Marco Imarisio, Corriere della Sera 01/08/2009, 1 agosto 2009
GLI EX INFALLIBILI DETECTIVE DEI RIS. QUANDO LA SCIENZA NON BASTA
«Un chiaro caso di omicidio- suicidio: Giulio Cesare andò incontro all’agguato perché la sua salute era minata dall’epilessia. Il dictator fu ucciso da 23 pugnalate, ma non lo colpirono tutti i congiurati. Fu un delitto pianificato nei minimi dettagli. Lo abbiamo ricostruito, col supporto delle attuali tecniche d’indagine, proprio qui a Parma». In questi anni non ci siamo fatti mancare nulla, con i Ris. Dall’indagine sul cupo dramma avvenuto alle Idi di Marzo passando per la revisione critica di Psycho, il capolavoro di Alfred Hitchcock («Quando Marion Crane viene uccisa a coltellate nella doccia, gli schizzi di sangue seguono una traiettoria del tutto innaturale»), passando per la ricerca dei resti di Gioacchino Murat, e la parola definitiva sulle morti di Pico della Mirandola e del Poliziano, opportunamente riesumati. Ci abbiamo creduto tutti, per quasi un decennio, nell’inappellabilità dell’indagine scientifica. Anche se i primi a dire che può funzionare solo se accompagnata da un buon lavoro di investigazione sono stati proprio loro. Ris, Reparto Investigazioni Scientifiche dei carabinieri, nato nel 1954, cresciuto seguendo i progressi del settore, fino a diventare simbolo della tecnologia applicata alla soluzione del delitto. «Quiscunque tactus vestigia legat», ogni contatto lascia tracce. Così è scritto sul muro di una delle loro cinque sedi.
Negli ultimi tempi l’aria però è cambiata. Ci sono anche delitti destinati a rimanere imperfetti, nonostante il Ris. La svista di Garlasco, chiamiamola così, è l’ultima conferma in ordine di tempo. La sera del 12 settembre 2001 Matteo Nadalini, 14 anni, muore soffocato nella villa di famiglia, a Limidi di Soliera, provincia di Modena. La madre, Paola Mantovani, viene trovata legata con del nastro adesivo. La svolta arriva dagli accertamenti del Ris, secondo i quali ci sono tracce di sudore sul sacchetto usato per uccidere il ragazzo. Scoperte con il test del Dna, accusano la madre. I periti della difesa sostengono invece che su quel nylon vi siano una infinità di tracce riconducibili a persone «diverse e allo stato sconosciute». Due sentenze contrapposte, e poi il 12 novembre 2008 la Cassazione annulla la condanna di Paola Mantovani mettendo in evidenza «la nullità delle consulenze». La Corte Suprema è ancora più dura nel valutare l’operato del Ris sul lavello che nel febbraio 2007 uccide allo stadio di Catania l’ispettore Filippo Raciti. «Il metodo di lavoro utilizzato appare censurabile perché non sono state ricreate le condizioni sussistenti al momento dell’impatto».
Il dubbio comincia ad essere esercitato con il delitto di Cogne. Un paradosso, perché alla fine di ogni grado di giudizio il lavoro scientifico dell’accusa verrà pienamente rivalutato. Ma il 9 aprile 2002, allo Zenith dell’ossessione italiana per questa storia, sulla base di una perizia difensiva il tribunale di Torino ordina la scarcerazione di Annamaria Franzoni, madre del piccolo Samuele (in realtà è il giorno in cui si pubblica la sentenza: la madre - vedi CdS - era stata scarcerata il 30 marzo). «Insufficienti » gli elementi di prova contro di lei, le analisi del Ris di Parma vengono demolite. Poco importa se il provvedimento verrà annullato. l’atto fondante della divisione tra innocentisti e colpevolisti. Uno spartiacque. Prima d’allora, nel campo delle investigazioni scientifiche il difensore era sempre sconfitto in partenza, anche perché i laboratori attrezzati come quelli di Carabinieri e Polizia erano pochi e accessibili a costi proibitivi. Con Cogne finisce un monopolio, e l’aura di infallibilità del Ris.
I libri e l’annessa serie televisiva producono poi alcuni effetti collaterali. I Ris diventano una moda nelle procure di tutta Italia, per meriti acquisiti, e per la visibilità che portano in dote. Ne consegue una mole di lavoro sempre più gravosa. Il contrappasso arriva al momento dell’arresto di Olindo e Rosa, gli assassini di Erba. Nel comunicato della Procura di Como si ringrazia il misconosciuto laboratorio di analisi di Pavia «per le preziose consulenze scientifiche». Non una parola per il Ris, primo arrivato al capezzale delle indagini. All’origine dello sgarbo ci sarebbe l’irritazione dei magistrati per la consegna in extremis della loro perizia e la propensione alle pubbliche relazioni.
La colpa, forse, è di Gil Grissom. L’investigatore di Csi-Crime Scene Investigation entra nelle nostre vite il 6 ottobre 2000, e niente sarà più come prima. Le indagini scientifiche cominciano a divenire sinonimo di sentenza, i laboratori di analisi assurgono al ruolo di camera di consiglio. Quattro mesi dopo, la contessa di Portofino scompare da Villa Altachiara, inaugurando la stagione «mediatica » della cronaca nera. Nel grande teatro del delitto, i Ris vengono a lungo percepiti come una sorta di oracolo di Delfi. Il curriculum è quello giusto. Nel 1998 hanno liberato l’Italia da un serial killer come Donato Bilancia: lo aspettarono in un bar, lui prese un caffè e loro sequestrarono la tazzina. Così risalirono al Dna dell’uomo che aveva già ammazzato 17 donne. Hanno trovato in un portasapone le prove contro Ferdinando Carretta, che sterminò la famiglia; hanno contribuito ad inchiodare gli assassini del piccolo Tommaso Onofri.
Nonostante Garlasco, c’è molto altro ancora, per esercitare il beneficio del dubbio, questa volta in direzione opposta. Basta tenere presente che ogni tanto sbaglia pure Gil Grissom, e non si può chiedere alla scienza la soluzione di ogni caso. Anche se in questi anni gli hanno chiesto di indagare persino sulla morte di Gesù, quelli del Ris sono bravi, ma non sono il Vangelo.