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 2009  agosto 28 Venerdì calendario

Tarchi: ”Gianfranco? Non ha fede in nulla uno scettico estremo” Il centrosinistra plaude perché, carente com’è di linea politica, si concentra su speranze offerte da altri

Tarchi: ”Gianfranco? Non ha fede in nulla uno scettico estremo” Il centrosinistra plaude perché, carente com’è di linea politica, si concentra su speranze offerte da altri. E lui è l’uomo giusto al posto giusto...». Lui, Gianfranco Fini, Marco Tarchi lo conosce da quando insieme militavano nelle fila dell’Msi, e lo studia da politologo dell’università di Firenze e per l’Osservatorio sulle trasformazioni dei partiti. Professore, come giudica la marcia trionfale di Fini nel campo dell’opposizione? La sua innovazione culturale è progressista, o semplice e comune buon senso? «E’ stata una marcia trionfale per via dell’oggettiva condizione del centrosinistra, ma sono anni che Fini ha messo a punto una tattica e una strategia precisa. Direi almeno dal 1989, che per lui è l’anno della sconfitta dell’Elefantino, il rassemblemant maggioritarista che fece con Mario Segni. Da allora, Fini ha capito di non poter contare su una legittimazione certa nel centrodestra, che in quel campo non sarebbe mai stato egemone. E da allora punta a farsi legittimare dagli avversari. Siamo in un punto culminante di questo percorso: cerca il consenso bilaterale, si pone come affidabile per una carica come quella di capo dello Stato. Le cose che dice certo sono di comune buon senso, per i valori della Prima Repubblica. Ma viste con gli occhi dell’elettorato di centrodestra sono progressiste, se non addirittura di sinistra». Immigrazione, bioetica, diritti civili, perfino le gabbie salariali lo pongono in rotta di collisione con il Pdl, per ora. C’è un punto, in questo percorso, in cui le parole di Fini possono aiutare a fondare quella famosa destra moderna di cui si parlò al congresso di Fiuggi? «Fini sta solo costruendo un percorso personale. I valori di Fiuggi sono nel limbo, sono rimasti lettera morta, non c’è in Fini e nemmeno in Alleanza nazionale la tensione a creare una politica e una cultura di riferimento, ma solo un colpo al cerchio e uno alla botte, e una logica di convenienze ed interessi. Quello di Fini è appunto la costruzione di un proprio percorso personale. Almirante lo preferì ad altri, per la successione, proprio per l’estrema freddezza, perché aveva le antenne dritte, e intuiva cosa dire, e quando era il momento giusto per dirlo». Dunque non crede vi sia autenticità nelle prese di posizione di Fini? Eppure le immagini dello Yas Vashem, quando bollò il fascismo come ”male assoluto”, lo mostrano come qualcuno che dice quello che pensa, senza riflettere sulle conseguenze. «E infatti, subito dopo, mandò a tutti quelli di An una lettera nella quale in sostanza spiegava che il significato delle parole varia a seconda del luogo in cui sono pronunciate...E’ l’abitudine del doppio linguaggio. La categoria dell’autenticità, comunque, non appartiene alla politica». A Genova Fini ha diviso il mondo in laici e clericali, non citando mai la categoria del laicismo, e ha anche detto di non essere un credente. «Fatico a pensare che Fini abbia mai creduto fino in fondo in qualcosa. E’di uno scetticismo estremo, e si muove con un relativismo estremo. E questo, in politica, è un forte vantaggio. Se ha consiglieri? L’ultima volta che l’ho incontrato è stato due anni fa. Mi ha detto ”ascolto chi voglio, e faccio come mi pare”. Credo sia proprio così».