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 2009  settembre 04 Venerdì calendario

LA VITA COMPLICATA DEI PICCOLI GENI


Matteo è in seconda media, e sua madre ha quasi perso il conto delle scuole che ha cambiato. «Tutto è iniziato in secon­da elementare: mi diceva sempre ’ho il mal di testa, mi annoio’. Pen­savo fossero capricci, poi in terza ho confrontato i quaderni con quelli di un suo coetaneo, nostro vicino di ca­sa: ho capito che mio figlio, rispetto ai compagni, non faceva niente».

Matteo viene spostato, «e si è tro­vato di fronte a un maestro che scrol­lava – fisicamente – chi non segui­va le lezioni. Ne è nato un conflitto pazzesco. Ma io non ho messo subi­to in discussione l’insegnante; al contrario, ho portato mio figlio al re­parto di neuropsichiatria infantile». Dove Matteo fa il suo ingresso prece­duto da un dubbio, che è già una po­tenziale diagnosi: sindrome da defi­cit di attenzione e iperattività. E da cui Matteo esce, invece, con un certi­ficato che recita: QI = 148. Il 60% del­la popolazione si piazza, mediamen­te, tra 85 e 115.

Talento, plusdotazione, genialità. Molti modi, infinite sfumature per esprimere un solo concetto: ci sono bambine e bambini, adolescenti, ra­gazzi che seguono percorsi diversi. Più rapidi, a volte più tortuosi, sicu­ramente non omologabili con quelli della maggioranza dei loro coetanei. Percorsi lungo i quali avrebbero bi­sogno di trovare una mano tesa: per non inciampare, per non perdersi, per non sentirsi – ancora una volta – «diversi».

In Germania, è stato il ministero federale dell’Educazione a commis­sionare una ricerca sulla gifted edu­cation nei Paesi europei: «Il soste­gno alla formazione dei più dotati – si legge – si sta espandendo in molte nazioni». A Pavia, oggi, l’aula Foscolo dell’università ospiterà il primo convegno nazionale sui «gio­vani geni» – organizzato in collabo­razione con l’associazione Giù le Ma­ni dai Bambini ”, a coronamento di una settimana di summer school che ha messo a confronto dottorandi e ri­cercatori internazionali che si occu­pano delle strategie per sviluppare il potenziale dei «bambini di talento». In Italia, unico Paese tra quelli esami­nati dall’indagine tedesca, non esi­ste alcun regolamento scolastico, li­nea guida o strumento legislativo che definisca le modalità di inseri­mento per gli studenti «plusdotati». «Tutti parlano di ritornare a un si­stema che premi i talenti – com­menta Maria Assunta Zanetti ”. La realtà, da noi, è ben diversa: la scuo­la non ha mai investito sullo svilup­po delle risorse individuali, si tenta semplicemente di portare tutti i ra­gazzi a un livello di omologazione». Docente di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione, Zanetti lavora da anni a stretto contatto con gli inse­gnanti, «e spesso mi trovo a dover gestire situazioni e atteggiamenti che vengono letti come disaffezione scolastica: i famosi ’ragazzi che si an­noiano’. Ma in molti casi, sono sem­plicemente studenti che hanno una marcia in più o delle potenzialità che la scuola non riesce a tirar fuo­ri... ».

I talenti, appunto. Che possono es­sere di moltissimi tipi: non a caso, le definizioni di «dotazione» esistenti ad oggi hanno raggiunto quasi quo­ta 100. Ci può essere il classico «ge­nietto » della matematica, ma anche il bambino con un talento musicale fuori dal comune. Ci sono talenti che toccano la sfera emotiva, e altri che potenziano la creatività. «Una statistica vera e propria è impossibi­le – riassume la neuropsicologa An­na Maria Roncoroni – ma stando ai modelli più accettati nello studio del­la plusdotazione, potrebbe rientrar­vi a vario titolo anche l’8-10% della popolazione». Nel migliore dei casi, otto bambini su 100 che, come Mat­teo, rischiano di ritrovarsi al margi­ne del gruppo dei coetanei: perché troppo precoci, e quindi «strani»; perché disattenti o annoiati, e quin­di «problematici»; perché iperattivi, e quindi a volte «disobbedienti», «polemici», «ansiosi». per loro che Maria Assunta Zanetti e Anna Maria Roncoroni, insieme a Sara Peruselli, hanno aperto, a gennaio, il primo La­boratorio di ricerca/intervento sul ta­lento e sulla plusdotazione (labtalento@unipv.it) del nostro Pa­ese.

Perché da noi, interviene Zanetti, «esistono soltanto esperienze isola­te, non a livello sistematico. L’obiet­tivo non è instillare negli insegnanti la cultura del genio o del fenomeno, bensì dare a tutti l’opportunità di esprimere le proprie capacità, anche in modo non formale». Negli altri Pa­esi, ad esempio, ai bambini plusdota­ti è permesso aggregarsi a classi più avanzate o usufruire di un counse­ling psicologico, esistono campi esti­vi e festival a loro dedicati, in alcuni casi c’è addirittura la possibilità di iscriversi a «scuole speciali». Soprat­tutto, esistono standard ufficiali per l’identificazione dei «talenti» la cui definizione, in Italia, sembra non es­sere mai stata una priorità.

«Intendiamoci, noi non siamo per le classi differenziate: l’approccio è piuttosto quello di valorizzare una ri­sorsa che è tale per tutti. Come è ac­caduto per la disabilità. Sulle poten­zialità, invece, si pensa che tanto il bambino dotato se la cava da sé; ma poi quel che accade è che gli arriva­no messaggi di non riconoscimento, in grado di creare un impasse. E il potenziale va perso».

«Non abbiamo ancora statistiche italiane – conferma Roncoroni – ma le ricerche internazionali dimo­strano come tanti di questi ragazzi non arrivino neanche alla fine del ci­clo scolastico. Perché la velocità nel­l’apprendere, ad esempio, può esse­re anche una difficoltà: alle elemen­tari e alle medie nessuno insegna lo­ro a far fatica, e quando passano alle superiori, dove è necessario metter­ci impegno, si fermano».

Per questo, tra le attività del Labo­ratorio, ci sono i corsi di formazione per gli insegnanti. E poi, ovviamen­te, la linea diretta con le famiglie: «Ci trovano in Rete, e il primo con­tatto avviene via mail. Poi si parla, si cerca di capire le loro esigenze, invia­mo materiale e questionari (per il ra­gazzo, ma anche per i genitori e gli insegnanti). Alla fine c’è l’appunta­mento qui in sede. C’è chi viene per curiosità, chi vede le difficoltà del bambino nell’integrarsi, chi non sa più come motivarlo ad andare a scuola...». Talenti (e problemi) diver­si.

«A mio figlio, erano i prof a fare le battute: ma se sei così intelligente, perché non hai tutti 10?», ricorda con un sorriso amaro la mamma di Matteo. «Ho trovato in Internet i contatti del Laboratorio, ci hanno aiutato molto. Ora per lui è impor­tante dimenticare il QI e lavorare sul­l’autostima, la motivazione. Alla fine non pretendo che vada alla Normale di Pisa: quello che uno cerca è la tranquillità, la normalità». Anche in un Paese che, dei suoi talenti, sem­bra non sappia cosa farsene.