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 2009  settembre 03 Giovedì calendario

Ogni anno il Festival di Venezia pone un curioso problema metafisico. Se uno segue la mostra del cinema attraverso i giornali ne ricava un’immagine piuttosto contraddittoria, sbiadita, sovente provinciale: film così così, Venezia minacciata seriamente e umiliata da altre manifestazioni, la burocrazia e i partiti ancora sovrani

Ogni anno il Festival di Venezia pone un curioso problema metafisico. Se uno segue la mostra del cinema attraverso i giornali ne ricava un’immagine piuttosto contraddittoria, sbiadita, sovente provinciale: film così così, Venezia minacciata seriamente e umiliata da altre manifestazioni, la burocrazia e i partiti ancora sovrani. Se uno invece segue la mostra attraverso la tv, solitamente ne ricava un’immagine gioiosa, al limite dell’euforia: capolavori che incombono, anniversari da celebrare, grandi artisti da intervistare. Da cosa deriva questa palese discrepanza? Ci sono ragioni storiche per giustificare una simile difformità di giudizio? Un fondamento storico esiste, stiamo parlando degli anni Settanta, e risale ai tempi in cui al Lido sbarcava in conto spese mezza Rai (dirigenti, produttori, critici, funzionari, tecnici, imboscati, accompagnatori e accompagnatrici) e il cinema italiano pareva dipendere esclusivamente da Viale Mazzini. Quella Venezia è stata l’ultima stagione brillante della Rai, cortigiana nello splendore del tramonto, il punto estremo del suo viaggio nelle tenebre della lottizzazione. Qualcosa di quell’impagabile periodo (impagabile per modo di dire, visto che una fetta del canone languidamente evaporava tra cocktail e cene di lavoro) dev’essere pur rimasto nel Dna dell’inviato televisivo, che di norma si esercita attraverso tra modelli collaudati. Metodo Mollicone: Vincenzo Mollica è un libro parlante, una sola moltitudine di arguzia e sapienza, un’intelligenza acuta che si è fatta tv. Non può neppure immaginarsi di cedere a un giudizio, a un appunto, a un dissenso. Parla sempre bene di tutti. Metodo Magna Grecia: Gigi Marzullo è la misura di tutte le cose, il centro dell’universo televisivo. Può parlare di qualunque film senza neanche prendersi la pena di vederlo. Basta la parola. Metodo Blob: gli interventi di Enrico Ghezzi non si preoccupano dei contenuti ma si dedicano principalmente al significante: sono borborigmi poetici, una voce "messa a nudo", tremori di una lingua cullante, il sospiro un po’ rauco di tutti i sospiri critici. Forse, per evitare il ridicolo della situazione, bisognerebbe tornare ai tempi in cui Ennio Flaiano, inviato a Venezia proprio dal Corriere, si inventava cronache dal Lido perché la realtà lo disilludeva.