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 2009  agosto 31 Lunedì calendario

AVVOCATO E IMPRENDITORE: I LAVORI PI AMBITI


«Ma tu che vuoi fare da grande?». L’inter­rogativo principe dell’infanzia proietta la mente verso imprese mirabolanti, pur non offrendo alcuna garanzia da illusioni future. Esempio: negli anni che furono e Neil Arm­strong a parte, i milioni di bam­bini che con sicumera risponde­vano «l’astronauta» poi si sono ritrovati a timbrare il cartellino. Adesso è cambiato tutto. Archi­viata la cultura del posto fisso a stipendio sicuro, gli italiani han­no imparato a perfezionare i so­gni di autorealizzazione adattan­do ogni singola aspirazione a un presente che naviga a vista. Il ri­sultato è questo: vogliamo tutti essere imprenditori, per alimen­tare le nostre ambizioni creative e guadagnare in fretta un sacco di soldi. Pur di riuscire nel ci­mento inventiamo persino nuo­vi lavori, che hanno nomi anglo­foni perché nessuno li aveva mai sentiti: web community ma­nager , broker di soluzioni di viaggio last minute , specialista di light show , agente gay frien­dly ,

montatore in Final cut per tv online e via coniando. Sono i mestieri del futuro analizzati in Cronaca di una ricchezza annun­ciata , il rapporto Gpf e Castel­vecchi Consulting – l’istituto di ricerca e consulenza strategica presieduto dalla sociologa Moni­ca Fabris e la società di consulen­za d’impresa dell’editore Alber­to Castelvecchi – che sarà pre­sentato mercoledì in Trentino a «VeDrò 2009», il pensatoio gene­razionale e trasversale di quaran­tenni (e dintorni) promosso da Enrico Letta.

A 2.500 italiani tra i 18 e i 74 anni è stato chiesto di scegliere la professione preferita in asso­luto. Ecco cos’hanno risposto: ai primi tre posti e per tutte le fa­sce d’età ci sono l’avvocato, l’im­prenditore e il medico (o il fisio­terapista) seguiti dall’insegnan­te (che però non piace ai giova­ni), il banchiere, il dirigente d’azienda, l’artigiano (indicato per lo più dai sessantenni), l’arti­sta, l’attore e l’architetto. La clas­sifica è a 38 voci e i lavori con meno attrattive – gli ultimi 10 posti – vanno dal poliziotto al­l’impiegato no profit, dal profes­sore universitario al cooperato­re internazionale, dall’idraulico al modello, dal pompiere al sin­dacalista, dalla showgirl al blog­ger. In posizione intermedia si ri­trovano invece le categorie un tempo ambite: il magistrato, il giornalista, l’ingegnere, il politi­co, il ricercatore. In più – e sem­brerà una tautologia ma non lo era affatto quando la crisi econo­mica nemmeno si avvicinava al­l’orizzonte – nel dossier si leg­ge che «gli italiani preferiscono un lavoro poco interessante ma che faccia guadagnare molto a uno appassionante ma poco pa­gato »: l’imperativo «fare soldi» è una componente sempre più valorizzata, in tandem con la «ri­cerca spasmodica di visibilità» riscontrabile, ad esempio, con il gradimento conquistato da una professione – quella dell’attore – che rivela «ansia di presenzia­lismo e bisogno di emergere».

Già in questi primi dati Alber­to Castelvecchi scorge un pas­saggio culturale più che rilevan­te rispetto alla mentalità media italiana di qualche tempo fa: «Sono le luci e le ombre del gran­de cambiamento dell’Italia berlu­sconiana. Nel bene e nel male gli anni ”90 e il suo volto politico dominante hanno sdoganato la figura imprenditoriale: prima, sia la cultura cattolica che quella di sinistra le erano ostili e la pri­ma cosa che ogni mamma di fa­miglia sognava per i figli era il posto fisso. Oggi in tutti i me­stieri c’è una fortissima compo­nente imprenditoriale e ognuno vuole essere manager di se stes­so: apri un bar e già pensi al ri­storante che prima o poi inaugu­rerai dall’altro lato della strada». La contropartita è una formazio­ne sempre meno ricercata e per­seguita: «Un nuovo capitalismo non può essere pensato senza un classe dirigente ben istruita. La società ha bisogno di eccel­lenti scuole e università, di un giornalismo maturo e indipen­dente, di una magistratura che vigili sul rispetto delle regole e invece queste professioni sono tra le meno desiderate perché vengono associate a posizioni di prestigio in forte declino e che non consentono un’evoluzione in senso imprenditoriale della propria carriera: insomma – ci rivelano i numeri ”, molto me­glio il guadagno che il prestigio sociale».

