Fabio Carducci, Il Sole-24 Ore 31/8/2009;, 31 agosto 2009
SI FERMA LA CORSA AL TAGLIO DELLE ALIQUOTE
Per ora non aumentano. E questa è la buona notizia. La cattiva è che hanno smesso di scendere: tutta colpa della crisi. Negli ultimi dieci anni, le tasse sul reddito d’impresa sono calate in tutti i Paesi Ocse (il "club" internazionale delle principali economie sviluppate), ad eccezione del Giappone e della Norvegia, fermi ai livelli del 1999, e dell’Ungheria, unica ad averle leggermente aumentate.
Ora la crisi colpisce le imprese anche sul fronte fiscale. Nessuno, da quando è scoppiata la bufera globale, ha avuto il coraggio di estendere alle aziende il trattamento cui Dublino, Londra e Madrid hanno sottoposto le persone fisiche, rompendo la tregua fiscale. Ma è praticamente certo che la decennale stagione delle aliquote in calo sia chiusa. Lo affermano Dali Bouzoraa,direttore dell’International bureau of fiscal documentation (Ibfd), e Geerten Michielse, professore universitario e direttore del Centro per la tassazione e l’amministrazione pubblica di Amsterdam, sulla scorta dell’analisi svolta dai due istituti di ricerca olandesi, fra i più autorevoli think tank dedicati allo studio comparato del fisco planetario.
«La tendenza globale alla riduzione delle imposte sulle imprese cui abbiamo assistito negli anni scorsi - rileva Michielse - sembra essersi arrestata, con aliquote che hanno raggiunto un livello stabile nella maggior parte delle giurisdizioni. Con una principale eccezione tra i maggiori paesi, la Russia». Mentre infatti gran parte dei ministri del Tesoro sulle due sponde dell’Atlantico trascorre notti insonni pensando a come rifornire le pubbliche casse svuotate dai pacchetti di stimolo all’economia e dai salvataggi bancari, Mosca si è recentemente concessa il lusso di ridurre il prelievo sulle imprese di quattro punti (dal 24 al 20%). Ritocchi all’ingiù meno ambiziosi, nell’ordine di un paio di punti, sono arrivati anche nella Repubblica ceca, il Lussemburgo, i Paesi bassi e la Svezia. Per trovare sconti robusti bisogna risalire ben prima della crisi ai quasi 9 punti tagliati dalla Germania ( dal 39 al 30%) e ai circa 6 punti dell’Italia (con la riduzione delle aliquote Irese Irap, cui vanno però aggiunti anche i primi passi per la riduzione del cuneo fiscale).
Almeno per un po’ di tempo, dunque, resteranno un ricordo le coraggiose sforbiciate dell’ultimo decennio. Periodo nel quale il record Ocse spetta ancora una volta al fisco tedesco, il cui peso sulle aziende è sceso di oltre 20 punti. Fra i maggiori discesisti meritano di essere ricordati però anche la Slovacchia, la Repubblica Ceca, l’Islanda, la Polonia e l’Irlanda, che si riscatta dalla stretta sui redditi personali difendendo oggi con le unghie e con i denti la corporate tax più bassa: il 12,5 per cento.
Fra i segnali registrati dall’Ibfd che inducono allo scetticismo su futuri cali della pression fiscale, anche gli accresciuti sforzi da parte degli stati per combattere l’erosione della base imponibile e rendere più dura la vita alle aziende che cercano di nascondere pro-fitti all’estero.
La corporate tax non è tuttavia l’unica leva di politica tributaria che i governi hanno a disposizione per ammortizzare l’impatto della crisi. E se per difendere le finanze pubbliche senza torchiare cittadini e imprese molti paesi hanno puntato sulla lotta all’evasione, altrettanti hanno agito su altre forme di imposizione e varato pacchetti di incentivi per incoraggiare la domanda e far ripartire l’economia reale (è il caso delle misure varate in questi mesi dal governo italiano).
Per quanto riguarda la tassazione, Ungheria, Irlanda e Lussemburgo – rilevano ancora i due istituti olandesi- sono fra coloro che hanno abolito o ridotto l’imposta di bollo sul capitale azionario o quella di registro. Il Regno Unito ha ridotto temporaneamente del 2,5% l’Iva (ma Ungheria, Irlanda e Lituania l’hanno leggermente aumentata). La Spagna ha abolito la patrimoniale. Giappone e Stati Uniti hanno accordato rimborsi fiscali ai contribuenti, il Regno unito alle imprese in perdita.
Un discreto numero di paesi (Austria, Germania, Lettonia, Paesi Bassi, Australia, Canada e Stati Uniti) ha introdotto piani di ammortamento accelerati per stimolare gli investimenti. In Canada, inoltre, gli investimenti in computer e software sono interamente deducibili e lo stesso ha fatto la Spagna per gli investimenti immobiliari nel 2009-2010. Irlanda, Portogallo, Romania e Spagna hanno aumentato il credito d’imposta per la ricerca. In Irlanda, sono esentasse i capital gains realizzati sulle start-up, negli Stati Uniti su alcune Pmi. Il Belgio ha puntato sulla casa, riducendo l’Iva sulle nuove abitazioni private.
Molti paesi europei hanno giocato la carta della dilazione dei pagamenti per le imposte dirette o indirette da parte delle imprese in difficoltà: tra questi il Belgio, la Danimarca, la Repubblica ceca, il Regno Unito, la Russia. Altri hanno accelerato le procedure per i rimborsi fiscali.