Piero Ostellino, Corriere della Sera 04/09/2009, 4 settembre 2009
BERLIN, LA DITTATURA DEI DIRITTI
Ciò che distingue il liberalismo dalle altre dottrine politiche è la metodologia della conoscenza. Quella liberale è empirica; quella delle altre dottrine è filosofica. La metodologia empirica si pone la domanda «come » stanno le cose. Quella filosofica, la domanda sul «perché» delle cose. La risposta alla domanda sul «come» è verificabile nella realtà; è un giudizio di fatto. La risposta alla domanda sul «perché» non è verificabile nella realtà; è un giudizio di valore. Un esempio della prima è la frase di Adam Smith che non è dalla benevolenza del fornaio, del macellaio e del birraio che traiamo il nostro desinare, ma dal loro tornaconto. Dice «come» sono gli uomini. Per verificare che è vera è sufficiente constatare che nessuno dei tre regala la propria produzione. Il mercato è quella forma di giustizia «commutativa» attraverso la quale ci si scambiano beni con vantaggio dei contraenti. Chiedere al mercato di realizzare la giustizia «retributiva» – ubbidire a un principio etico: la giustizia sociale, l’eguaglianza e simili – e imporgli di farlo è un nonsenso logico e una violenza politica. un nonsenso logico, perché la sua vera funzione non è quella di produrre valori; è violenza politica, perché mortifica una delle libertà liberali, quella economica.
Il teorico della metodologia filosofica della conoscenza attribuisce, invece, il comportamento del fornaio, del macellaio e del birraio al loro «egoismo» e auspica un mondo eticamente fondato sull’«altruismo » universale. un «salto» logico inspiegabile se non con l’imposizione, in sede politica, di comportamenti morali estranei al contesto economico nel quale si manifestano. La descrizione (l’egoismo, come categoria della realtà) diventa prescrizione (l’altruismo, come categoria normativa). Il liberalismo ha storicamente incrociato lo Scientismo come «metodo» delle Scienze naturali applicato alle Scienze sociali. Ma se ne è discostato quando l’Illuminismo ha coniugato lo Scientismo – che espone a verifica empirica le proprie affermazioni – col Razionalismo, con la pretesa della pura Ragione che i comportamenti umani ubbidiscano alle stesse leggi delle Scienze naturali, siano la conseguenza logica del «nesso causale» cui ubbidiscono la fisica e la meccanica e, perciò, ugualmente prevedibili e sempre governabili.
Il liberalismo ha compreso che sono le passioni che muovono la Ragione, non viceversa; che i valori non si fondano né sulla Ragione, né sulla Scienza, ma sono scelte della coscienza individuale; che non può esserci una (sola) base razionale a tutte le convinzioni etiche e persino politiche né, tanto meno, una «razionalità collettiva ». Perciò, esso non indulge a astrazioni ideologiche collettive come «popolo», «classe», «razza» e simili, che sono la giustificazione della negazione delle libertà individuali in nome dell’affermazione di astrazioni «etiche», collettive, quali «l’utilità sociale», «il progresso civile» e simili.
Isaiah Berlin – nella sua ricerca delle radici del totalitarismo – denuncia le implicazioni politiche illiberali della libertà positiva che sacrifichi la realizzazione di sé associata alle passioni (la «falsa» identità) a quella definita dalla Ragione (l’«autentica » identità). Ma la libertà consiste nel fare ciò che si vuole, cioè anche nella possibilità di sbagliare, quale che sia l’interpretazione, autentica o falsa, della realizzazione di sé che se ne dia. C’è il rischio, inoltre, che qualcuno pretenda di sapere quale è la realizzazione «autentica» di sé e la imponga coercitivamente. lo Stato etico, totalitario, ma anche la logica che, nelle democrazie contemporanee, giustifica la confisca – in nome dell’idea «autentica » di socialità – di risorse che i cittadini utilizzerebbero meglio, per sé e nella produzione privata di beni e servizi collettivi oggi prodotti dallo Stato con grande spreco. La superiorità della libertà negativa, liberale, è che la libertà «da» è «la» libertà, indipendentemente da quale possa essere l’idea che ne hanno gli altri.
Un’altra implicazione, politicamente e socialmente negativa della libertà positiva – che Berlin non aveva previsto, ma che è sotto i nostri occhi – è la trasformazione, da parte della politica, di desideri personali in diritti universali. Le controindicazioni, qui, sono tre. La prima è l’impropria identificazione dei desideri con diritti, che provoca una anomala «inflazione» di questi ultimi. La seconda è la «bulimia democraticista » di chi rivendica un numero sempre maggiore di diritti, sovraccaricando la politica di domande e di aspettative, e riducendosi alla condizione di mendicità psicologica e di dipendenza politica dal potere cui si chiede di soddisfarli. La terza controindicazione – anche questa non teorizzata da Berlin, ma che sta diventando, per via fiscale, la «malattia terminale» delle democrazie – è che a ogni diritto di qualcuno corrisponde un dovere di qualcun altro. La fiscalità – come redistribuzione della ricchezza, non come contropartita di beni e servizi che lo Stato fornisce – è una forma di violenza, di matrice moralistica e collettivistica, dello Stato nei confronti dell’Individuo.
Il «pluralismo di valori» – la compresenza, in una «società aperta», di una pluralità di risposte, moralmente incommensurabili, fra loro conflittuali e politicamente non negoziabili, alle questioni etiche e politiche – assolve, infine, nel pensiero di Berlin, a due funzioni. La prima è descrittiva della realtà «effettuale»; che è sempre perfettibile, mai passibile di approdare alla perfezione. La seconda è esemplificativa del carattere realista, pluralista, umanista, gradualista, concretamente riformista del liberalismo. La convinzione che la perfezione morale e politica sia realizzabile produce due conseguenze. A) nega validità al riformismo, cadendo, filosoficamente, nell’utopia e, politicamente, nel massimalismo; che finiscono col trasformarsi in conservatorismo, se non in reazione, in nome, e nell’attesa, di un obiettivo, via via sempre più remoto, grandioso e mai empiricamente raggiungibile. la parabola del bicchiere mezzo pieno – il riconoscimento (riformista, gradualista) che la globalizzazione ha sottratto dalla condizione di povertà milioni di cinesi, indiani, sudafricani, sudamericani – e del bicchiere mezzo vuoto, la condanna (massimalista, reazionaria) della globalizzazione perché non ha tolto dalla povertà altri milioni di uomini. B) apre la strada al totalitarismo, nella convinzione che qualsiasi mezzo sia giustificabile per raggiungerla.