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 2009  settembre 05 Sabato calendario

Sergio Romano LINCOLN E LO SCHIAVISMO ABOLIZIONE S, PARIT NO Mi sono imbattuto in un discorso del 1858 di Abramo Lincoln perché curioso di vedere come realmente la pensasse il presidente americano dello schiavismo e in generale del razzismo nel periodo nel quale egli era protagonista della vita politica degli Usa

Sergio Romano LINCOLN E LO SCHIAVISMO ABOLIZIONE S, PARIT NO Mi sono imbattuto in un discorso del 1858 di Abramo Lincoln perché curioso di vedere come realmente la pensasse il presidente americano dello schiavismo e in generale del razzismo nel periodo nel quale egli era protagonista della vita politica degli Usa. Trascrivo brevemente: «Non sono, e non sono mai stato favorevole ad una qualsiasi realizzazione della parità sociale e politica della razza bianca e nera; esiste una differenza fisica tra la razza bianca e nera che credo impedirà per sempre alle due razze una convivenza in termini di parità sociale e politica. E poiché esse non possono convivere in questa maniera, finché rimangono assieme ci dovrà essere la posizione superiore e la inferiore, ed io, al pari di chiunque altro, sono favorevole a che la posizione superiore venga assegnata alla razza bianca». Fabio Vitanza fabiovitanza@tiscali.it Caro Vitanza, Il dibattito sullo schiavi­smo, prima della Guerra di secessione, fu molto più complicato di quanto non appaia dalle ricostruzio­ni sommarie dei manuali sco­lastici dei nostri giorni. Per molto tempo il problema in discussione non fu il diritto degli Stati del sud ad afferma­re nei loro statuti che un uo­mo o una donna neri poteva­no essere proprietà di un uo­mo bianco. Su questo partico­lare punto le obiezioni furo­no lungamente minoritarie. Il problema, se mai, era un al­tro: se nei nuovi territori che si andavano rapidamente co­stituendo durante l’impetuo­sa avanzata della società ame­ricana verso il Pacifico, gli abitanti avessero il diritto di legalizzare lo schiavismo. Quando la Corte suprema sembrò ammettere la possibi­lità che lo schiavismo venis­se esportato al di là degli Sta­ti del sud, la sua sentenza pro­vocò un’ondata di sdegno in cui vi erano sentimenti mora­li e religiosi, ma anche inte­ressi economici. Erano favo­revoli all’abolizione quei ceti sociali che puntavano sull’in­dustrializzazione e chiedeva­no tariffe protezioniste a cui gli Stati del sud, dove il basso costo della mano d’opera fa­voriva le esportazioni, erano contrari. Lincoln nacque in uno Stato schiavista (il Kentucky), ma fe­ce la sua carriera di avvocato in uno Stato anti-schiavista (l’Illinois) e fu sempre contra­rio alla diffusione dello schia­vismo nella nuova America che stava crescendo fra il Mid­dle West e la California. Ma cer­cò di adottare una linea politi­ca che non approfondisse il fossato tra il Sud e il Nord e gli permettesse di essere ricono­sciuto e accettato come un lea­der nazionale. Durante un di­battito con uno dei maggiori esponenti del partito democra­tico ricordò che i neri già libe­ri erano 433.643 e che sarebbe stato assurdo negare la loro umanità e i diritti conquistati. Ma volle al tempo stesso di­stinguersi dagli abolizionisti più radicali e si affrettò ad ag­giungere: «Non venga mai det­to che io sostenga l’instaura­zione di una eguaglianza socia­le e politica fra bianchi e neri. Ho già detto il contrario». Così fu effettivamente fino agli anni Sessanta del secolo scorso. L’era della segregation (vale a dire il corrispondente americano dell’apartheid sud-africana) finì formalmen­te soltanto con il Civic Rights Act, promosso dal presidente Lyndon Johnson nel 1964.