Marco Damilano, L’Espresso, 3 settembre 2009, 3 settembre 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 3 SETTEMBRE 2009
Pd, servono nuovi compagni di strada Il Partito democratico riconosca gli errori fatti e si apra ad altre forze. Franceschini troppo legato all’illusione bipartitista. Meglio Bersani. Parla il presidente del Trentino Lorenzo Dellai
Il Principe medita di scendere a valle: smettere di frequentare solo le montagne e le malghe dell’adorato Trentino e cominciare a proporsi fuori dai confini regionali. Per il centrosinistra potrebbe essere un’ottima notizia: l’ex democristiano Lorenzo Dellai, cinquant’anni da compiere a novembre, sindaco di Trento già nel 1990, il più giovane d’Italia, poi presidente della provincia autonoma trentina ininterrottamente dal 1998, è l’artefice di memorabili batoste elettorali ai danni del Pdl e della Lega, anche trenta punti di distacco. L’unico governatore del centrosinistra a uscire vittorioso in tutte le competizioni contro la coalizione berlusconiana nella landa nemica del Nord Est, con un suo partito, l’Unione per il Trentino, strettamente alleato con il Pd e con l’Udc.
Da qualche mese il padre del modello Trentino ("macché modello, siamo un piccolo territorio", sorride) gira l’Italia, tiene i contatti con i politici nazionali a lui affini, con il sogno di costruire quello che manca per tornare a vincere nella penisola: il partito del Centro riformista alleato stabilmente con la sinistra. «Il Pd ha fatto l’errore di cedere alle lusinghe berlusconiane del bipartitismo e ha perso. Ora dobbiamo mettere in campo una Grande Alleanza democratica con le forze che non si ritrovano nel Pd, a partire dalle formazioni territoriali. Il centrosinistra deve smettere di assistere nella marginalità al gioco degli altri. Al Nord rischiamo che il bipartitismo ci sia, quello tra Pdl e Lega, però".
Lei non ha aderito al Pd, ma segue il congresso da esterno. Cosa vede da spettatore?
"Sono molto interessato. Mi chiedo solo come sia stato possibile pensare di fare un congresso così lungo, mesi di discussioni, primarie, assemblee, quando siamo alla vigilia di uno scontro cruciale come le elezioni regionali. Il rischio è che alla fine del congresso il Pd si trovi in una situazione ancora più difficile del punto di partenza. Con la destra che non è in crisi, anzi, si sta rafforzando".
Lei dalla tribuna per chi fa il tifo? Per Dario Franceschini, che è un ex dc di sinistra e cita don Lorenzo Milani come lei, per Pierluigi Bersani o per Ignazio Marino?
"Non parteggio. Dico però che Dario come segretario uscente deve difendere l’esperienza del Pd sviluppata fin qui e rimarcarne il valore. Mi sembra più legato alla precedente illusione bipartitista che vede come un pericolo tutto ciò che è fuori dal Pd. Io penso invece che non discutere sugli sbagli fin qui compiuti sarebbe un errore. Chi ha sviluppato una riflessione più profonda e aggiornata sui limiti del Pd è Bersani. Nella sua candidatura ha messo a tema l’esigenza di un rapporto con le rappresentanze politiche che non sono nel Pd ma possono essere compagni di strada. Anch’io penso che si debba ripartire di qui: per tornare a vincere il centrosinistra deve darsi un’articolazione molto diversa".
Quali sono stati gli errori del Pd?
"La fase di costruzione del Pd è stata molto mediatica e centralista, oggettivamente guidata da una logica tutta romana. Una logica che ha creato un rapporto non positivo con i territori che si sono sentiti mortificati. In più, pretendere di concentrare in un unico partito la ricchezza delle culture e delle tradizioni ha messo a rischio l’esistenza di filoni molto importanti nella storia italiana".
Si riferisce alla cultura cattolica? Il Pd ha digerito quel che restava della Dc?
