Fulvio Caprara e Adriana Marmiroli, La stampa 27/8/2009, 27 agosto 2009
(2 articoli) NUOVO CINEMA SICILIA- La storia, il mare, le leggende fantastiche, la cronaca più cruda
(2 articoli) NUOVO CINEMA SICILIA- La storia, il mare, le leggende fantastiche, la cronaca più cruda. La Sicilia è da sempre terra promessa di cinema. Il set ideale, per dolcezza del clima e luminosità dell’aria, ma anche per le suggestioni di morte e la violenza delle passioni: «Un luogo speciale - dice il regista palermitano Roberto Andò - dove il cinema può contare su una geometria che comprende il destino, il crimine, l’amore, un massimalismo che gli è congeniale». L’elenco degli innamoramenti d’autore è lunghissimo, l’ultimo in ordine di tempo lo vedremo alla Mostra di Venezia che s’inaugura il 2 con il kolossal di Giuseppe Tornatore Baaria. A coronare l’apoteosi siciliana, la madrina della serata, Maria Grazia Cucinotta, nata a Messina, occhi e capelli color carbone, bellezza imperiosa che con il piglio tipico delle donne dell’isola, si è lanciata sul fronte della produzione: «Questa edizione della Mostra è un vero omaggio alla Sicilia, sono felice per la mia terra, che è davvero magica. E io, scelta come madrina, sembro la ciliegia sulla torta». Nasce Cinescilia Sarà un caso, ma alla fine di un’estate in cui hanno tenuto banco questioni di dialetto e di partiti del Sud, la rassegna veneziana mostra una forte impronta sicula, e dopo il film di Tornatore (non si sa ancora in che versione sarà proiettato, quella in italiano con cadenza siciliana oppure quella in dialetto con sottotitoli in italiano, il dibattito è aperto e sembra materia perfetta per le prossime uscite di Bossi), è in programma il documentario che John Turturro ha realizzato nella terra delle sue origini: «Il punto - dice Sergio Gilardi, presidente di Cinesicilia - è evitare il mordi e fuggi. Ovvero registi che girano qui e poi tutto finisce. Per questo stiamo creando una struttura produttiva stabile, un’organizzazione che permetta agli autori di lavorare in Sicilia nelle condizioni migliori». Ma anche, e soprattutto, un sistema che faccia vivere il cinema ben oltre il tempo della lavorazione di una pellicola: «Ci candidiamo a diventare polo privilegiato della produzione audiovisiva, crediamo che esista una Sicilia moderna, lontana mille miglia dll’idea dell’assistenzialismo e quindi in grado di creare condizioni per investimenti permanenti». Il lavoro è già avviato (dal 2005), e alla Mostra saranno presentate molte iniziative di Cinesicilia, società creata dalla Regione Siciliana per la gestione delle risorse destinate al cinema. E non si parla solo di film: «Dal 21 settembre prenderà il via nei cantieri della Zisa il corso triennale di docu-fiction, affiancato da rassegne sul cinema di qualità». Intanto a Termini Imerese la lavorazione della fiction Agrodolce andrà avanti per il prossimo biennio e questo significa garantire «occupazione per 300 persone». Gilardi parla di fondi (15 milioni di euro per il 2009), ma soprattutto di una rivoluzione che inizia nella testa della gente: «L’immagine più radicata della Sicilia è quella di una terra in cui il cambiamento è impotente, nulla si modifica, e quindi la cultura, intesa come rispetto delle gerarchie e della permanenza del modello familiare, tende e riflettere se stessa. Noi vogliamo lanciare l’immagine di un’altra Sicilia». E farlo, quanto più è possibile, in autonomia: «Insomma - sintetizza Gilardi - vorremmo non avere bisogno di Vittorio Sgarbi per riuscire a tenere aperti i nostri monumenti». «Il Fus è perdente» In piena protesta per i tagli allo Spettacolo, con artisti e produttori sul piede di guerra, Gilardi dice che quello del «Fus è un modello perdente perchè presuppone un aiuto e basta, ma Visconti e Rossellini, per fare i film che hanno fatto, non hanno avuto bisogno del Fus». Grazie al Fondo regionale i film realizzati in Sicilia possono disporre di aiuti che vanno «da un massimo di 150mila euro a un minimo di 50mila, dipend dalle settimane di riprese». E i risultati sono già realtà, si va dal documentario di Franco Maresco sul jazzista Tony Scott al nuovo film di Roberta Torre I baci mai dati, ambientato a Librino, quartire degradato di Catania; dal Pane di San Giuseppe in cui Stefano Savona ripercorre il tema della cultura alimentare siciliana all’Imbroglio nel lenzuolo, regia di Alfonso Arau; da Viola di mare, tratto dal romanzo di Giacomo Pilati e diretto da Donatella