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 2009  agosto 28 Venerdì calendario

[LETTERE]

Bamboccioni d’Italia e ora anche d’America -


Dopo tante critiche alla nostra esterofilia linguistica e al nostrano imperante linguaggio filoamericano, finalmente un sospiro di sollievo: anche la società Usa importa tendenze e neologismi prettamente italici. Complice la crisi, molti giovani statunitensi, alle prese con perdita del lavoro e ridimensionamento dei guadagni, sono costretti a tornare all’ovile e a riabitare con i genitori, non potendosi più permettersi affitti e dispendiose vite da single. Così i «bamboccioni» italici diventano «adult children» oltreoceano, con la differenza che mentre in Italia sono probabilmente le mamme a frenare l’uscita dal guscio dei propri pargoli, i genitori americani, raggiunta la sicurezza economica e psicologica per aver sistemato i figli, non vedono di buon occhio questo ritorno obbligato, forse anche perché spesso le vecchie stanze dei figli sono diventate i loro studi o le stanze dei propri hobby. E così chi è entrato negli «anta» e pensava di avercela fatta, si ritrova invece a far parte della cosiddetta «sandwich generation», coloro cioè che si devono prender cura contemporaneamente dei propri figli e dei propri genitori.
MAURO LUGLIO, MONFALCONE

Mi sembra che in Italia non siano solo le mamme a frenare i figli dall’uscire di casa ma che siano proprio i ragazzi a trovare comodo e confortevole restare con i genitori, dove hanno la garanzia di trovare la cena pronta, i pantaloni lavati, le camicie stirate e la stanza riordinata. Negli Stati Uniti appena si arriva in età da college si esce di casa, è un atto di orgoglio e di libertà: la conquista dell’indipendenza è un dato fondamentale della società americana e a questo va sommato il fatto che nessun genitore permetterebbe al figlio di fare tardi la sera, bere o fumare in casa. Così lasciare le mura domestiche è vissuto anche come atto trasgressivo. Per questo il percorso contrario viene vissuto come un’umiliazione e una sconfitta e il moltiplicarsi di famiglie costrette a riprendere i figli, dopo quattro anni fuori casa, è considerato un brutto colpo al sogno americano.

C’è però un’altra verità, che per la prima volta accomuna le due sponde dell’Atlantico, ed è la difficoltà di entrare nel mondo del lavoro dopo la laurea: in media i giovani italiani trovano un posto fisso sette anni dopo i loro coetanei europei, e con un simile ritardo medio si sposano e fanno figli. Ora il mondo ci segue, la recessione ha diminuito le possibilità per tutti, ma non possiamo sentirci più uguali agli altri per questo: i ragazzi inglesi, americani e indiani sanno che la concorrenza per trovare un lavoro sarà ancora più dura e che per saltare in groppa alla ripresa bisognerà dimostrare di avere ancora più conoscenze. Così studiano più lingue, più informatica, si specializzano e cercano di intercettare nuovi mestieri. Il pericolo reale, ancora una volta, è che noi si resti al palo, comodi, a casa di mamma.
MARIO CALABRESI