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 2009  settembre 03 Giovedì calendario

QUAL’E’ LA SQUADRA PIU’ ITALIANA? IL BARI DEL TEXANO TIM BURTON


A Milano, sponda Inter, si parlano quindici lingue diverse. Dal ghanese di Muntari all’honduregno di Suazo, passando per il camerunense Eto’o ed il serbo Stankovic. Scontate le vulgate argentine e brasiliane. Ma neanche a Udine si scherza, dove le lingue, oltre all’italiano, sono tredici con tanto di cileno e rumeno. In totale il campionato italiano di calcio ospita calciatori provenienti da cinquantuno nazionalità diverse. Si va dal keniota al bielorusso, dal georgiano al giapponese, per non parlare di albanesi e australiani.

 il risultato di una passeggiata fatta sui siti internet ufficiali delle società di serie A all’indomani della chiusura del mercato. Siamo autarchici, ma neanche tanto. Nel nostro campionato, su poco più di 560 calciatori tesserati, il 41,9 per cento è straniero. Lontanissima l’Inghilterra dove il rapporto è addirittura inverso con il 59,2 per cento dei giocatori che arriva da oltremanica. Anche i tedeschi superano di poco il cinquanta per cento con i loro calciatori tesserati oltre frontiera. I più autarchici sono i francesi. Nella Ligue1 soltanto il 30,5 per cento dei giocatori ha un passaporto diverso da quello transalpino.

Nel Belpaese la colonia più folta è quella argentina. Il derby con il Brasile finisce 41-38, ma basta un mal di pancia ed un po’ di saudade per il samba o l’asado per invertire immediatamente questo dato. Tanti francesi, diciassette, che si confermano il paese europeo che "presta" più giocatori alla nostra serie A. Ma attenzione ai rumeni, sette, capitanati da Adrian Mutu. Piacciono gli uruguagi, quattordici, terza forza del continente sudamericano. Fiorentina e Bari le squadre più italiane di tutti. L’arrivo di De Silvestri e la partenza per il West Ham di Da Costa, hanno portato a ventidue i giocatori italiani tesserati da Della Valle, a fronte dei quattordici stranieri. Ventitre quelli, invece, agli ordini di Tim Burton, il texano che sta per mettere le mani sul Bari. Manco a dirlo è l’Inter la squadra meno italiana su tutti, facendo anche leva sul suo nome: Internazionale. Ed effettivamente sono mosche bianche Toldo, Orlandoni, Materazzi, Balotelli e Destro, i cinque tesserati nerazzurri che possono vantare passaporto italiano.

Logico che una squadra così cosmopolita sia allenata dal portoghese Mourinho. E la Juve? L’arrivo di Grosso ha portato in parità la bilancia. Ventisei in rosa: tredici italiani, tredici stranieri. Una delle poche squadre senza argentini, ma con nove nazionalità: dal Mali di Sissoko all’Austria di Manninger. Sarà contento Lippi che ha fatto capire senza mezzi termini: nell’anno del Mondiale vuole che i nazionali giochino nel nostro paese. Ci è rimasto male Dossena, esterno che ha fatto di tutto per cercare di tornare in Italia dal Liverpool, la squadra che vanta il 90% di giocatori non inglesi in squadra. Chi ha fatto l’esperienza di fare il tour dello stadio del Chelsea - una volta nello spogliatoio in cui fanno bella mostra di loro le maglie appese ai rispettivi armadietti - sicuramente ha sentito la guida dire queste parole: «Siamo orgogliosi di essere uno dei club che ha più inglesi in squadra». Il venti-venticinque per cento in tutto.

Le curiosità di casa nostra parlano di soli sette stranieri a Parma e Bologna, sei a Cagliari e quattro a Genova sponda Samp: un lituano, un argentino e due svizzeri, Zigler e Padalino. La Lazio ne ha diciotto, il Milan dieci con una rosa sempre più italiana. Il ritorno ad un maggior numero di italiani in campo è auspicato non solo dai tecnici delle nazionali, ma anche dai vertici di Fifa e Uefa. L’Unione Europea si è già detta contraria perché limiterebbe la circolazione dei lavoratori, caposaldo delle politiche comunitarie. Ma c’è chi non si arrende e sta provando da anni a far passare una specificità dello sport assimilabile a quanto succede per i capolavori dell’arte. Del resto fu proprio l’avvocato Agnelli a parlare dell’estro di Del Piero come di quello attribuibile a Pinturicchio.