Dopo lo studio di risposte e percentuali, il rapporto indivi­dua «una potenzialità di produ­zione di ricchezza» nello stermi­nato territorio dei nuovi mestie­ri: più di 400 voci di un elenco lontanissimo dagli statuti pro­fessionali ma estremamente prossimo alle passioni di chi contribuisce a infoltirlo. Sono i lavori che nascono – dice il dos­sier – «da un ’saper fare’ tecno­logico, artigianale o di relazio­ni » e che riguardano «settori me­no visibili del mercato come quelli del benessere, dell’enoga­stronomia, del web 2.0, delle co­municazioni, del marketing rela­zionale, della mobilità e del turi­smo ». E allora il web community manager avrà la responsabilità dell’animazione e del coordina­mento di un’intera comunità vir­tuale, il broker di soluzioni di viaggio last minute dovrà riusci­re a convincere la gente ad anda­re in vacanza da un giorno all’al­tro, lo specialista di light show si preoccuperà di rendere indimen­ticabile un evento con i suoi gio­chi di luce, l’agente gay friendly studierà forme di comunicazio­ne, attività e strategie personaliz­zate per lesbiche, trans e omo­sessuali, il montatore in Final cut realizzerà titoli di testa e di coda, cambi di scena e perfette dissolvenze per le tv via inter­net.

Anche la classifica della pro­fessione che avrà più successo in futuro conferma il primato dell’informatico seguito a ruota dall’immancabile avvocato, dal­la new entry dello sportivo, dal medico e dall’imprenditore. «La nascita di nuovi mestieri rivela una concezione assolutamente laica del lavoro affrancata dai mi­ti secolari della carriera e del ri­spetto delle regole secondo codi­ci prefissati – sostiene la socio­loga Monica Fabris ”: ciò che viene a galla è la forza propulsi­va della passione più che il calco­lo razionale. In questo attivismo si esprime una grandissima ric­chezza potenziale: non appena troveranno matrici di sogno so­ciale e forme di legittimazione, i nuovi mestieri, portatori sani di imprenditorialità, emergeranno e definiranno nuove professio­ni. Sarà compito di politica e aziende ufficializzare il loro in­gresso sul mercato, per il bene del Paese: storicamente, l’au­mento dei mestieri è sempre sta­to anticipatorio di un alto tasso di crescita economica».

Se così sarà, i vecchi mestieri che fine faranno? Gli intervistati non hanno dubbi: sono già da tempo destinati a una mano d’opera specializzata ma non ita­liana. quello che Castelvecchi chiama «nuovo opportunismo», ovvero l’assoluta certezza che «le forme di arricchimento velo­ce provengono dall’ideazione imprenditoriale e non dai lun­ghi apprendistati artigianali che consentono sì buoni guadagni ma ingabbiano in una pratica e in uno studio che nessuno più ha voglia di fare». Ecco perché in vetta alla classifica «Mestieri e professioni di cui ci sarà più bi­sogno in futuro» campeggiano molti dei lavori già etichettati co­me «non desiderabili»: il podio è per l’agricoltore o il contadi­no, subito dopo ci sono l’artigia­no e l’infermiere, al quarto po­sto il medico e al quinto l’opera­io, l’elettricista o l’idraulico. Mo­rale: mentre noi inseguiamo un social dreaming a immagine e somiglianza dell’imprenditore rampante e la politica infiamma di polemiche qualsiasi discussio­ne su chi come dove quando e perché arriva in Italia, l’immigra­zione è già una realtà che per la nostra economia è impossibile da ignorare.