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 2009  agosto 31 Lunedì calendario

PENSIONI, L’ALTRA RIFORMA


La riforma delle pensioni contenuta nel decreto anticrisi, definitivamente convertito in legge prima della pausa estiva, costringerà 89 mila donne impiegate nella pubblica amministrazione a rimanere al lavoro per qualche anno in più nei prossimi 10 anni. Questo in adempimento di una sentenza della Corte di giustizia europea che ha considerato illegittima la differenza tra il trattamento riservato agli uomini (pensione di vecchiaia solo dopo i 65 anni) e alle donne, che possono andare in pensione 5 anni prima. Il calcolo del numero di donne interessate alla riforma è stato fatto dall’Inpdap (i dettagli sono pubblicati all’interno di questo giornale). Ma al di là del dato numerico rimane aperto un problema che la sentenza della Corte di giustizia non ha voluto prendere in considerazione. Se in Italia esiste un regime agevolato di pensionamento che consente alle donne, sia nel pubblico che nel privato, di beneficiare della pensione di vecchiaia cinque anni prima degli uomini, è perché il legislatore di qualche decennio fa aveva voluto in questo modo ricompensare le lavoratrici per il fatto di essere svantaggiate sul lavoro a causa della maternità (non si erano ancora avuti casi di gestazione maschile). A questo punto si potrebbe porre il problema della differenza di trattamento tra il pubblico e il privato. Il dibattito che si è aperto in Italia in conseguenza di questa sentenza (alla quale il governo non poteva negare ottemperanza) ha segnato una divisione tra le posizioni di chi ha sostenuto che l’equiparazione delle età di pensionamento andasse fatta contestualmente al riconoscimento di altre prerogative che compensassero diversamente lo svantaggio femminile; altri hanno invece sostenuto che le donne nel pubblico impiego sono comunque avvantaggiate rispetto a quelle del privato (che continueranno ad andare in pensione di anzianità a 60 anni). Questo perché nel pubblico c’è una maggiore protezione della posizione della donna, non giuridica, ma di fatto. Tanto per fare un esempio, i dati statistici mostrano che la quasi totalità delle donne nel pubblico impiego, a differenza che nel privato, sfruttano al massimo gli istituti della maternità. E non c’è rischio di licenziamento. In sostanza, la realtà lavorativa è svolta in condizioni differenziate. Se nel primo caso un bonus di cinque anni non si poteva più giustificare, nel privato potrebbe durare ancora a lungo.