Fabio Martini, La Stampa 28/8/2009, 28 agosto 2009
Fini: Conversione al contrario e il credente si scoprì ateo - Lui che è sempre così lapidario, stavolta lo ha detto quasi sottovoce: «Io non ho il dono della fede
Fini: Conversione al contrario e il credente si scoprì ateo - Lui che è sempre così lapidario, stavolta lo ha detto quasi sottovoce: «Io non ho il dono della fede...». L’altra sera, davanti ai militanti della Festa del Pd di Genova, Gianfranco Fini ha completato la sua conversione laica, rivelando un tarlo interiore che gli amici conoscevano da anni: per lui la fede cattolica non è un solido ancoraggio, né un dono del destino. Pubblica dichiarazione quantomai sorprendente perché di Fini si conoscevano i dissensi con le gerarchie vaticane, ma anche la professione di fede, che lui stesso non aveva mai messo in discussione. L’annuncio risulta spiazzante anche perché in controtendenza con una italica vocazione di senso opposto: quella di leader politici convertiti alla religione cattolica in età matura. E’ capitato a Francesco Rutelli, già leader anticlericale del Partito radicale, del quale anni dopo la celebrazione, si seppe (non per sua iniziativa, ma dalla agenzia Ansa) che nella massima riservatezza si era risposato in Chiesa. E’ capitato anche a Piero Fassino di rivelare a Barbara Palombelli, in una trasmissione radiofonica, di «non aver fatto della propria cattolicità una manifestazione pubblica per rispetto alla mia fede». E anche nell’attuale governo ci sono ministri e sottosegretari di tradizione socialista o radicale - Franco Frattini, Maurizio Sacconi, Eugenia Roccella - che ci hanno tenuto a far conoscere le proprie convinzioni cattoliche. Conversioni o prese di coscienza maturate per motivi conosciuti soltanto dai diretti interessati, ma che hanno finito per aiutare personalità di cultura laica ad accreditarsi, a vieppiù legittimarsi in un Paese nel quale la benevolenza vaticana può aiutare l’ ascesa nelle attività terrene. Ma Fini ha scelto un percorso opposto e proprio in uno schieramento nel quale Dio-Patria-Famiglia, almeno a parole, hanno sempre rappresentato una sorta di trinità. Da missino ad antifascista, da cattolico ad ateo non devoto, Fini è il personaggio che più è cambiato sullo scena politica italiana. Ma come è maturata la conversione laica? Come sempre, o come spesso accade per le questioni di fede, tutto ha inizio in famiglia. A Bologna, negli anni Cinquanta, il piccolo Gianfranco (che nasce nel 1952) scopre di avere un papà ateo e una mamma religiosa. Una famiglia emiliana nella quale si mescolano anche le passioni politiche: il nonno paterno era un militante comunista, il nonno materno aveva partecipato alla Marcia su Roma. Ma quando, negli anni Settanta, il giovane Fini si trasferisce a Roma, «Giorgio Almirante - come ricorda un amico di gioventù come Teodoro Buontempo - cercava un ragazzo dalla faccia pulita, che sapesse parlare ma non fosse un chiacchierone, in grado di tenere i rapporti con la nobiltà nera e con ambienti cattolici. Fu scelto Fini, che svolse quell’incarico in modo distaccato, senza clericalismi». Ricorda un altro camerata: «Nelle cerimonie per i tanti nostri caduti, Fini restava sempre in piedi, non si inginocchiava quasi mai. Era credente, ma non un bigotto». Eppure quando Fini, dal 1987, prende la guida dell’Msi, i toni diventano clericali, accusa la Dc di avere «decristianizzato l’Italia» e ancora nel 2002, intervistato da TelePace, richiesto di fare una preghiera per il Papa, Fini risponde: «Preghiamo Iddio perché gli dia la forza fisica». E ancora nel 2005, in un’intervista per spiegare il suo sostegno ai referendum contro la legge per la fecondazione assistita, dice testualmente: «Da cattolico sento il valore dell’insegnamento del Papa». Due giorni fa la svolta definitiva. Perché? Dice Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati Pdl e amico vero di Fini: «Gianfranco, che resta una delle massime personalità del partito, crede fortemente che il Pdl, per diventare ancora di più un partito-leader debba essere un grande partito aperto, nel quale laici e cattolici convivano». Interpretazione confermata dallo stesso Fini in una lungo colloquio per via epistolare col direttore del "Mulino" Piero Ignazi. Il "nuovo" Fini, per dirla con Alessandro Campi, l’intellettuale a lui più vicino, «vuole una destra moderna, non populista, non ideologica e laica. Come quella di Sarkozy. O Cameron».