Libero 2/9/2009, 2 settembre 2009
LA RAGAZZA MOLESTATA TUTTA CASA E DIOCESI
Brunella Bolloli per "Libero"
Una storia più grande di lei. Un’ossessione, telefonate continue, parole grosse. Dopo mesi di persecuzione e molestie, lei poco più che ventenne non ce l’ha più fatta. Ha preso coraggio ed è andata alla stazione dei carabinieri, a sporgere denuncia. A un certo punto ha voluto riprendersi la sua vita. Anna è la giovane protagonista, suo malgrado, di una vicenda di otto anni fa, riemersa con prepotenza dal passato per via dell’altra persona coinvolta: Dino Boffo, direttore di Avvenire.
Sarebbe stato lui, infatti, il molestatore telefonico della giovane umbra. O, come si direbbe oggi con linguaggio anglosassone, lo stalker e Anna la parte lesa. Boffo, secondo le carte della procura, insultava la giovane Anna (all’epoca aveva 23 anni), «anche alludendo ai rapporti sessuali con il suo compagno». Un’accusa che il diretto interessato ha smentito, attribuendo le molestie a un suo collaboratore poi morto di droga.
Dunque non ci sarebbe nessuna donna sposata nel mini-dossier a carico del giornalista più discusso del momento,ma una studentessa con un fidanzato, più o meno della stessa età, sul quale forse il direttore di Avvenire aveva fatto un pensiero. Attenzione, però. Nel fascicolo non c’è alcun riferimento alla sessualità di Boffo (anche perché sarebbero fatti suoi), ma è escluso, secondo quanto fa sapere il gip, che la ragazza fosse l’oggetto di così tanto interesse al punto da fare chiamate in continuazione. Tuttavia agli atti, non c’è menzione del compagno di lei.
Anzi, se non fosse stato per il caso sollevato per primo dal Giornale di Feltri, lui sarebbe un ex come tanti. Perché oggi Anna ha un’altra storia e di quel trauma subìto anni fa non ne vuole più sentire parlare. Difficile, però, stare zitti in una città piccola in cui ci si conosce quasi tutti e dove la chiesa conta così tanto. La famiglia abita in un’elegante palazzina a due passi dal centro, piante sul pianerottolo e giardino condominiale.
«Bravissime persone», raccontano i vicini. «Soprattutto molto pii». Il padre, infatti, è un pezzo grosso della radio diocesana e con la moglie collabora a riviste del mondo cattolico, pubblicazioni che di certo il direttore di Avvenire conoscerà. Molto probabile anche che lo stesso arcivescovo di Terni, monsignor Vincenzo Paglia, che l’altro giorno è andato in udienza da Papa Ratzinger, conosca bene questa famiglia tanto stimata in città.
Non potrebbe essere altrimenti: la mamma della ragazza è nelle commissioni pastorali della Diocesi, con ruoli di primo piano nella difesa della famiglia e degli anziani. «Una donna con forti principi cristiani e grande attaccamento ai valori», la descrive chi la conosce bene. Ieri, ad esempio, di fronte alle pressioni della stampa, nello strenuo tentativo di difendere sua figlia e la sua famiglia, si è solo lasciata andare a uno scarno comunicato. «La vicenda si era completamente risolta e se qualcuno oggi l’ha ritirata fuori a noi sembra una cosa impropria», ha detto.
boffo- fotocopia del certificato del casellario giudiziale di Dino Boffo, il foglio cool _Riscontro a richiesta informativa di Sua Eccellenza
Anche dalla Comunità Incontro di don Gelmini, che ha sede ad Amelia poco distante da Terni, sono tornati a smentire le voci di coinvolgimento nella vicenda Boffo. In un primo momento, si era ipotizzato che l’allora compagno di Anna arrivasse dalla comunità di don Pierino, ma su questo elemento dalla procura non vi è alcun riscontro. Di Anna si sa che ha studiato alla Pontificia università di Roma, è bella e sorridente. Una ragazza come tante. Finita in una storia più grande di lei.
2 - SE HA ACCUSATO MIO FIGLIO LO DENUNCIO
Cristiana Lodi per "Libero"
«Che storia è mai questa? Che cosa c’entra mio figlio con la vicenda delle molestie telefoniche e del direttore di Avvenire? Il mio ragazzo è morto da più di sette anni e non può difendersi, adesso voglio capire chi e perché osa infangare la sua memoria».
