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 2009  settembre 05 Sabato calendario

PER BATTERE LA CRISI IMITATE ROCKFELLER NEL CRACK DEL 1873

Nell’ottobre dello scorso anno, durante i giorni di panico seguiti al crollo di Wall Street, lo storico americano dell’Ottocento e della guerra di secessione Scott Reynolds Nelson, del College of William and Mary di Williamsburgh ( Virginia), conobbe un momento di particolare notorietà. Infatti, pubblicò sulla rivista "The Chronicle of Higher Education" un articolo in cui paragonava la recessione globale che allora stava iniziando non al 1929, cioè al più noto paradigma di tutte le crisi economiche, bensì alla grande depressione del 1873. L’attenzione dei media (l’articolo fu tradotto in molte lingue e variamente commentato) verso questo raffronto storico è poi scemata sotto l’incalzare degli avvenimenti, ma vale la pena oggi di rivisitare le argomentazioni di Nelson, perché quando una crisi ha una portata come quella attuale i paralleli storici sono necessari. E anche chi non è storico di professione e quindi ha una visione parziale degli eventi può dare un contributo per stimolare il dibattito.
Il calo degli indicatori economici durante il primo anno dell’attuale recessione ha toccato intensità indubbiamente simili a quelle registrate nella prima fase dellacrisi del ’29 ma, a parte altre analogie marginali, il paragone si ferma qui. Nel 1873, invece, gli indicatori macroeconomiciallora esistenti non registrarono una caduta analoga a quella odierna e di ottanta anni fa. Infatti, il numero di paesi che accusarono diminuzioni del prodotto interno lordo nel 1873 e negli anni successivi fu abbastanza limitato. Tuttavia quella crisi fu avvertita pesantemente dalle borse ed ebbe conseguenze profonde e durature sulle economie, determinando un lungo strascico di problemi in molti settori produttivi, nell’occupazione e nel commercio internazionale.
Le cause che determinarono la depressione del 1873 furono in effetti assai simili a quelle che hanno provocato la crisi odierna, mentre il crack del ’29 originò principalmente da altri fattori, come la sovrapproduzione di beni di consumo in America e la conseguente crisi bancaria e azionaria, senza dimenticare il fatto che l’Europa era nel ’29 profondamente divisa e debole, con la Germania ancora afflitta dalle difficoltà conseguenti al pagamento dei debiti della prima guerra mondiale. La crisi del ’29,inoltre,non fu assolutamente causata da un eccesso di debiti delle famiglie per i mutui sulla casa e il credito al consumo, come è avvenuto stavolta negli Stati Uniti e in molti altri paesi.
Viceversa, come ha rilevato Nelson, la crisi del 1873 originò come quella di oggi dai problemi del settore immobiliare in Europa centrale e in Francia e si trasferì poi rapidamente al settore finanziario, propagandosi alla Gran Bretagna e agli Stati Uniti con un crollo generalizzato delle borse. Osserva Nelson che intorno al 1870 negli stati dell’Europa continentale prese avvio un boom incontrollato del settore delle costruzioni municipali e residenziali, specialmente nelle capitali di Vienna, Parigi e Berlino, favorito anche da una eccessiva fioritura di istituzioni finanziarie specializzate nell’erogazione di mutui immobiliari concessi con sempre maggiore facilità e senza adeguate garanzie. La vittoria militare sulla Francia nel 1871 e i relativi incassi per le riparazioni di guerra generarono in Germania un’euforia di investimenti in ferrovie, fabbriche, scali portuali e navi che si aggiunsero agli investimenti nel settore delle costruzioni. Quando la borsa di Vienna crollò nel maggio 1873, generando un panico diffuso, le banche inglesi ritirarono rapidamente i loro capitali dal continente e il costo del credito interbancario in Europa andò alle stelle, proprio come è avvenuto nell’odierna crisi.
