Risalba Graglia, LA Stampa 3/9/2009, 3 settembre 2009
Indifferenti alla questione della propria identità nazionale, le pecore brigasche, dalle corna a conchiglia come gli arieti dipinti sugli antichi vasi greci, pascolano serafiche sugli alpeggi dell’alta Valle Roya
Indifferenti alla questione della propria identità nazionale, le pecore brigasche, dalle corna a conchiglia come gli arieti dipinti sugli antichi vasi greci, pascolano serafiche sugli alpeggi dell’alta Valle Roya. Di qua è Italia, una scheggia di Piemonte meridionale e di Alpi Liguri, di là Francia. Un confine inventato sulla carta nel 1947, dopo la guerra, che ha separato i pascoli e la gente della Terra Brigasca. Così Briga Marittima è diventata La Brigue, dipartimento delle Alpes Maritimes, mentre Briga Alta, provincia di Cuneo, è un comune più o meno immaginario, costituito da tre frazioni, Piaggia, Upega e Carnino, e una sessantina di residenti. E sul crinale si affacciano le malghe del Parco delle Alpi Liguri, tra la Valle Arroscia e la Valle Argentina, provincia di Imperia. Due stati, tre province: ma loro, le pecore, sono sempre le stesse, robuste, adatte a pascolare in luoghi impervi. E i pastori mungono lo stesso latte e producono la stessa toma, che si tratti di Pascal Bonneville che da La Brigue, dove è arrivato nel ’68, medico mancato e pastore per scelta, porta le greggi su nella Valle delle Meraviglie, nei gias in cui i suoi antenati del neolitico incidevano graffiti di pecore preistoriche, o di Aldo Lo Manto, che da Albenga sale fino agli alpeggi di Mendatica e di Triora. Ma se agli inizi del ’900 in queste valli erano allevate 60 mila pecore, oggi nell’Imperiese pascolano circa 1800 capi e 800 in Val Roya. Il Presidio Slow Food della toma di pecora brigasca vuole valorizzare proprio i formaggi prodotti nei pochi alpeggi rimasti e sostenere il ruolo dei pastori nella salvaguardia dell’ambiente naturale. Compito eroico, visto che sul versante francese della Val Roya i pastori si contano su una mano sola e sul versante ligure sono 3 di numero i produttori del presidio: oltre a Lo Manto, Nevio Balbis che da Sanremo porta il suo gregge alla malga Vesignana di Triora e Renzo Pelassa che sale alla malga Cian Prai di Mendatica. Oltre a un paio di altri «eremiti d’alpeggio», come Giuanin Lanteri, 74 anni e più o meno lo stesso numero di pecore. In più, per via di quel confine tracciato a tavolino sessant’anni fa, le comunicazioni sono diventate lunghe e difficili.