Federica Bianchi, L’Espresso, 10 settembre 2009, 10 settembre 2009
FEDERICA BIANCHI PER L’ESPRESSO 10 SETTEMBRE 2009
Chi si rivede, il bonus Dopo una brevissima stagione di sobrietà e promesse, i premi e i redditi dei super manager tornano a correre. Imbarazzando i governi, che vogliono mettere un freno. Ci riusciranno?
Anche stavolta potrebbe avere ragione lui, il Tancredi de ’Il Gattopardo’. Non in Sicilia, ma a Pittsburgh, negli Usa, dove il 25 settembre si riuniranno i ministri delle Finanze e i leader dei 20 paesi più importanti del mondo. La sensazione è che qualcosa cambierà perché, alla fine, nulla cambi davvero. E che le remunerazioni dei top manager della finanza internazionale continueranno a suscitare l’invidia e la rabbia di chi non ce la fa a pagare il mutuo a fine mese.
La crisi economica peggiore dal 1929, che ha gettato le principali economie mondiali in recessione, comincia, seppure lentamente e con probabili inciampi, a fare dietro front, permettendo ai governi di riprendere fiato, e alle truppe di contare le perdite. Negli Stati Uniti 34 istituzioni finanziarie - tra cui le banche d’investimento JP Morgan Chase, Goldman Sachs e Morgan Stanley - hanno restituito 70 dei 700 miliardi di dollari messi complessivamente a disposizione dal governo per evitare il collasso economico del Paese. Libere dai vincoli imposti dal Tarp (Trouble asset relief program), il programma tramite cui il governo Usa ha comprato quote nelle banche in difficoltà in cambio di una serie di paletti imposti alla dirigenza, potranno ora tornare al vecchio vizio dei compensi stratosferici. Non solo. Perfino le banche ancora legate al Tarp, come la Wells Fargo di San Francisco, che ha ricevuto 25 miliardi di dollari di salvataggio, stanno già ottenendo aumenti di stipendi per i loro manager, con l’unica differenza che non saranno sotto forma di bonus ma di azioni da tenere in portafoglio almeno finché la banca non tornerà a camminare con le sue gambe. L’amministratore delegato John Stumpf, che nel 2008 non aveva ricevuto il bonus, oltre al salario di 900 mila dollari riceverà nel 2009 anche 4,7 milioni di dollari in azioni.
Non solo oltre Oltreoceano, ma anche qui in Europa, nonostante le proteste dei cittadini e le mediazioni dei governi, sono già iniziati gli accantonamenti per i mega bonus del 2009. Dopo avere ricevuto 5,1 miliardi di euro dal governo francese, che di fatto ne è diventato l’azionista principale con una quota 17 per cento, Bnp Paribas ne aveva messo da parte oltre un miliardo per pagare a fine anno vertici e trader della divisione investment banking (fino a quando non è intervenuto il primo ministro francese Nicolas Sarkozy e ha dovuto dimezzare l’importo). Nella City londinese i bonus potrebbero raggiungere quest’anno i 4 miliardi e mezzo di euro. Uno dei banchieri della Royal Bank of Scotland, la banca che ha ricevuto 25 miliardi di euro dai contribuenti inglesi per salvarsi la vita, riceverà perfino un bonus blindato da 8 milioni di euro. Gli impiegati di Goldman Sachs si dovranno ’accontentare’ di bonus medi da 500 mila euro. Intanto Barclays, in piedi con garanzie statali, ha offerto a 5 banchieri JP Morgan bonus fino a 35 milioni di euro pur di conquistarli, nonostante le raccomandazioni alla moderazione della Financial Service Authority (Fsa) inglese.
A Londra, come a Parigi e a New York, le grandi banche temono di perdere i loro impiegati migliori - e i comuni le entrate fiscali più ricche - se non saranno in grado di offrire loro il tenore di vita degli ultimi cinque anni. Una paura legittima, a meno che non avvenga il miracolo, e i governi non mettano a punto una quasi impossibile azione coordinata, che stabilisca regole effettive e sia in grado di produrre qualcosa di più concreto delle solite linee guida.