La crisi bancaria si propagò rapidamente anche agli Stati Uniti colpendo in modo particolare il settore delle ferrovie, che già da qualche tempo era in difficoltà poiché non riusciva più a finanziarsi attraverso l’emissione di obbligazioni, ma doveva ricorrere in misura crescente ai prestiti a breve dalle banche. Il 18 settembre del 1873 la Jay Cooke & Company, uno dei maggiori istituti del mondo bancario americano pesantemente coinvolto nei collocamenti obbligazionari della compagnia ferroviaria Northern Pacific Railway, dichiarò bancarotta. Come la Lehman Brothers anche la Jay Cooke era un istituto sistemico e gli effetti furono disastrosi sull’intero sistema finanziario americano e internazionale. I prezzi a Wall Street precipitarono, scoppiò il panico e invano il governo statunitense annunciò che avrebbe comprato parecchi milioni di dollari di obbligazioni cercando di iniettare liquidità e fiducia nel sistema. Il presidente degli Stati Uniti Ulisse Grant, consultandosi con i più autorevoli uomini d’affari dell’epoca come Cornelius Vanderbilt e Henry Clews, cercò senza riuscire di arginare la catastrofe. Sull’arco della crisi decine di membri dello Stock Exchange e migliaia di compagnie mercantili fallirono. Fu ripristinato il gold standard nel tentativo di stabilizzare la moneta e di frenare l’inflazione e la speculazione.
Le conseguenze della crisi finanziaria del 1873 sull’economia reale furono molto forti, specialmente nel settore industriale e ferroviario.L’indice della produzione manifatturiera americana ricostruito da Edwin Frickey registra una caduta progressiva dal 1873 al 1876 analogamente a un indicatore "reale" particolarmente sensibile come le consegne di ghisa ( si veda il primo grafico qui a fianco). I tratti di nuove ferrovie realizzati, dopo aver toccato un massimo di 7.439 miglia nel 1872, precipitarono a 1.606 miglia nel 1875. Secondo la cronologia del Nber il ciclo negativo dell’economia statunitense perdurò dall’ottobre del 1873 al marzo del 1879, per un totale di 65 mesi: la depressione più lunga della storia americana assieme a quella del ’29.
La disoccupazione si impennò rapidamente toccando nella sola città di New York il 25%. Gli scioperi e le manifestazioni crebbero per numero e intensità assumendo dimensioni senza precedenti, come in occasione della protesta del gennaio del 1874 al Tompkins Square Park in cui migliaia di disoccupati furono violentemente dispersi dalla polizia. Nelson sottolinea come gli operatori più colpiti furono le piccole e medie imprese, proprio come sta avvenendo oggi, a causa del credit crunch che anche allora fu fortissimo.
Ma la crisi produsse anche una generazione di vincenti, cioè le compagnie, non solo finanziarie, che disponevano di liquidità e che poterono consolidarsi e crescere comprando a prezzi di saldo altre società concorrenti. Andrew Carnegie, Cyrus McCormick e John D. Rockfeller ebbero abbastanza capitali per finanziare la loro crescita tumultuosa. Fu proprio in quell’epoca che i grandi gruppi industriali e finanziari d’America cominciarono ad assumere dimensioni tali da necessitare poi di essere contrastati e limitati dalle successive legislazioni antitrust. L’era aperta dalla crisi del 1873, secondo Nelson, portò anche altre conseguenze, tra cui un aumento del protezionismo commerciale a livello internazionale, una diffusa insofferenza per i lavoratori immigrati che minacciavano i posti di lavoro delle popolazioni autoctone e anche il diffondersi di teorie "cospirative" nell’Europa centrale come quella secondo la quale la crisi finanziaria era stata provocata dagli ebrei e dalle banche straniere.
Gli anni della lunga depressione del 1873 segnarono anche il passaggio del testimone della leadership economica del mondo dall’Europa agli Stati Uniti, con l’emblematico sorpasso del Pil statunitense, nonostante la recessione in corso, ai danni di quello inglese (si veda l’altro grafico qui a fianco). Si chiede poi Nelson: forse la crisi globale odierna sarà presto seguita da un nuovo cambio di leadership, quello tra l’indebolita economia americana che, come una "cicala", ha vissuto troppo a lungo al di sopra dei propri mezzi senza più produrre beni reali e senza risparmiare, e l’emergente potenza della Cina? Questo evento potrebbe non essere lontano e, se la storia non riserverà sorprese, potrebbe essere accelerato dalla crisi economica globale che gli Stati Uniti stessi hanno principalmente contribuito a generare.