Maria Carla De Cesari, Il Sole-24 Ore 4/9/2009;, 4 settembre 2009
DA «PAGHISTI» A CONSULENTI AL CENTRO SOLO IL LAVORO
«Trent’anni fa eravamo paghisti, o come dice un collega di Roma bustapagaioli. Tra noi ci si presentava con il numero di cedolini compilati. Mille, novecento, duemila, tremila. E via al rialzo. Oggi, il nostro lavoro è fatto più di consulenza».
Mentre ripercorre la sua carriera, Claudio Baldassari, 59 anni, consulente del lavoro a Mantova, rivendica con orgoglio le radici della professione: la busta paga. Non si prescinde da lì, dal fatto di dare evidenza inmaniera corretta a inquadramento, ferie, permessi congedi, orari. il concreto su cui si fonda tutto, anche la consulenza: «Il cliente viene da me quando deve risolvere un guaio, altrimenti si rivolge all’impiegata. Siamo uno studio di 25 persone, di cui tre professionisti. Con il filtro di questa struttura sulla mia scrivania precipitano solo i problemi ». Altra realtà, altra impostazione. Reggio Calabria, Pietro Latella, 34 anni, cerca nuovi sbocchi. «Il mio obiettivo – dice – è fare il più possibile consulenza. Il prospetto-paga sono in tanti a elaborarlo, non è in questo che può affermarsi un professionista. La differenza, invece, la fa la possibilità di seguire l’imprenditore e pianificare con lui lo sviluppo del personale, la risorsa che è uno dei costi maggiori. Gran parte delle assunzioni avviene su segnalazione di conoscenti: sto cercando di far capire ai miei clienti che non sempre la persona affidabile indicata da un amico è la risposta giusta a un’esigenza dell’azienda. Non è detto che il curriculum basti per scegliere, talvolta occorre selezionare, anche attraverso colloqui successivi».
Insomma, ricerca e selezione del personale sono le attività che Latella scriverebbe sul suo biglietto da visita. Qual è la definizione di "consulente del lavoro"? « la figura – risponde – che gestisce i dipendenti dell’azienda,con un inquadramento ottimale e che mette in atto le strategie per far fruttare quello che viene speso in retribuzione». P
rivilegiare la consulenza dà frutti? La realtà di Reggio Calabria è difficile e la criminalità fa sentire il suo peso. «Devo dire che qualche imprenditore inizia a seguirmi. Quanto al contesto economico e sociale, sarebbe sciocco nascondersi dietro un dito. Però anche qui – dice Latella – c’è un’imprenditoria solida e un’imprenditoria sofferente. E la criminalità organizzata è ramificata in tutto il territorio nazionale. Io però non faccio attività fiscale e non ho modo di entrare nei pagamenti dell’azienda». In ogni caso, il consulente opera – sottolinea Latella – per la legalità. «Il mio obiettivo è essere corretto. chiaro che i rapporti in nero non transitano dal professionista».
Pietro Latella ha aperto lo studio quattro anni fa, anche se la sua vita professionale è iniziata a 20 anni, con il praticantato fatto in contemporanea con l’università. Ha conosciuto la professione perché i genitori erano funzionari Inps e in casa ha familiarizzato con le questioni di lavoro, i contributi, i pagamenti, i modelli. «Non ho bruciato le tappe», fa osservare. «Per affermarsi nella professione occorrono pazienza e tempi piuttosto lunghi».
Nella ricerca e selezione del personale si appoggia alla Fondazione dei consulenti del lavoro che si occupa di far incontrare domanda e offerta d’impiego e che è stata autorizzata a operare in base alla riforma Biagi. Poi, cerca di tenersi al passo con le tendenze del mercato del lavoro, attraverso i corsi di formazione continua. Quanto alla documentazione, ci sono le riviste specializzate e di categoria, «ma il quotidiano non lo compro tutti i giorni». Con i colleghi c’è una rete per mettere in comune gli approfondimenti più interessanti.
Claudio Baldassari è consulente del lavoro per tradizione. «Lo era mio padre, aiutato da mia madre. Casa e studio erano un tutt’uno. Ho succhiato latte e paghe e sono cresciuto tra marche (il contrassegno per i contributi mensili) e marchette, per quelli settimanali. D’estate con la bicicletta avevo il compito di fare il giro degli uffici, dall’Inps al collocamento. L’ultima tappa era l’ispettorato del Lavoro. Poi, il forno, in piazza, per la pizza, costava 80 lire, avevo la mia paghetta».
L’esordio nella professione risale al 1977. «Tornato da 15 mesi di militare ho fatto l’esame di stato e mi è toccato un caso sull’industria del legno, un settore che conoscevo perché lo seguiva mio padre. Sono stato promosso, per fortuna. In caso di bocciatura, avrei dovuto presentarmi l’anno successivo. Spesso il giochetto era di fissare la sessione con qualche giorno di anticipo e l’effetto era di rinviare l’esame alla seconda sessione dell’anno».
Quelli erano anni di grande ottimismo per la consulenza del lavoro. del 1979, infatti, la legge che ha istituito l’Albo e ha fissato i paletti per l’esercizio della professione, con la previsione anche del tirocinio. «Con la riforma, non avrei avuto titolo per l’abilitazione. Ho fatto il liceo scientifico: non sono né dottore né ragioniere. Sono – scandisce – un "maturo"». Baldassari ha la passione per i numeri: «Mi mancano sette anni, quattro mesi e sette giorni al trattamento di pensione», puntualizza il 18 agosto, alla proposta di essere uno dei testimoni per ripercorrere la professione di consulente del lavoro.
