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 2009  agosto 27 Giovedì calendario

L’UOMO CHE RACCOGLIE LA MANNA


La manna non cade dal cielo ma viene fuori, con la grazia di Dio, dalla fatica di queste mani e dall’affilatura di questa roncola». L’uomo che raccoglie la manna è magro come un chiodo. Con la vita e la fatica scolpite nella pelle e nel viso. Parla poco ma gli occhi, le mani e quella roncola che impugna con forza raccontano quello che le parole non riescono a spiegare. Rosario Collesano, classe 1924, raccoglie la manna da quando aveva 13 anni. Prima di lui lo aveva fatto il padre. E prima ancora il padre di suo padre.
Il piccolo impianto fotovoltaico sistemato di fronte alla casupola che domina la distesa di frassini è l’unico simbolo di modernità in un paesaggio immobile rispetto allo scorrere del tempo. Contrada Saltaloro è a quattro chilometri da Castelbuono, nel parco delle Madonie. Un panorama di colline a pochi chilometri dal mare. Una terra arsa e con una forte pendenza, dove l’uomo che raccoglie la manna si muove agile e veloce, «anche di notte», spiega il figlio Gandolfo. Anche lui ha iniziato ad incidere a dodici anni. l’innovatore della famiglia: le celle solari e il piccolo cingolato per pulire il terreno sono una sua idea. Le tecniche e gli strumenti della raccolta, però, sono rimasti gli stessi dei secoli scorsi: la roncola di ferro arcuata, foglie di fico d’India concave, scatole di latta.

Sapore e sapere
Per la Confagricoltori, Rosario Collesano è un «custode dei sapori e dei saperi del territorio». il più anziano produttore ancora in attività e dal 1970 lo fa a tempo pieno su una terra tutta sua «acquistata con i soldi guadagnati da emigrante in Germania». All’alba, l’uomo che raccoglie la manna sembra muoversi a caso tra i suoi frassini. In realtà, nulla è lasciato al caso e le geometrie che disegna per la collina arrivano dalla tradizione e dalla memoria: «C’è un percorso che seguo anno dopo anno. Posso sbagliare il primo giorno ma quello successivo ritrovo subito l’orientamento».
 il colore delle foglie ad indicare quando il frassino è pronto per essere inciso: «Guardi qui, quando il verde da intenso tende al giallo allora è arrivata l’ora». E con un paio di colpi sicuri prima scortica la corteccia e poi la incide con un taglio netto, dal basso verso l’alto, fino ad intercettare i vasi di linfa discendenti. Aspetti pochi secondi e poi vedi uscire una goccia, una «lagrima», dal colore violaceo e dal sapore amaro. Saranno poi il sole e l’aria a trasformarla in elemento solido, bianco e dal sapore dolce.

Il taglio nel tronco
L’incisione si ripete il giorno dopo, un paio di centimetri sopra la precedente. I tagli vanno avanti fino a quando, goccia dopo goccia, sul tronco non nasce una stalattite biancastra. Si chiama «cannolo» ed è la forma più pregiata e più pagata di manna. L’anno scorso il Consorzio sborsava 30 euro al chilo. Ma sul mercato libero bustine con 50 grammi di manna da cannolo, certificati da Slow Food, possono valere fino a cento euro al chilo.
Un piccolo tesoro che si è portato dietro una piccola rivoluzione nel metodo di raccolta. Si fa un’unica incisione più o meno ad un metro di altezza da terra e poi si piazza una piccola lamina d’acciaio poco sotto il taglio. Alla lamina - «prima usavo le vecchie lame di roncola» - è appeso un filo di nylon. La linfa scorre lungo il filo e solidifica raggiungendo anche lunghezze considerevoli. Si raccoglie dopo un paio di giorni mentre ne occorrono cinque, sei con il metodo tradizionale.
Ci sono altri due modi di raccogliere la manna. Uno viene chiamato «drogheria»: la linfa che si accumula nelle foglie di fico concave poste ai piedi del frassino. « pura e non deve essere ripulita dai residui della corteccia ma viene pagata la metà del cannolo, circa 14-15 euro». E poi c’è la manna «rottame» che si forma lungo il tronco senza prendere le sembianze della stalattite: «Si raccoglie raschiandola e poi deve essere ripulita dalle impurità. Vale più o meno dodici euro al chilo».
Rosario Collesano non solo è un bravo incisore ma sa anche interpretare i segnali che manda il frassino: « un termometro naturale. Se sta arrivando lo scirocco la produzione di linfa rallenta un paio di giorni prima. Se c’è maestrale, invece, ”cor- re”». E poi sa leggere le nuvole e il cielo sopra Gibilmanna (la montagna di manna, in arabo): «Se la pioggia raggiunge il tronco si perde tutta la produzione e allora bisogna essere pronti ad intervenire».
Il raccolto viene prima fatto asciugare all’ombra per le prime 24-36 ore per eliminare le impurità della corteccia e poi viene sistemato in pieno sole su degli stenditoi per circa una settimana. Quando un frassino non produce più linfa bisogna tagliarlo lasciando la base. Fatto il «capitozzo» i nuovi polloni ricrescono rapidamente ma «solo su uno si può fare l’innesto» che permetterà di far ricrescere un nuovo verdello.

La chimica nemica
Adesso si lavora un centinaio di ettari, forse 150, tra Pollina e Castelbuono. «Prima della seconda guerra mondiale la produzione arrivava fino a Cinisi, Castellana, Geraci e San Marco». Una parte del raccolto finiva nell’Urss ma «poi c’è stata la guerra fredda con i comunisti e tutto si è bloccato». E il colpo di grazia è arrivato «dalla biologia, che non aiuta la natura». L’uomo che raccoglie la manna se la prende con chi ha inventato la sintesi chimica che permette di riprodurre in scala industriale la mannite. «Per fare il salto di qualità - spiega Gandolfo Collesano - basterebbe un impianto di lavorazione. Non ci serve una grande opera ma un progetto legato al territorio da realizzare con poche risorse».