Mauro Castelli, Il Sole-24 Ore 31/8/2009;, 31 agosto 2009
L’INDUSTRIA FARMACEUTICA CURATA GRAZIE AI BREVETTI
Un piccolo grande uomo che, alla bella età di 86 anni, continua a guardare lontano ( «Credo di aver fatto molto, aziendalmente parlando, ma ritengo ci sia ancora parecchio da fare»); lungimirante («Sono stato io a volere il brevetto dei farmaci in Italia »); caratterialmente vivace («Agli scontri più accesi segue ben presto la bonaccia»); duro quanto basta; disposto a tenere in debito conto, bontà sua, i suggerimenti di chi lo affianca nell’operatività anche quando ritiene di «non averne bisogno».
Alberto Aleotti è presidente e amministratore unico del gruppo farmaceutico Menarini di Firenze, un’azienda dove si era accasato nel 1964 e che, grazie alle sue innate capacità, avrebbe negli anni portato a livelli di assoluto valore internazionale. Un protagonista della nostra economia, silenzioso e riflessivo.
Menarini è una realtà farmaceutica che si posiziona al 36? posto della classifica mondiale, ferma restando la leadership in Italia (con una quota di mercato dell’8%), in Ucraina, Bielorussia e Paesi Baltici, nonché il secondo posto in Russia. Un gruppo – il cui azionariato di controllo fa capo alla famiglia Aleotti – che nel 2008 ha registrato un giro d’affari di 2,62 miliardi, contro i 2,50 a bilancio nell’anno precedente, a fronte di utili che (a domanda diplomaticamente non arriva risposta) si perdono nella memoria degli interessati. Utili comunque robusti, nonostante i 200 milioni di investimenti, visto che di un ricorso a Piazza Affari «al momento non se ne parla», senza comunque escluderlo «se sarà necessario».
Il quadro aziendale si nutre poi di 12.584 dipendenti, 8.824 dei quali all’estero; 739 "menti" operative nei centri di ricerca e sviluppo di Pomezia, Firenze, Pisa, Lomagna (Lecco), Barcellona e Berlino. A sua volta il processo produttivo è accasato negli stabilimenti di Firenze, Scandicci, Pisa, L’Aquila, Lomagna, Barcellona, Berlino, Dresda, Shannon (Irlanda), Istanbul e Città del Guatemala. Mentre l’export risulta attestato al 68% in un centinaio di paesi, quando era soltanto dell’8% nel 1989.
Tutto iniziò nel 1886 quando, in una farmacia di Napoli, Archimede Menarini si mise a realizzare prodotti che forniva anche ad altre farmacie. Risale invece al 1915 il trasferimento a Firenze, «in quanto – si presume – in zona abbondavano i produttori di vetro, i cui contenitori venivano utilizzati per le confezioni».
Nel 1964 Alberto Aleotti entrò in questa azienda, che allora fatturava sui due miliardi di vecchie lire, con il ruolo di direttore generale, ingaggiato dal commendator Mario Fittipaldi Menarini. E quando «nel 1975 un infarto si portò via il proprietario, la famiglia mi nominò socio accomandatario. E di questa azienda avrei preso il totale controllo. Sempre giocando al rialzo». Divenuto negli anni 70 presidente di Farmunione, l’Associazione delle piccole e medie aziende italiane, Aleotti si mobilitò per convincere i propri associati, «sia pure con molta fatica», dell’utilità di brevettare i farmaci, «visto che non si poteva copiare all’infinito dagli altri. E alla fine ci sarei riuscito, anche se ”sorride il cavaliere – ci mancò poco che finissi in galera per la veemenza con la quale portavo avanti la mia causa».
Questo successo gli valse la nomina al vertice di Farmindustria, nata dalla fusione di Farmunione con Assofarma. A seguire, nel 1986, Aleotti venne chiamato a sedere sulla seconda poltrona dell’Associazione europea dell’industria farmaceutica, carica ben presto trasformata in presidenza per due bienni. Quindi, dal 1990, eccolo alla vicepresidenza della Federazione mondiale delle industrie farmaceutiche, passo seguito dalla nomina a presidente.
Dopo aver creato Menarini France,nel 1992 arrivò l’ennesima " zampata del leone". La caduta del Muro di Berlino si era portata dietro la privatizzazione delle aziende statali della ex Ddr. «E siccome risultavo interessato al mercato tedesco, decisi di partecipare all’asta per la cessione della Berlin-Chemie, sia pure con poche speranze. Invece vincemmo pur a fronte di un’offerta economica modesta, perché il governo federale aveva capito che il nostro progetto puntava a un vero risanamento aziendale».
Quel piano prevedeva lacrime e sangue, visto che di 1.700 persone ne sarebbero rimaste 500. «Si trattava però di un sacrificio indispensabile.
Sacrificio che avrebbe dato i suoi frutti, dal momento che BerlinChemie si propone oggi come uno dei maggiori datori di lavoro di Berlino a fronte dei suoi quasi 5mila dipendenti».
Ma c’è dell’altro nella campagna di Germania. «Nel 2006 avremmo aggiunto un altro tassello alla nostra presenza rilevando, dalla holding croata Pliva che a sua volta li aveva rilevati dal colosso Degussa, i centri di produzione di Dresda». E a sottolineare questo percorso vincente Aleotti sarebbe stato insignito - e non succede spesso - della Gran Croce al merito della Repubblica federale di Germania.