Marco Damilano, L’Espresso, 3 settembre 2009, 3 settembre 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 3 SETTEMBRE 2009
Cerco il PdL che non c’è Il futuro del partito. Che non esprime ancora una cultura di governo. E che deve fondarsi su valori laici. Per non perdere consenso. La visione di Gianfranco Fini in un carteggio con Piero Ignazi
Definire il Pdl è come quando, davanti a un neonato, si pretende di sapere che tipo di persona sarà in base ai suoi primi vagiti. Se assomiglia più a mamma o più a papà, se ha l’irruenza di nonno Peppino o la calma di nonno Pasquale oppure l’intraprendenza di zia Matilde... Chi sia il padre e chi la madre, chi nel Pdl sia irruento come nonno Peppino o serafico come nonno Pasquale, Gianfranco Fini lo lascia solo immaginare. Di certo è un nuovo segnale di intraprendenza (che sia forse lui la zia Matilde?) del presidente della Camera questo carteggio con il direttore del "Mulino" Piero Ignazi, politologo e studioso della destra italiana (fu lui a coniare per il Msi la definizione di "polo escluso" già nell’89).
Scambio di mail all’antica, botta e risposta, un dialogo senza sconti e senza rete, intrecciato nel mese di giugno e pubblicato ora sulla rivista diretta da Ignazi. Alla vigilia dei tradizionali incontri del Pdl: la scuola di Gubbio in programma dal 10 al 12 settembre, la summer school della fondazione Magna Carta dall’1 al 7 settembre, la festa dei giovani a Roma. E c’è da scommettere che le parole del presidente della Camera peseranno nel dibattito interno del partito di maggioranza. Perché oggetto dell’epistolario Fini-Ignazi è proprio il Pdl: la sua natura, il suo ruolo, l’attuale leadership berlusconiana, il suo futuro. Soprattutto questo interessa all’ex leader di An. Il presente per l’intellettuale del "Mulino" si chiama Silvio Berlusconi, "una palude peronista percorsa da uno stato di continua mobilitazione fideista ad adorazione del capo". Fini non condivide, e ci mancherebbe: "Un’immagine esagerata e caricaturale". E tuttavia, ammette l’inquilino numero uno di Montecitorio, al momento della fondazione del nuovo partito "in effetti, di adrenalina ne è corsa parecchia", il Pdl è soggetto "a rischi populisti e carismatici". Rischi da superare rapidamente, perché "un partito che raccoglie il 35 per cento dei voti non può essere strutturalmente un partito "populista", è obbligato a esprimere, prima o poi, una avanzata cultura di governo. Se così non avvenisse, le basi reali del suo consenso si indebolirebbero inesorabilmente. E tale partito finirebbe presto o tardi in un’orbita eccentrica rispetto all’evoluzione sociale, autocondannandosi fatalmente alla marginalità politica". Una profezia che suona sinistra alle orecchie degli ultrà berlusconiani. Eppure, nel "prima o poi" buttato lì c’è sottilmente espressa l’insoddisfazione del presidente della Camera per come finora il partitone azzurro ha assolto il suo compito.
Il Pdl, visto da Fini, finora è una scommessa incompiuta. "Occorre passare dalla fase, diciamo così, "movimentista" a quella della democrazia "strutturata". Il Pdl è da consolidare come presenza nella società e da far decollare come luogo di elaborazione. Non intendo riferirmi al partito "pesante" del passato, ma a una forma di organizzazione libera, plurale e aperta. Aperta alla società civile e alle associazioni, alle idee e alle tendenze che fermentano nel Paese". Il partito sognato da Fini è il partito della modernizzazione del paese, chiamato, nientemeno, a "sviluppare quella cultura liberale, laica e modernizzatrice che al tempo della Dc (e anche del Pci) era decisamente minoritaria all’interno della società italiana ". Così, con una sbalorditiva conversione rispetto al suo passato, l’ex delfino di Giorgio Almirante, oggi terza carica dello Stato, propone se stesso come alfiere di quello che è sempre mancato nella politica italiana: un moderno partito conservatore e liberale di massa.
questo il destino cui il Pdl dovrebbe tendere, la sua Itaca, per questo il presidente della Camera propone soluzioni più avanzate sulle questioni etiche, come la legge sul testamento biologico. E ne è talmente convinto che si spinge ad un ardito paragone con la formazione che per cinquant’anni ha rappresentato gli elettori moderati, per smentire che il Pdl sia la nuova Dc. La Balena bianca fu una necessità storica: clericali e cattocomunisti, Andreotti (con cui Fini condivide l’avvocato, Giulia Bongiorno) e Rosy Bindi restavano sotto la stessa bandiera perché bisognava difendere la democrazia nell’era della guerra fredda. "Il cemento comune del Pdl, invece, non viene da una pesante condizione storica. Il Pdl agisce in un mondo aperto e senza frontiere. Ci potranno essere più "anime", ma dovranno muoversi in una logica diversa dal passato. Non seguendo la cultura della "coalizione" ma quella della "sintesi"". Nella Dc erano tutti uniti contro il Pci, nel Pdl bisogna starci per volontà. Dichiarazioni accolte con scetticismo dall’interlocutore. Non sono certo in discussione le intenzioni di Fini, ma la sua capacità di contare all’interno del Pdl egemonizzato da Berlusconi. «Perché il Pdl esprime invece una agenda (e un modo d’essere) assai lontani da quelli dei partiti moderati europei? ", chiede Ignazi al presidente della Camera: "Il progetto della modernizzazione del paese, che lei giustamente sottolinea come imprescindibile, si scontra con le politiche messe in atto dal governo attuale: la compressione delle logiche di mercato (nuova Alitalia), lo smantellamento delle liberalizzazioni, l’allentamento delle norme sull’infortunistica sui luoghi di lavoro, la limitazione della libertà di stampa (la galera per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni!), sono tutte scelte che vanno in senso contrario". Visto così, il Pdl che vorrebbe Fini è un’illusione, "un wishful thinking", lo definisce Ignazi. O forse una speranza: quella espressa dal presidente della Camera, che si possa passare un giorno "dalla tentazione populista a uno stile politico all’insegna della responsabilità". E nessun processo in politica avviene senza aprire un conflitto, ammette Fini. Ma qui finisce lo spazio dell’analisi e si apre quello della battaglia per la leadership futura del Pdl. Oggi il partitone azzurro è in mano a Berlusconi, il domani è ancora tutto da inventare.