Maiorca, selezionato per il prossimo Festival di Roma, ai cartoni animati di Rosalba Vitellaro con protagonisti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un attivismo che fa a pugni con il vecchio stereotipo dell’indolenza meridionale, del pessimismo atavico che impedisce il cambiamento: «La Sicilia - dice Roberto Andò, autore, tra l’altro, del gattopardesco Manoscritto del Principe -, possiede una drammaturgia implicita, è un luogo portatore di storie e di miti, sempre capace di produrre immaginazione». Un merito da dividere con il dono dei paesaggi: «Quando lavoravo con Coppola che faceva Il Padrino ricordo che si era entusiasmato, "ma questo è un posto dove c’è sempre bel tempo", diceva. Avemmo anche un incontro con Leoluca Orlando per parlare di promozione del cinema. Da noi spesso gli entusiasmi nascono e muoiono, colpa di quello spirito autodistruttivo tutto siciliano, basta pensare all’esperienza storica della Panaria film, finì come un fuoco fatuo e invece avrebbe potuto dare il via a un’industria». Anche Michael Cimino, ai tempi del Siciliano, rimase incantato davanti alla Sicilia delle montagnae «Disse che gli sembrava di stare nel Montana». E nell’Avventura di Antonioni è chiaro che Panarea «è un personaggio tra gli altri». La Sicilia, dice Andò, «seduce, è il suo modo di far sentire la propria voce». "GRANDE PEPPUCCIO HA VOLUTO IN BAARìA TUTTI I COMICI SICULI"- C’è un sogno ricorrente tra i comici italiani, che un giorno il Grande Regista, alias Pupi Avati, si accorga di loro e li chiami nell’empireo del cinema di serie A, meglio se drammatico. «Mi voleva Strehler», diceva Maurizio Micheli anni fa, esplicitando il suo sogno. Nino Frassica lo ha voluto Giuseppe Tornatore: un piccolo ruolo tra tanti del corale Baarìa. «Mi sono messo nelle sue mani - spiega - come un pupo in quelle del puparo. Sono sempre stato anche l’autore di me stesso, ma non in questo caso. Lui ha ordinato e io come un bravo soldatino ho eseguito. La stessa cosa che han fatto tutti gli altri, da Aldo Baglio a Ficarra e Picone». Qual è il suo personaggio? «Pare che nei suoi ricordi ci fosse un politico locale particolarmente sgradevole e scarsamente affidabile, e che io glielo ricordassi. Attraverso le diverse fasi della storia, a 30, poi 50, quindi 70 anni, prima ringiovanito e poi invecchiato». Cosa ci dice del monumentale set in Tunisia? «Uno spettacolo nello spettacolo, è stata ricostruita la Bagheria di 40 anni fa. So di gente del paese che c’è stata e si è commossa fino alle lacrime nel ritrovare la sua cittadina come ormai non è più se non nei ricordi». Che ha capito della storia? «Ben poco: il protagonista fa da filo conduttore di noi che siamo come ricordi, diversi e separati, persone del suo passato. Il copione intero non ce l’ha fatto leggere. Per sapere dovrò aspettare come tutti l’anteprima a Venezia, che non mancherò assolutamente». Cosa è per lei sicilianità? «La nostra storia. L’attaccamento alla nostra terra. In questo senso è proprio vero: siamo terroni e contenti di esserlo. Il calore dei sentimenti. Il senso della famiglia. Il dialetto. Dopo anni di lontananza io continuo a pensare in siciliano. Anche quando mi incazzo. Parlare in lingua per me è una costrizione, cui sono obbligato per farmi capire. Cosa ne pensa del Partito del Sud? «Non mi piace la Lega Nord, perché dovrei amare la Lega Sud? La separazione? No, mai. Per studiare recitazione ho scelto la scuola del Piccolo di Milano. Volevo uscire da Messina dove tutto è più lento. Anche se è lì che ho cominciato e dove ho imparato molto, se non volevo restare dilettante per sempre dovevo cambiare». Pensa che cambierà qualcosa nella sua carriera, ora? «Spero proprio. Che il film di Tornatore suggerisca, a tutti quei registi che temono che io faccia solo di testa mia restando sempre il solito Frassica, che invece sono anche un attore. Ai ruoli seri non sono nuovo: Occhiuzzo in L’ultimo padrino, Tre giorni d’anarchia di Zagarrio. E lo stesso maresciallo Cecchini in Don Matteo ha i suoi momenti drammatici». Rinnega la comicità ? «Il mio problema è avere avuto troppo successo come cabarettista. Resto quello dei "nanetti", di Quelli della Notte. La gente si stupisce di quanto io sia bravo a fare altro. Pronto a rinnegare il passato? Giammai. Voglio continuare a far ridere, che è poi ancora più difficile. In fondo il comico parte da una situazione seria, la esagera e ottiene l’effetto risata. Ma mi dispiace il preconcetto».