Tommaso Labate, il Riformista 02/09/2009, 2 settembre 2009
CHI LA MANINA? TRE INDIZI E VECCHI SOSPETTI
Va bene l’«emerita patacca». E l’emerito pataccaro? O, meglio, il passacarte? Anzi, meglio ancora, la manina? Quale volto si nasconde dietro l’identikit dell’«anonimo (per ora) diffamatore» di cui Dino Boffo ha scritto ieri sull’Avvenire?
Una cosa è certa. C’è un mister X che si è trovato tra le mani la nota informativa tanto «nota» ma poco «informativa» sulle abitudini sessuali del direttore del quotidiano dei vescovi con annesso decreto penale di condanna per molestie. Lo stesso "qualcuno" ha preso il foglio di carta (che secondo Dagospia aveva in filigrana la dicitura Officie Sanctae Sedis), l’ha recuperato dalla spazzatura a cui l’avevano destinato moltissimi prelati, quindi l’ha adagiato dolcemente sulla scrivania di Vittorio Feltri, fresco di gran rientro al Giornale della reale Famiglia.
Tra gli amici del direttore di Avvenire c’è una lista di sospettati e qualche indizio convergente. Almeno così parrebbe rileggendo, e neanche troppo in controluce, l’autodifesa di Boffo uscita domenica sul suo giornale. A metà del pezzo, il direttore si rivolge direttamente a Feltri. E gli chiede: «Perché, collega Feltri, questa domandina facile facile (" un’informativa o una patacca?", ndr) non te la sei posta? Ma se te la fossi fatta, sei proprio sicuro di avere vicino a te le persone e le competenze giuste per compiere i passi a seconda della gamba?».
L’indizio numero due sulle convinzioni di Boffo arriva poche righe più in giù. «Un divertissement, per noi lo scrivere, come per qualche volpone o volpina lo era - non più tardi di giovedì sera - aggirarsi per gli stand dell’ignaro Meeting menando vanto per l’imminente cannoneggiamento del tuo giornale».
Anche colui che evita di considerare una prova come il risultato della somma tra due indizi, concludendo la lettura del corsivo domenicale di Boffo si troverà di fronte codeste righe, sempre dirette a Feltri: «Ecco, permettimi un suggerimento: cerca in questi giorni di non fare del male al tuo giornale e ai tuoi lettori concedendo la ribalta a chi forse appare informato (si spiegherà anche lui in tribunale), ma potrebbe mirare soltanto a saldare qualche vecchio conto. Grazie».
Anche cambiandone l’ordine, gli addendi in questione - avere vicino a te le persone, qualche volpone o volpina (...) aggirarsi per gli stand dell’ignaro Meeting, la ribalta a chi forse appare informato -, almeno stando a quel che si vocifera dalle parti di Avvenire, sembrano dare sempre la stessa somma: «Renato Farina».
Ora, sospettare del fu agente Betulla nel momento in cui si cerca il portatore di una patacca scambiata per nota informativa è un po’ come accusare la faina beccata a pochi passi dal pollaio in cui c’è appena stata una strage di galline. Ma, come qualcuno ad Avvenire fa notare, stavolta "l’assassino" (con le virgolette, ovviamente) «potrebbe anche essere il maggiordomo».
Farina e Boffo sono sempre stati di due parrocchie differenti. Non si amano, si odiano. Il neo deputato del Pdl è emigrato da Libero al Giornale seguendo la stessa, unica, stella polare che lo illumina dalla fine dell’idillio (professionale, politico...) con Irene Pivetti (correva l’anno 1994): quella di Vittorio Feltri. «Ho visto che i tuoi amici (Sgarbi, Capezzone, Renato Farina...) - ha scritto Boffo al direttore del Giornale - sono preoccupati per un’aggressione ai tuoi danni che vedono profilarsi all’orizzonte».
Preoccupato? Aggressione? Farina, nel frattempo, aveva fatto molto, molto di più. Prima, commentando lo sdegno sollevatosi contro l’aggressione a Boffo, si era domandato (in un pezzo inviato da Rimini e pubblicato il 30 agosto) «se dietro questa difesa altissima e vorrei dire violenta del cardinal Bagnasco e dell’universo mondo ecclesiastico ci sia una specie di patto particolare». E aveva concluso che, chissà, magari esiste «un tribunale segreto. Dove sono vagliate le cause in corso presso i tribunali di Stato. E Boffo è stato assolto, innocente, nulla fece di male. E invece io fui giudicato colpevole. Fuori le carte».
Quelle su di lui, su Farina, sono note ma non «note», informano ma non sono «informative». Nel 2006, i magistrati lo pescarono con tutte e due le mani imbrattate della stessa marmellata con cui il Sismi di Nicolò Pollari s’era sporcato all’epoca del sequestro di Abu Omar. Risalendo pe’ li rami, si scoprì che «nome in codice: Betulla» s’era già adoperato per i dossier più disparati, da Telekom Serbia allo scandalo Parmalat. Morale? L’allora vicedirettore di Libero disse che nell’armadio, insieme agli scheletri e a un compenso di 30mila euro, aveva i panni del difensore di un Occidente (O maiuscola) minacciato dall’avanzata islamica. Quindi, udite udite, patteggiò. Proprio così, patteggiò una condanna a sei mesi di reclusione versando una multa di 6800 euro ed emigrando tomo tomo, cacchio cacchio verso una candidatura nelle file del Pdl berlusconiano.
Nell’ideale enciclopedia pseudo-giuridica sul «patteggiamento», che ora s’arricchisce anche dell’esempio Boffo, Farina merita un capitolo a sé. Com’ebbe a spiegare il 12 marzo 2008 in un’intervista a questo giornale, «io sono innocente. vero, ho patteggiato. Ma anche Galileo dovette patteggiare». Vanta amicizie antiche con personaggi che si chiamavano ora don Giussani ora Karol Wojtyla, «Renato». E un’inaspettata popolarità conferitagli dall’Istituto Piepoli, a cui aveva commissionato un sondaggio prima delle elezioni 2008: «Tra gli elettori del centrodestra sono considerato il terzo miglior giornalista (7% delle preferenze) dopo Feltri (40) e Ferrara (21)».
Domandone finale: possono mai corrispondere al vero i sospetti che circolano sul suo conto? Farina l’«emerito pataccaro»? Di certo c’è che la sua adorazione per il premier messo in riga dagli editoriali di Avvenire è sconfinata. Glielo disse pure Feltri: «Renato, tu soffri di "inchinite" nei confronti di Berlusconi». Per due volte, però, il Cavaliere venne scottato dalle iniziative di «Renato». Invitato in Sardegna, il giornalista si fece rimproverare da Silvio perché non aveva portato le calze da jogging e anche perché - confessò il diretto interessato a Sabelli Fioretti - «mi ero profumato, probabilmente era anche profumo da donna». La volta prima era Natale e Farina era stato invitato ad Arcore per gli auguri. Dopo aver ringraziato per il regalo (si trattava di un salame della Brianza lungo un metro), il premier si lasciò andare a rivelazioni su un’emergenza terrorismo in Vaticano e il giornalista - pensando di non far danni - scrisse tutto. Successe un pandemonio ma, dopo un giro di smentite e una tiratina d’orecchie, «Betulla» se la cavò. Promettendo, dice chi lo conosce bene, «di difendere il Cavaliere in tutte le occasioni che gli sarebbero capitate da lì in poi». Proprio tutte.