A parlare è il papà di W. B., stroncato la notte del 26 gennaio 2002 a Roma, dopo avere assunto droga a una festa fra amici. Non è una vicenda qualunque, perché la fine di questo ragazzo che lavorava per Sat2000 aveva all’epoca portato gli investigatori (che hanno incastrato il pusher) a scoperchiare un brutto affare di cocaina e spaccio al ministero dell’Economia e delle Finanze, quando viceministro era Gianfranco Micciché. «Esigo sapere per quale ragione il suo nome è finito sui giornali accanto a quello di Dino Boffo».
Il direttore di Avvenire, conferma anche il giudice di Terni Pierluigi Panariello, si difese dalle accuse sostenendo di non essere l’autore delle telefonate di minaccia alla donna che lo ha denunciato. Telefonate che sarebbero invece state fatte da...
«Da mio figlio? Ha detto questo Dino Boffo?».
Non lo so. Chiedo a lei.
«Ieri mattina l’ho chiamato di persona, sono in ottimi rapporti con il direttore di Avvenire. Mio figlio era un suo collaboratore, tre giorni prima che morisse gli aveva firmato un contratto in accordo con il cardinale Camillo Ruini, lui (il signor Boffo) è venuto al funerale (era l’1 febbraio 2002) e quel giorno ha pianto con noi. Gli ho chiesto esplicitamente: "Ha davvero dichiarato che era W. a fare le telefonate dal suo cellulare e per le quali lei è stato condannato, signor direttore?".
Dino Boffo ha giurato davanti a me: "Non ho mai pronunciato il nome di suo figlio. Mai detto che W. era tossicodipendente, sappiamo bene che non lo era e che non è mai stato in nessuna comunità, tantomeno a Terni". Dino Boffo ha giurato. Ha giurato, capisce? Io non lo so se tutto questo sia conseguenza della sua disperazione, non lo posso sapere. Sono soltanto un padre che ha perso l’unico figlio, e se Dino Boffo mente presto si saprà. Ho dato mandato al mio avvocato di accertare la verità».
Il giudice di Terni ha parlato chiaro.
«In che senso, mi scusi?».
Spiega che agli atti ci sono soltanto i tabulati delle telefonate partite dalle utenze del direttore di Avvenire, ma non le intercettazioni, non le conversazioni e tantomeno le trascrizioni delle chiamate.
«Vuole dire che adesso io prendo il suo telefono, mi metto a minacciare Dino Boffo e poi vado a raccontare al giudice che a compiere il reato non sono stato io ma Giosuè Carducci? Per favore, un minimo di buon senso...».
Infatti la magistratura non ha approfondito questa tesi di Boffo, non ritenendola attendibile.
«D’accordo, ma W. cosa c’entra in tutto questo? Chi oserà ancora infangare il suo nome ne pagherà le conseguenze».
Ci mancherebbe.
«Gli hanno dato del tossicodipendente e c’è chi insiste. Possiamo esibire i certificati medici, W. è morto per la cocaina che aveva assunto, ma era la prima (forse la seconda) volta, non di più. Lo hanno attestato i medici. Abbiamo pronte le querele. Non solo, si è scritto che Dino Boffo ha scaricato la colpa su un ragazzo che frequentava la comunità di don Gelmini.
Mio figlio non è mai stato in nessuna comunità, lo stesso Boffo me lo ha sottolineato ieri. "Io e W. avevamo solo rapporti di lavoro, altro non c’è. Sono molto dispiaciuto per il dolore che involontariamente arreco anche a voi che avete già sofferto troppo", mi ha ripetuto queste parole Dino Boffo. Ma sa, le parole vanno e vengono. Comunque tengo a dire: mio figlio non era tossicodipendente e non aveva nessun legame a Terni».
Eppure la donna che ha denunciato Boffo sarebbe di Terni, come il marito, o il fidanzato.
«Appunto, mio figlio studiava all’università Lateranense, era un esperto di diritto canonico, civile e internazionale. Gli mancavano due esami per laurearsi. Insieme con un amico aveva inventato la televisione interattiva. Per cinque anni ha lavorato con Maria De Filippi, noi siamo in contatto con lei e con Costanzo. Ci sono sempre stati vicini. Noi tutti sappiamo bene che W. non si sarebbe mai sognato di minacciare nessuno. Tantomeno la moglie o la fidanzata di un presunto omosessuale. Tantomeno dal telefono di Dino Boffo».