A questa speranza, anche perché potrebbe ritoccarne l’immagine da perdente, si è recentemente aggrappato il primo ministro britannico Gordon Brown: "Quando il mondo si unisce può indubbiamente fare la differenza", ha dichiarato in un’intervista al ’Financial Times’. E poi ha declinato la sua ricetta da presentare al summit autunnale: politiche fiscali restrittive, un ridimensionamento delle remunerazioni che premiano l’eccessiva propensione al rischio, e una crescita bilanciata che tenga conto anche dell’impatto dei cambiamenti climatici.
Ma la Fsa, a dispetto delle dichiarazioni bellicose del suo leader, Lord Turner, che avrebbe voluto ridimensionare un "settore socialmente inutile" e per di più "cresciuto a dismisura", non ha avuto fino ad oggi la forza di imporre alle aziende che i bonus fossero effettivamente legati alla performance aziendale. Lo ha stabilito solo come vaga, e ignorata, indicazione.
Già, perché di indicazioni quest’estate ne sono girate tante, e più o meno tutte di buon senso. Da quella di una lobby inglese di sinistra, Compass, che, sulla falsa riga della Low Pay Commission (che a suo tempo stabilì il salario minimo nazionale), vorrebbe l’introduzione di una High Pay Commission, con il compito di monitorare gli effetti distorsivi che il divario inglese tra ricchi e poveri, il più alto in Europa, ha sulla società e sull’economia del Paese. Alle stesse nuove indicazioni di Turner che, sommerso dalle critiche di un’opinione pubblica sempre più esasperata, adesso vorrebbe aumentare i requisiti di capitale per le attività di trading e, se l’operazione si rivelasse insufficiente, anche tassare le transazioni finanziare della City in modo da ridurre il capitale disponibile per i bonus, incrementando contemporaneamente quello destinato ad azioni filantropiche globali. In Inghilterra negli ultimi dieci anni, ricorda Gavin Hayes, il segretario generale di Compass, la media delle remunerazioni dei Ceo dell’indice FTSE100 è cresciuta del 295 per cento a fronte di un balzo medio dei salari del 44 per cento e di un tonfo del valore dell’indice del 23 per cento.
La proposta che fino ad oggi ha ottenuto il maggior numero di consensi, inclusa l’adesione entusiasta della cancelliera tedesca Angela Merkel, è stata quella del primo ministro francese. Si è detto determinato a fare della Francia il paese cavia per una riduzione drastica dei bonus bancari, a partire dall’esempio di Bnp Paribas. "Da adesso in poi i trader devono aspettare tre anni per incassare il bonus nella sua totalità, e se nei due anni successivi la loro attività perderà soldi, non avranno affatto il bonus", ha dichiarato ai giornalisti. Ed ecco il concetto di bonus-malus: soldi extra (il bonus) solo a fronte di risultati sostenibili nel medio termine (concetto impensabile solo due anni fa, quando l’ossessione erano i risultati trimestrali). "Questo modello non può essere messo in pratica soltanto in un paese", ha sottolineato il boss di Bnp Paribas, Baudouin Prot, perché il rischio è che la reputazione finanziaria francese sia sacrificata alle ambizioni politiche del premier. Ma se quest’ultimo non ha perso tempo ad annunciare che applicherà tale principio severamente a casa propria - chi non rispetterà queste regole non avrà infatti accesso al lucroso mercato delle privatizzazioni statali - ha anche detto chiaramente di volerne fare il suo cavallo di battaglia al G20.
