Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  settembre 03 Giovedì calendario

I DISPETTI TRA SIRIA E IRAQ NUOVO OSTACOLO PER OBAMA


Se nel Medio oriente si respira un’atmo­sfera di calma tesa, per utilizzare un eufemi­smo libanese, non è perché i problemi di sempre siano in vista di soluzione. Ma per­ché tutti i protagonisti attendono un segna­le americano.

Quel segnale, se le indiscrezioni sono cor­rette, lo darà, a fine mese, all’assemblea ge­nerale dell’Onu, il presidente degli Stati Uni­ti Barack Obama. Scartata la possibilità di procedere per gradi, percorso che in passato ha riservato grandi aspettative e cocenti de­lusioni, la Casa Bianca sta preparando un piano complessivo: giungere insomma al traguardo della pace senza tappe interme­die. Ne hanno parlato Obama e il presidente egiziano Hosni Mubarak; ne ha parlato l’in­viato americano George Mitchell con il mini­stro della difesa israeliano Ehud Barak, che si è impossessato del dos­sier al posto del discusso e quasi impresentabile capo della diplomazia Avigdor Lieberman; e ne ha parlato lo stesso Mitchell con il pre­sidente palestinese Abu Ma­zen. L’obiettivo è lanciare un progetto vincolante, ma­gari impreziosito dal vertice Obama-Netanyahu-Abu Mazen, che calami­ti i punti di convergenza, annacquando i ri­spettivi veti. Con l’obiettivo di offrire un’ onorevole via d’uscita da una situazione po­tenzialmente pericolosissima.

Impresa ardua, ma che oggi non appare impossibile, perché le parti sono consapevo­li che lo status quo non è più sopportabile. I rischi di rapido deterioramento sono eviden­ti. Mentre la Striscia di Gaza continua ad es­sere un focolaio di tensioni, il dialogo fra i laici del Fatah e i fondamentalisti di Hamas non decolla e Israele è in bilico tra la necessi­tà del realismo e le pressioni dei falchi, una preoccupante notizia è stata anticipata dall’ agenzia cinese Xinhua, che dimostra come Pechino sia attentissima a tutto ciò che acca­de nel Medio Oriente. Siria e Iraq, in passato nemiche giurate e da qualche tempo prota­goniste di un interessante disgelo, hanno de­ciso di richiamare i rispettivi ambasciatori.

L’accusa di Bagdad è assai grave: dice che a Damasco, dove si sono rifugiati dopo la ca­duta del regime di Saddam, alcuni irriducibi­li nostalgici del dittatore impiccato hanno invitato i loro complici in Iraq a compiere spettacolari attentati terroristici, già costati, nelle ultime settimane, centinaia di morti. L’ordine di rientro dell’ambasciatore in Siria è stato seguito dalla dura risposta di Dama­sco, offesa per l’accusa, ritenuta una perfida e infamante manovra dettata da «ragioni in­terne ». Immediato il richiamo, per ritorsio­ne, del proprio ambasciatore.

Al di là delle frequenti controversie tra i due paesi, stupisce che tutto questo avven­ga mentre il presidente Bashar el Assad è im­pegnato a dimostrare che intende collabora­re attivamente con chi vuo­le pacificare l’Iraq. La turba­tiva affiora nel momento in cui il paese che Damasco considera prioritario per i propri interessi, cioè la re­pubblica libanese, sta viven­do una fase di riconciliazio­ne nazionale, dopo la vitto­ria alle elezioni del fronte an­tisiriano di Saad Hariri, figlio dell’ex pre­mier assassinato nel 2005. L’altro giorno, nell’ufficio del capo dello stato Michel Suley­man, si sono incontrati appunto Hariri e il suo avversario, il generale cristiano Michel Aoun, alleato dell’Hezbollah e oggi vicino al­la Siria. Entrambi sorridenti, davano l’im­pressione di essere pronti a collaborare.

Segnali contraddittori quindi, che dimo­strano due cose: che il mondo arabo, pur barricato in difesa della proposta di pace che prevede il riconoscimento di Israele in cambio del ritiro da tutti i territori occupati, è ancora diviso sulla possibilità di trovare un accordo; e che gli ostacoli che il piano complessivo di Barack Obama dovrà affron­tare sono davvero proibitivi.