Sabina Rodi, ItaliaOggi, 03/09/09, 3 settembre 2009
DAI FEMMINILI E’ SCOMPARSA LA DONNA
Il mix pettegolezzo-shopping è diventato un beverone indigeribile
Di fronte alla crisi che li attanaglia, c’è un grande fermento, a livello italiano ed internazionale, sui settimanali femminili che, non a caso, stanno purtroppo sommando, alla ormai cronica defaillance delle vendite in edicola, anche la nuova e ancor più preoccupante crisi derivante dal crollo della pubblicità specifica che è molto più pronunciata di quello, pur grave, della pubblicità nel suo complesso.
Ma le nuove proposte editoriali che si sono viste sinora, sono largamente deludenti. A dire il vero, non si riesce a capire come mai si possano aver speso le somme che si dice siano state investite nei nuovi progetti.
I prodotti usciti, nuovi o largamente rinnovati, che si sono sinora visti sono infatti nati groggy. Essi sembrano non sapere dove andare, essenzialmente per due motivi. Primo, perché, sempre a livello internazionale, ma anche italiano, si è diffuso il modello della «pipolizzazione», orrido neologismo, questo, che deriva dai giornali cosiddetti «people», cioè gossip-dipendenti. Secondo, perché gli editori, travolti dai brainstorming e dalle ricerche di mercato (che dicono, di solito, ciò che loro desiderano sapere) hanno definitivamente perso il contatto con le lettrici come esse sono, e non come essi suppongono che esse siano.
Le ultime proposte editoriali sui femminili sembrano obbedire alla filosofia di Alfonso Signorini, direttore di Chi, che fa benissimo ad adottarla sulla sua rivista (che è nata proprio per questo), ma che è deleteria se diventa preponderante in un giornale femminile da largo pubblico, sia pure rivisitato alla luce di quelle che dovrebbero essere le nuove sensibilità che sono emerse, nei paesi sviluppati, nel lettorato femminile di questo inizio del Terzo Millennio.
La percentuale di «guardone» nella popolazione femminile, al contrario di ciò che pensano, pressoché all’unisono, i grandi editori, non è altissima e sicuramente non è preponderante, come del resto lo dimostra anche il continuo declino delle copie vendute dei settimanali specializzati nel settore «people».
Supporre che le donne italiane siano tutte, o anche in gran parte, in trepida attesa di sapere che cosa ha intenzione di fare Kate Moss o quali siano gli ultimi turbamenti di Veronica Lario, significa vivere fuori dal mondo, separati dalle donne magari in carriera, ma comunque in carne ed ossa. Significa essere inseriti e prigionieri di un circuito autoreferenziale e ormai ritornato ad essere maschile (sono loro, infatti, i dirigenti, che tirano i fili dei settimanali femminili). Un mondo, il loro, che non si mette in discussione anche perché è inquinato dalla iper-consanguineità culturale e di cordata dei suoi protagonisti apicali, che ha finito per accentuare il contenuto sterile delle nuove proposte. Un mondo, quello degli editori e delle direttrici al seguito, pronte ad eseguire la vulgata diventata prevalente, che, per di più, è caratterizzato dal mancato ricambio dei suoi dirigenti (che, spesso, e non solo in Italia, sono sempre i soliti da trent’anni, o più; come se il mondo fosse rimasto sempre lo stesso).
Dai nuovi settimanali femminili, questo è il punto di cui nessun grande editore sembra essersi reso conto, sono scomparse le donne, con le loro specificità, i loro bisogni informativi, le loro pulsioni, le loro fragilità, i loro orgogli, le loro storie. La donna dei nuovi settimanali femminili è una sorta di donna-robot, patinata, a due dimensioni, tutta lifting e scatti meccanici, che si suppone sia mossa solo dall’impulso di acquistare vestiti, gioielli e calzature e di seguire, dal buco della serratura, i famosi dei quali invece, spesso, se ne fa un baffo.
Questi nuovi settimanali, nei quali impera il diktat, tutto da dimostrare, del pezzo breve («più breve è, meglio è») trascurano il fatto che i pezzi non si misurano in base alla regoletta semplificatrice e fuorviante del numero delle battute, ma si misurano in base al loro interesse. Sono perciò «brevi» quei pezzi (anche se lunghi, in termini di battute) che si leggono fino in fondo. E sono invece «lunghi» quegli articoli (anche se brevi, sempre in termini di battute) che si abbandonano prima di essere arrivati alla fine. Senonché, a misurare gli articoli in base le battute, sono capaci tutti, basta schiacciare un tasto sul pc, mentre per giudicare l’effettivo interesse di un pezzo, ci vogliono delle qualità che non tutti posseggono. Questi nuovi o rinnovati settimanali pieni di articoli-francobollo non tengono assolutamente conto, ad esempio, delle aspettative e delle potenzialità delle 600 mila italiane che hanno recentemente letto la trilogia, che è di oltre mille pagine, in tre volumi, di Stieg Larsson (Uomini che odiano le donne) o le 200 mila che hanno scoperto e divorato il prezioso Suite française di Irène Nemirowsky, proposto in Italia dalla pur sofisticata Adelphi che adesso, giustamente, sull’onda di questo successo, si appresta a tradurre le altre opere di questa scrittrice scomparsa nei lager nazisti e di cui sinora non si sapeva nulla in Italia dove il suo primo romanzo, è stato da noi tradotto 65 anni dopo essere stato scritto. La trilogia di Larsson e il libro della Nemirowsky si sono affermati con la miccia efficacissima del bocca a bocca. Con quello stesso strumento che potrebbe plebiscitare un settimanale femminile diverso dagli altri e finalmente nuovo.