"Non solo. Vedo in grande difficoltà anche la sinistra. Qui al Nord ambienti tradizionalmente di sinistra come il mondo delle fabbriche oggi si riconoscono nella Lega. Tutto questo ci dice che il progetto del Pd non poteva bastare per vincere e non serve più da solo per tornare a battere il centrodestra. C’è bisogno di dare voce a una parte fondamentale dell’elettorato che non si riconosce in quell’operazione: forze territoriali, culture politiche diverse. Dobbiamo mettere in campo una Grande Alleanza democratica con le forze che non si ritrovano nel Pd, in primo luogo i partiti territoriali. Finché non lo faremo il Pd giocherà a fare il miglior perdente, non a essere il partner di una coalizione vincente. Bisogna che gli amici del Pd si rendano conto che questo discorso è utile, non pericoloso".
Quando si sente parlare di nuove alleanze il pensiero corre subito all’Udc. Lei vorrebbe fare il pontiere tra Pier Ferdinando Casini e il Pd, come ha fatto in Trentino?
"A me piacerebbe creare un’area politica che superi l’Udc e che ancora non esiste: il centro riformista, il popolarismo senza tentazioni confessionali, il recupero dell’idea degasperiana del centro che guarda a sinistra". Lei cita il padre nobile De Gasperi, ma l’Udc sembra ispirarsi ad Andreotti, la politica dei due forni. Trattare con Pdl e Pd e vedere chi offre di più... "L’Udc legittimamente non ha ancora deciso che fare. Di certo non è disponibile a un’alleanza con il Pd, almeno per ora. Ne capisco le ragioni, i processi politici di cui parlo sono lunghi, bisogna costruirli con pazienza. I nuovi partiti non si fanno dal predellino. Anni di politica mediatizzata ci hanno abituato al contrario, ma io la penso così".
Chi sono i compagni di strada di questa nuova iniziativa? Francesco Rutelli?
"Leggo con interesse le sue dichiarazioni e mi sembra che vadano nella direzione giusta. Ma Rutelli è un dirigente importante del Pd, non si può chiedergli di abbandonare la sua postazione. Non si tratta tanto di scomporre quello che c’è quanto di fare quello che ancora non c’è. Non dobbiamo mettere insieme gli spezzoni delle vecchie nomenklature. Alla politica servono gli apporti che vengono dal territorio e le grandi tradizioni che devono innovarsi, cambiare linguaggio, ma che non possono essere azzerate se si vuole evitare che la politica sia pura amministrazione e gestione del potere".
Dalle elezioni europee di giugno in poi Berlusconi appare indebolito, eppure lei dice che la destra negli ultimi mesi si è rafforzata...
"Berlusconi si è indebolito, ma il berlusconismo è ormai un dato culturale, l’eventuale uscita di scena del presidente del Consiglio non porta automaticamente a niente se non c’è un’alternativa. Qui al Nord negli ultimi anni c’è stato uno tsunami, un cambiamento radicale della società in tutti i settori. La destra ha saputo interpretarlo, il centrosinistra ha fatto molta fatica con la sua logica centralista. In Trentino siamo stati in grado di vincere perché abbiamo offerto un’architettura politica che seguiva le richieste del territorio e non quelle nazionali. da qui che si deve ripartire. Altrimenti, c’è qualcosa che non quadra: come mai con la crisi economica, gli scandali personali del premier, la contrapposizione tra la Lega e il Pdl il berlusconismo continua a intercettare il consenso? Forse, dico io, è sbagliato lo schema di gioco con cui lo stiamo affrontando. Allora proviamo a cambiarlo, per mettere in campo una reale alternativa ".
Esiste davvero la competition tra Pdl e Lega? O tutto finirà con la spartizione ad Arcore di qualche presidenza di regione?
"Potrebbe rivelarsi una spaccatura reale se il centrosinistra giocasse con più fantasia e coraggio, intervenendo nelle contraddizioni. Apprezzo l’iniziativa di Piero Fassino che in Veneto cerca di proporre uno schema nuovo". Corteggiare il suo amico, il governatore forzista Giancarlo Galan, e convincerlo a mollare la Lega? Non sembra uno schema nuovo. E neppure una mossa destinata al successo... "Non importa. Il punto è riprendere l’iniziativa politica. In Lombardia e in Veneto è possibile immaginare iniziative anomale senza pensare di capovolgere le situazioni in pochi mesi ma tentare almeno di esserci. Il centrosinistra deve smettere di assistere nella marginalità al gioco degli altri. Altrimenti, al Nord rischieremo che il bipartitismo ci sia: quello tra Pdl e Lega, però..."