teschio tempe­stato di diamanti ha fatto una fortuna di 200 milioni di ster­line, gliela sta facendo paga­re.

Il giovane graffitaro, che si fa chiamare Cartrain, era an­dato a vedere «Pharmacy», l’ultima installazione di Hirst, alla Tate Britain di Lon­dra. E non ha resistito «all’oc­casione d’oro» di rubare una scatola di matite. Dice di aver­le solo prese «in prestito», per vendicarsi di Hirst. Ma è stato arrestato e, uscito su cauzione (a condizione che non si avvicini a nessuna gal­leria che espone opere di Hirst), rischia ora d’essere in­criminato.

Il milionario e l’adolescen­te si erano già scontrati l’an­no scorso, quando Cartrain usò foto del famoso teschio di diamanti di Hirst, intitola­to For the love of God (per amor di Dio) per realizzare sei collage, anch’essi chiama­ti «Per amor di Dio», messi in vendita per 65 sterline su un sito web d’arte. In una delle opere, il teschio parla al tele­fono e tiene un dollaro in ma­no, in un’altra sta in un cesti­no del supermercato insieme alle carote. Una chiara presa in giro dell’opera di Hirst, che in generale Cartrain con­sidera «un rigurgito di opere di artisti degni di nota come Duchamp», come spiega al Corriere in un’email piena di errori di ortografia e di pun­teggiatura.

«Ho pensato che se lui faceva l’iconoclasta con­tro la chiesa potevo anch’io giocare un po’. E la sua reazio­ne è stata di rabbia e di fasti­dio ». Hirst lo ha denunciato alla «Design and Artists Copyright Society» (ironico secondo alcuni, visto che lui stesso era stato accusato di plagio per quell’opera) e ha costretto il sito 100ar­tworks. com a consegnargli i collage e il profitto di 200 ster­line. Non si scherza con Hirst.

Ma il ragazzino non ha re­cepito il messaggio. E così il 2 luglio ha rapito le matite e poi ha realizzato un falso ma­nifesto della polizia, con foto della scatola «Faber Castell» e descrizione del furto, in cui invitava chi avesse informa­zioni a contattare gli agenti. Ha affisso il poster all’entra­ta della Tate. Dopodi­ché ha chiesto il ri­scatto: «Per la resti­tuzione delle matite di Damien Hirst sa­ne e salve, vorrei in cambio le mie opere d’arte consegnate­gli a novembre. Non è una gran richiesta: Hirst ha tem­po fino a fine mese oppure il 31 luglio le matite verranno temperate. stato avvertito». Un paio di settimane dopo, però, tornato a casa, l’adole­scente ha scoperto d’essere ri­cercato dalla squadra «arte e antichità» di Scotland Yard (inizialmente suo padre è sta­to arrestato per errore). Così, racconta, «mi sono arreso al­la polizia con un appunta­mento pre-organizzato». Gli hanno spiegato che se una scatola di Faber Castell si compra per poche sterline, quelle di Hirst ne valgono 500 mila, e che ha danneggia­to un’opera da 10 milioni (nel frattempo rimossa). In at­tesa di entrare nella storia co­me uno dei più importanti la­dri d’arte di Gran Bretagna, il ragazzino ha un’altra richie­sta: incontrare Mr. Hirst. «Mi piacerebbe tanto chiedergli perché ce l’ha con me».

Viviana Mazza

Da Duchamp a Burri, plagi e sberleffi



Il Novecento è anche questo: un’epoca di sbeffeggiamenti spesso nascosti. Un secolo nel corso del quale, sin dalla stagione delle prime avanguardie, gli artisti si sono arrogati il diritto di compiere continue appropriazioni indebite.

Hanno effettuato irriguardose scorribande nella storia dell’arte, indugiando su pezzi di quadri, su tasselli di sculture. Si sono impossessati di questo vasto archivio, che poi hanno fatto confluire in opere tese a infrangere ogni aura consolidata. Damien Hirst finge di non saperlo: ma anch’egli appartiene a un tempo, per dirla con Kundera, di «testamenti traditi». Ci si può richiamare a qualsiasi fonte iconografica, vicina o lontana: la si utilizza, la si smonta, la si svuota, per immetterla infine in una inattesa drammaturgia di segni. Tra i padri di questa estetica, Marcel Duchamp, il quale, con concettuale sarcasmo, nel 1919, acquisì l’immagine della Monna Lisa mettendole i baffi: un gesto estremo, che tendeva a privare il capolavoro di Leonardo di ogni valenza sublime, trasformandolo in un ready- made . solo un esempio. Il secolo breve è una sequenza di atti provocatori. Dal futurismo alla transavanguardia. Artisti che guardano ad altri artisti, portandosi al di là di ogni passivo rispetto. A volte, confessano i propri debiti: si pensi a Picasso e a de Chirico, a Carrà e a Morandi, a Dalí e a Sironi, per giungere a Warhol, a Paolini, a Basquiat, a Clemente e ai protagonisti di un movimento degli Anni Ottanta come l’anacronismo, fondato proprio sulla poetica della citazione. Autori che hanno riscritto i loro maestri di riferimento, proponendo un catalogo di memorie differite. Traditori abili nel trasgredire il loro oggetto del desiderio, impegnati a donare un retroterra culturale alle loro avventure formali, animati da una passione alterata per i loro modelli. Incontriamo tante ripetizioni differenti. Si pensi a Robert Rauschenberg, il quale, dopo aver a lungo frequentato lo studio di Alberto Burri e aver assistito alla difficile costruzione dei «Sacchi», realizza i combine-paintings, inizio della stagione del New Dada e poi della Pop Art. Burri parlò sempre con una certa ironia di quella strana «coincidenza». Uno humour che, invece, non ebbe Alberto Sughi, quando scoprì che il giapponese Yoshihiko Wada aveva plagiato un suo dipinto. Con la vicenda di Damien Hirst – che risponde duramente allo scanzonato «omaggio» di un giovane writer’ siamo dinanzi a un nuovo capitolo di questa piccola storia di assonanze più o meno esplicite. Giochi del destino: lo sbeffeggiatore che non accetta di essere sbeffeggiato. Vorremmo ricordare a Hirst una riflessione di Pasolini, il quale, cogliendo le ragioni sottese alla pratica della citazione, scriveva: «Chi mima uno stile mima un’anima».

Vincenzo Trione