Nei nuovi settimanali femminili sono scomparse, ad esempio, le rubriche di cucina che invece, se presentano delle buone ricette realizzabili in fretta, vengono seguite con grande interesse anche dalle donne in carriera. stata cancellata la vita affettiva vera delle lettrici, e non quella imbalsamata nelle formulette dei supposti esperti (che poi sono sempre gli stessi), ma quella vita affettiva di cui ognuna delle potenziali lettrici parla ogni volta che incontra un’amica. Non c’è traccia della vita di famiglia, dei problemi educativi, scolastici, psicologici e di salute e nemmeno delle battaglie politiche a favore dell’allargamento dei diritti e degli interessi delle donne (i possibili asili di condominio, ad esempio, interessano più le donne in carriera che non le semplici casalinghe). Ovviamente i temi etici o religiosi sono stati totalmente aboliti, incuranti del fatto che l’ultimo libro di Antonio Socci (I segreti di Papa Wojtyla, Rizzoli) ha già venduto, anche grazie ai circuiti librari paralleli, 200 mila copie. Le lettere in redazione poi, che spesso erano il cuore e il cervello di un settimanale, alle quale si dedicava di persona la direttrice che di solito aveva una grande personalità, oggi sono scomparse o sono state ridotte ad un puro e svogliato adempimento, da compiersi distrattamente, con la mano sinistra, delegandole spesso alla meno dotata della redazione, quella alla quale non si possono affidare altri compiti o che, se è dotata, anziché raccogliere gli umori delle lettrici, esprime solo i suoi malumori di aspirante direttrice («Non vedo che cosa, quella lì, abbia più di me»).
Le lettrici non trovano mai, nelle pagine di questi settimanali, delle concrete proposte di vita, di arredamento, di turismo, di economia o di cultura, in chiave di testimonianze e in presa diretta con uno specifico lettorato (che è costituito dalle lettrici stesse, che vanno vissute come fonte di ispirazione e non solo come dei terminali passivi ed anonimi da riempire di informazioni; peraltro rifiutate, viste le preoccupanti diffusioni pagate in edicola). Tale lettorato quindi dovrebbe essere esattamente individuato e servito con attenzione, cercando di capirne con esattezza i gusti, le aspirazioni, i bisogni che, a loro volta, cambiano continuamente.
Questi nuovi settimanali, invece, si propongono alle loro lettrici, con, in pratica, un discorso medio-internazionale ed omogeneizzato di questo tipo: «Stai calma, rilassati, sappiamo noi che cosa ti serve sapere o vedere, take it easy, il mix ce lo abbiamo già pronto, studiato in ogni suo particolare dai nostri esperti». Il fatto è che il mix da loro proposto è diventato ormai solo uno scintillante beverone. Scintillante sì, bisogna darne atto, ma sempre un beverone che forse, come tutti i beveroni, ha dentro di sé i glucidi, le proteine, le vitamine e le fibre grezze che servono per sopravvivere, non per vivere. E, forse proprio per questo, il beverone risulta anche imbevibile. Avanti un altro.
La crisi dei periodici in generale è poi dovuta ad un elemento che purtroppo ha preso piede anche in Italia e che consiste nell’affossamento del direttore carismatico (uomo o donna che sia), quello che trovava soluzioni editoriali in base alla sua personalità, esperienza e fiuto e che, operando in questo modo, confezionava un prodotto in linea con le sue sensibilità e che quindi, inevitabilmente, era anche un prodotto diverso da tutti gli altri, che si rivolgeva a categorie di lettori e non ad altri. Oggi è tutto cambiato. Quando va bene, si fa avanti il direttore manager che non sa fare i giornali, ma che sa leggere (forse) i bilanci. Senonché l’omogeneizzato lo si dà agli infanti e non alle persone adulte. Persino le gelaterie diventano alla moda solo se riescono a produrre e a proporre dei gelati diversi dagli altri.
I direttori che l’alta burocrazia editoriale di oggi preferisce (e che i vecchi Mondadori o Rizzoli avrebbero risolutamente scartato) sono invece i direttori usa e getta che, sapendo di essere intercambiabili come i birilli, diventano inevitabilmente supini di fronte ai diktat dei piani editoriali alti e degli uffici marketing. Questi ultimi poi, quando le ricette da loro imposte risultano indigeste ai lettori, se ne lavano le mani gettando via i direttori che avevano supinamente eseguito le loro indicazioni e, riscoprendo, con l’occasione, il principio civilistico che il responsabile di una testata è solo il direttore.
rimasto famoso, a questo riguardo, il costoso restyling internazionale (fu pensato, guarda te, a New York) di un grande settimanale maschile italiano, restyling che era passato sopra la testa di un direttore impossibilitato a reagire e che si è poi risolto in un clamoroso crollo di vendite e di credibilità della testata. Del tracollo (che sta rischiando di diventare definitivo) ha pagato il direttore che, in pratica, aveva eseguito i progetti altrui. Ma se non avesse obbedito, a quella direzione non sarebbe mai arrivato.