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 2009  settembre 04 Venerdì calendario

IL PARADOSSO DEL SOFT POWER E LE NUOVE FATICHE DI BARACK


Ancora molto popolare nel mondo intero, in difficoltà all´interno del suo Paese: per quanto tempo potrà durare questa contraddizione di Barack Obama? Alcuni appuntamenti importanti lo mettono alla prova in questo mese: dal 22 settembre l´assemblea generale delle Nazioni Unite, anticipata da una conferenza al Palazzo di Vetro sul cambiamento climatico; poi il G-20 di Pittsburgh dedicato all´economia e alle riforme dei mercati finanziari. Altrettanti terreni scivolosi, perché anche gli alleati stranieri e l´opinione pubblica internazionale potrebbero avere un inizio di ripensamento analogo a quello dei cittadini americani.

La ragione principale per cui in patria Obama ha visto scendere sensibilmente il suo indice di approvazione, è il procedere zoppicante della riforma sanitaria. Dietro queste difficoltà ci sono cause antiche, che hanno affondato quasi tutti i tentativi di riforma sanitaria in America dai tempi del presidente Harry Truman a quelli di Bill Clinton. I poteri forti del business sanitario - compagnie assicurative, multinazionali farmaceutiche, medici e ospedali privati - si sono coalizzati ancora una volta per difendere i loro interessi. Grazie ai mezzi finanziari di cui dispongono, hanno organizzato campagne di disinformazione micidiali. Hanno anche trovato un terreno fertile in alcuni settori dell´opinione pubblica, perché c´è sempre una parte della società che difende lo status quo: qualsiasi riforma dello Stato sociale non è indolore né senza costi per i privilegiati. Tutto questo esisteva prima di Obama.

Laddove lui ha una responsabilità personale non irrilevante, è per il suo rifiuto di affrontare alla radice l´intreccio perverso tra denaro e politica: quello che consente, per esempio, alla lobby assicurativa di spendere centinaia di milioni di dollari a sostegno dei deputati democratici "sabotatori" della riforma, nonché di invadere gli spazi televisivi con spot palesemente politici. Il tutto nel rispetto delle leggi vigenti. Perché di cambiare quelle leggi Obama ha smesso di parlare da tempo: per la precisione, da quando lui stesso fu capace di polverizzare ogni record storico nella raccolta di fondi per la sua campagna elettorale.
Gli stessi limiti nella sua audacia riformista gli presentano il conto sull´ambiente. E qui le difficoltà di Obama diventano meno domestiche: avranno un riflesso sulla sua credibilità internazionale e quindi sulla sua leadership proiettata nel resto del mondo. Certo, per l´opinione pubblica europea è musica soave ascoltare un presidente che mette tra le sue priorità la lotta al cambiamento climatico, una svolta radicale rispetto al "negazionismo" di George Bush. Ma quando si tratta di misurare quel che l´America è disposta a fare davvero per ridurre le sue emissioni di Co2, anche qui le delusioni sono in agguato. Al Congresso di Washington le lobby del petrolio, del carbone, delle utilities elettriche, dell´agricoltura più inquinante del mondo, hanno al proprio servizio robuste pattuglie di parlamentari. Pronti a fare "carne di porco" dei tetti alle emissioni carboniche, con generosi regali ai vari settori industriali. E guai a parlare di carbon tax, l´Amministrazione Obama non ci prova neppure: eppure sarebbe la strada maestra, la più lineare e trasparente, per incentivare al risparmio energetico il popolo più sprecone del pianeta. Fino a quando gli europei si lasceranno incantare dagli ideali ambientalisti di Obama, e quando cominceranno a fare i conti di ciò che cambia davvero?

Un altro terreno irto di asperità per il presidente è naturalmente quello dei due conflitti aperti, in Iraq e in Afghanistan. Il primo sembra destinato a risolversi con un ritiro sostanziale delle truppe Usa a scadenze abbastanza rapide. Ma il secondo è diventato ormai una "sua" guerra, non più soltanto un lascito di Bush. Da quando Obama ha deciso l´invio di altri 21.000 soldati, e ha definito l´Afghanistan una "guerra di necessità", ha fatto propria la visione dell´Amministrazione precedente, secondo cui combattere i talebani in casa loro è indispensabile per ridurre il rischio di un altro 11 settembre. Anche in questo caso, il tasso di innovazione della presidenza Obama è andato rapidamente riducendosi, rispetto alle aspettative sollevate in campagna elettorale. Non a caso la delusione del movimento pacifista in America è cocente. E anche gli alleati europei, pur confortati dal linguaggio multilateralista di Obama, devono ridimensionare le proprie speranze. Se i neocon di Bush davano per scontato il sostegno dell´Europa all´America, oggi sono gli europei che rischiano di dare per scontata un´armonia di vedute con Obama che non sempre c´è. Del resto il primo presidente a portare un nome d´impronta araba, e ad avere vissuto da bambino in un paese musulmano, eredita un dilemma geostrategico nei rapporti con l´Islam che non fu inventato dai neocon. La crisi degli ostaggi Usa a Teheran avvenne sotto il democratico progressista Jimmy Carter, e i preparativi dell´attacco di Al Qaeda alle Torri gemelle maturarono sotto Bill Clinton.

L´economia sembra il terreno sul quale il bilancio di Obama è più positivo. L´azione congiunta della sua Amministrazione e della Federal Reserve ha probabilmente scongiurato una Grande Depressione a livello globale. Il prezzo però è un´esplosione del deficit pubblico americano che accelera inevitabilmente il declino relativo degli Stati Uniti, soprattutto rispetto a quelle potenze emergenti come la Cina che sono diventati i nuovi creditori dell´economia mondiale.

La questione della leadership americana sotto Obama va vista nel contesto di questa evoluzione di lungo periodo. Questa presidenza ha riscoperto le virtù del soft power, detto anche "smart power": cioè quelle forme di egemonia che non sono affidate alla forza bruta delle armi ma operano attraverso strategie del consenso, si fondano sulla capacità di esportare valori, e di indicare interessi generali alla comunità delle nazioni. Ma anche quest´egemonia soft ha bisogno di poggiare su un´economia robusta, una crescita vigorosa, una società civile sana. L´attuale crisi finanziaria rischia di indebolire perfino alcuni punti di forza dove tradizionalmente la leadership Usa era indiscussa, come il primato nella ricerca e nell´università. Obama ha una qualità rara, la sua attitudine a cercare continuamente il confronto con le "eccellenze" nel resto del mondo: non si stanca di indicare ciò che l´America dovrebbe imparare dall´Asia nei risultati scolastici, e dall´Europa in certe politiche sociali. Attorno a lui però c´è una classe dirigente americana che negli ultimi decenni è diventata provinciale, autoreferenziale, distratta rispetto alla velocità del cambiamento nel resto del mondo.