Maria Laura Rodotà, Corriere della Sera 2/9/2009, 2 settembre 2009
Se succederà, cambierà nome e si chiamerà Luxy («ma forse no, mi dicono che sembra una marca di detersivo»), o Lux, o Vladi («c’è anche il femminile, e così mantengo il nome d’arte»)
Se succederà, cambierà nome e si chiamerà Luxy («ma forse no, mi dicono che sembra una marca di detersivo»), o Lux, o Vladi («c’è anche il femminile, e così mantengo il nome d’arte»). Se succederà, succederà fuori dall’Italia («qui arriverebbero i fotografi, non sarebbe un bel decorso post-operatorio, no»). Se Vladimir Luxuria deciderà di diventare totalmente e ufficialmente donna, non succederà nel corso di un reality: «Stamattina mi hanno chiamato da una casa di produzione, mi hanno offerto un bel po’ di soldi per seguirmi e riprendere tutta l’operazione. Gli ho detto un no che ancora risuona». Se. Perché l’ex deputata di Rifondazione comunista poi vincitrice dell’Isola dei famosi e perciò icona trans nazionalpopolare, ha iniziato un percorso lungo, di psicoterapia, possibili prossime terapie endocrinologiche; ma non è ancora sicura di voler fare l’intervento finale: «Ho paura dell’operazione, del dolore, di una scelta senza ritorno. Conosco neodonne felici e neodonne pentite. Vado avanti col consenso informato, voglio sapere tutto. Dai rischi post-operatori alla possibilità di continuare a provare piacere, ovvio; a certe cose non voglio rinunciare. Comunque, se lo farò, dovrò aspettare l’ok dei medici e dei terapeuti, fare i documenti, aspettare che ci sia un posto in ospedale. Entro il 2010, probabilmente ». Guadagno in arte Luxuria, a lungo, aveva dichiarato di non volersi operare: «Ma si può cambiare idea, come si cambia partner e partito. Io ho cominciato a riflettere questa estate alla Versiliana, ero a presentare il mio libro Le favole non dette . In platea c’era Solange, che mi ha letto la mano e mi ha detto ’tu stai pensando di diventare donna’. In effetti non me lo ero detta, però... ». Però poi lo ha detto in un’intervista; ne ha parlato con i genitori; in caso, dopo l’intervento, potrebbe andare a stare un po’ da loro; perché «a Foggia nessuno mi rompe le scatole, altrove sì». Negli ospedali italiani sicuramente: «Da noi ci sono centri di eccellenza, a Trieste, a Bologna, a Roma. Ma io sono conosciuta, non avrei pace. E queste sono scelte intime. E neanche vorrei che le mie dichiarazioni producessero un effetto imitativo; già tante che si operano non sono convinte fino in fondo. Alcune lo fanno per amore di un uomo. Altre per poter avere un lavoro normale, per affittare una casa, per votare, per poter andare alla posta senza dover ogni volta rivelare la loro condizione. Per questo hanno bisogno di documenti con un nome femminile. E la legge 164 lo consente solo dopo le ’rettifiche genitali’. Ma un intervento così radicale va fatto con consapevolezza. Operarsi non è una ricetta per la felicità. Però può essere parte di un processo di maturazione, un modo di affrontare i propri problemi con il mondo e fare pace con se stesse». Per cui «non intendo fare servizi fotografici, diari o altro. Se lo farò, non so neanche se ne parlerò. O comunque non in un reality. Anche se continuano a offrirmene, anche all’estero, se dicessi di sì guadagnerei molto bene; ma non avrei niente da imparare, è un’esperienza che ho già fatto». Una delle molte. «Anche se sceglierò di operarmi continuerò a rivendicare con orgoglio quello che sono stata. Non voglio essere come le stealthy, le invisibili che cancellano il passato, bruciano le foto, a volte cambiano Paese. Anzi, se in questa fase della mia vita ho un messaggio non è per i trans, è per le donne biologiche. Devono essere sempre orgogliose della loro femminilità; anche provando a capire quali sacrifici si possono fare pur di conquistarla. Io lo so, ho 44 anni e ho avuto molto tempo per pensarci».