Senza cavallo e con poche idee pare invece l’Italia, dove il regolatore di Borsa, la Consob, sta solo a guardare, dicendosi pronta ad accettare qualsiasi proposta uscirà da Pittsburgh. A dire la verità da noi è già difficile capire quale sia davvero la retribuzione dei top manager, visto che non tutti gli elementi devono essere tempestivamente dichiarati (come ad esempio i ’retention bonus’, che appaiono nel bilancio al momento dell’incasso, ma non in quello della delibera), e che società come Hay Group, che di mestiere studiano la remunerazione dei dirigenti, ritengono "non significativi" per stabilire la remunerazione annuale dei top executive i dati dei bilanci. "Ottenere una maggiore trasparenza sul management", sottolinea Patrizio Di Nicola, docente di Sociologia dell’Università romana La Sapienza, "sarebbe già un grande successo". D’altra parte in Italia i super bonus non sono multipli del salario base come negli Usa, e non rappresentano, come in Germania, insieme agli incentivi di lungo periodo, il 70 per cento del pacchetto retributivo di un amministratore delegato (dati Hay Group). Da noi il salario di base valeva fino all’anno scorso ancora metà della retribuzione complessiva, e le dava stabilità. Ma qualcosa sta cambiando, e i bonus cominciano a giocare un loro ruolo. Se nel 2007 il capo di Unicredit Alessandro Profumo aveva ricevuto un premio di oltre 6 milioni di euro, due volte superiore al salario, nel 2008 vi ha dovuto rinunciare dopo la performance deludente della banca. Lo stesso discorso vale per Corrado Passera, amministratore delegato di Intesa, il quale nel 2008 ha visto dimezzarsi il bonus 2007 di un milione e mezzo di euro, a fronte di un ’fisso’ di due milioni di euro invariato in entrambi gli anni.
Ad avere invece già messo in pratica le intenzioni francesi, senza attendere la sottoscrizione degli attori d’Oltralpe, è stata la banca svizzera Ubs, dopo avere ricevuto l’anno scorso ben 60 miliardi di dollari dal governo. Il presidente Peter Kurer, che ha rinunciato ai bonus 2007-2008, almeno finché i conti non saranno tornati in ordine, riceverà quest’anno solo lo stipendio. Gli altri 12 membri del Cda potranno godere di un premio, ma secondo i principi del bonus-malus: sarà congelato per un certo periodo di tempo così da scoraggiare quegli investimenti rischiosi di breve che hanno dato il via al terremoto finanziario dell’anno scorso.
Proprio la relazione tra gestione del rischio e remunerazione del personale sarà l’argomento al centro delle discussioni dei prossimi giorni. Negli ultimi anni tra l’80 e il 90 per cento della remunerazione dei top manager era basata esclusivamente sulla performance annuale, che incentivava l’assunzione di rischi eccessivi. Secondo il Financial Stability Forum - l’organismo finanziario internazionale presieduto dal governatore della Banca d’Italia Mario Draghi - la composizione delle remunerazioni dei top manager, e non soltanto la loro quantità, ha contribuito alla caduta del settore. Solo una sua ristrutturazione, che orienti banche e istituzioni finanziarie a risultati apparentemente più modesti, ma in realtà più solidi, potrà garantire che una crisi del genere non si ripeta in futuro. "La priorità deve essere data al legame tra il rischio e i compensi", si legge nel rapporto di aprile sulle pratiche di remunerazione: un’indicazione perfettamente recepita dal meccanismo del bonus-malus.
Fino ad oggi il meccanismo del bonus si è sempre mosso verso l’alto in riposta a buone performance, ma mai verso il basso quando i risultati diventavano negativi, grazie anche a meccanismi che salvavano il cattivo risultato invocando l’andamento del mercato o situazioni in cui il manager era solo indirettamente responsabile.
Ma se a Pittsburgh, una delle città più verdi degli Stati Uniti, i capi di Stato vorranno fare pulizia non solo ambientale, allora dovranno trovare un meccanismo per cui anche gli stipendi e i bonus dei top manager di mezzo mondo diventino davvero ecocompatibili.