I numeri permettono di arrivare alla concretezza. «Parlano senza ambiguità. Prendiamo un problema difficile come la previdenza: dicono ciò che ci dobbiamo aspettare». E di numeri è fatta la busta paga. «Da tempo, ogni mese, inviamo online i dati contributivi e retributivi all’Inps. Dal prossimo anno dovremmo anche mandare ogni mese all’agenzia delle Entrate le ritenute, in pratica la busta paga. Con il libro unico del lavoro si sono superati dei formalismi, con la possibilità di compilazione e stampa entro il 16 del mese successivo. Qualcuno che imbroglia ci sarà, ma a questo punto è giusto punirlo con severità». La violazione contestata dall’ispettore del Lavoro, infatti, è comunicata all’Ordine per la sanzione disciplinare.
Il libro unico del lavoro è il diario del personale delle aziende: assunzioni, qualifiche, inquadramenti, presenze, straordinari. «Per i consulenti del lavoro – spiega Latella – il libro unico ha rappresentato il riconoscimento del nostro ruolo sociale. Non può essere tenuto dai Ced».
I centri d’elaborazione dati sono costituiti in forma societaria e alcuni, quelli collegati ad associazioni di categoria o a multinazionali, sviluppano ogni mese migliaia e migliaia di buste paga, a prezzi improponibili per il professionista. Da sempre i consulenti del lavoro hanno cercato di limitare il loro raggio d’azione, in nome della riserva che la legge 12 stabilisce sugli adempimenti del lavoro.
Per anni si è consumata una serrata battaglia su che cosa significhi "calcolo e stampa dei cedolini". Con minuzia e amore per il dettaglio si sono pronunciati ministri e sottosegretari. Anche la Corte di giustizia Ue si è pronunciata, su appello di una multinazionale delle paghe, nell’impossibilità di capire la logica della legge italiana: i Ced sono costituiti in modo differente a seconda che si rivolgano a piccole o a grandi aziende.
Il paradosso, rilevato anche dai giudici del Lussemburgo, è che ad adempimenti che derivano, in teoria, da situazioni più complesse si risponde con strutture meno professionali.
Ora, rimarca Latella, il legislatore italiano ha fatto una scelta di campo a favore dei consulenti, «quando ha detto che il libro unico può essere tenuto solo dal datore di lavoro o dal professionista. E le associazioni di categoria non possono operare se non con i propri associati».
Baldassari ha un atteggiamento più disincantato. «Sui cedolini ”dice ”le associazioni di categoria fanno prezzi da fuori di testa perché hanno altre forme di finanziamento. Offrono una gamma di servizi che va dall’aspetto commerciale al marketing,dalla copertura assicurativa all’assistenza internazionale. Ma queste sono le possibilità collegate alla struttura. Poi, bisogna vedere i risultati. Ci sono associazioni che funzionano bene e altre che sono una pubblicità per i consulenti del lavoro. Al di là di questi poli,chi sceglie il professionista cerca un’attenzione diversa». Eppure, molti professionisti hanno costituito Ced- società di servizi come contenitori dell’attività di elaborazione, mentre lo studio resta titolare dell’attività di consulenza. Un modo per "spalmare" il prelievo fiscale e per ridurre il conto dei contributi previdenziali. «Su questo non mi pronuncio – si schermisce Latella – ma lo strutturarsi in forma di Ced provoca una svalutazione del prodotto, ci si limita a fare il cedolino, senza assumersi responsabilità. E poi nascono le contestazioni. A me – insiste Latella – non interessa la fabbrica delle buste paga».
La legge Bersani del 2006 ha ribadito la possibilità per i professionisti di organizzarsi in forma societaria. Una modalità messa in campo per offrire al cliente un servizio migliore, magari multidisciplinare, e per abbassare i costi delle prestazioni professionali. «Il punto è – chiarisce Latella – che non possiamo vendere l’attività professionale come una maglietta». Quindi, niente pubblicità? «No, niente pubblicità. Non possiamo svilirci, né prestarci al gioco al ribasso pur di prendere clientela. Perderemmo in qualità del servizio e diventeremmo Ced».
La qualità del servizio coincide, in parte, con la specializzazione. Baldassari e Latella condividono la scelta di aver reso la laurea triennale obbligatoria per l’accesso alla professione. «Oggi – commenta Baldassari – è necessario essere più preparati. Molti artigiani hanno un impiegato che tiene loro un po’ di contabilità e le paghe.Se si rivolgono al consulente del lavoro è per affrontare una grana».
E le contestazioni, dell’Inps o della direzione provinciale del Lavoro, nonostante la telematica consenta l’invio di tutti i dati rilevanti per il rapporto di lavoro, richiedono ancora il passaggio di persona agli sportelli degli uffici. Anzi, talvolta sono proprio i software che funzionano a creare i problemi. Insomma, il "giro" all’Inps o all’Inail, piuttosto che alla direzione del Lavoro, accompagna sempre la giornata del consulente.
Restii a farsi pubblicità, i professionisti sono scelti sul tradizionale passaparola? «Nella maggioranza dei casi – dice Baldassari – il cliente arriva attraverso la presentazione di un commercialista».
Però, anche ragionieri e dottori commercialisti possono fare consulenza del lavoro e molti hanno introdotto il servizio paghe per completare l’offerta dello studio e fidelizzare la clientela: le paghe vanno fatte ogni mese, mentre la consulenza anche fiscale è episodica. « così – risponde Baldassari – ma nelle città questa tendenza è meno pronunciata: il commercialista fa il fiscale e il societario e il consulente si occupa di lavoro. D’altra parte, come si fa a prendere sottogamba gli adempimenti di lavoro? Il commercialista che affida il suo nome a un’impiegata che compila le paghe, rischia. Prima o poi si sbaglia e allora sono dolori».