Mario Reggio, la Repubblica 27/8/2009, 27 agosto 2009
SARA’ UNA GENERAZIONE DI CAMICI BIANCHI COL POSTO ASSICURATO"
Gli studenti che entrano oggi tra tredici anni avranno un lavoro perché si esaurirà l´onda inflazionistica degli anni Settanta e Ottanta Ci sarà bisogno di loro, e i giovani lo sanno
Le donne che aspirano alla professione medica sono in aumento? Benissimo Sono brave, determinate e danno sempre più filo da torcere ai loro colleghi maschi
ROMA - «Aumentano i giovani che sognano di fare il medico? Bene. Abbiamo bisogno di linfa vitale ed entro una decina d´anni decine di migliaia di noi saranno in pensione. Cresce il numero delle donne che s´iscrivono ai test? Altro dato positivo: sono brave, determinate e quando s´impegnano sono problemi per i maschi».
Luigi Frati, 67 anni, da 19 preside di Medicina a Roma 1, rettore della Sapienza e coordinatore nazionale dei presidi di Medicina, conosce il mondo delle professioni mediche come pochi altri.
Quest´anno si registra un aumento considerevole degli aspiranti medici, ma non sono già troppi?
«L´inflazione delle iscrizioni si è avuta a partire dai primi anni ´70 e fino all´85. Poi è arrivato il numero chiuso. Facciamo due conti: per fare il medico la preparazione dura almeno 12 o 13 anni, vale a dire 6 anni di corso universitario poi cinque o sei di specializzazione. Insomma, se uno studente non perde tempo, ci mette 12 anni. Le matricole di quest´anno finiranno nel 2.022, proprio quando l´onda inflazionistica degli anni ´70-´80 si sarà esaurita. Quindi ci sarà davvero bisogno di loro e questo i giovani lo sanno. Prendiamo il caso dell´Inghilterra: un grave errore di programmazione li ha portati a dover importare medici da altri Paesi, compresa l´Italia».
Noi non faremo lo stesso errore.
«Neanche per sogno, al tavolo di concertazione al ministero della Salute e dell´Università, al quale partecipano anche le Regioni, gli ordini professionali hanno chiesto di aumentare il numero dei posti disponibili, proprio in vista del futuro».
Chi decide il numero dei nuovi posti?
«Il tavolo di concertazione. La Sapienza, quest´anno, ha avuto il 10 per cento in più».
Perché c´è gran voglia tra i giovani di imbarcarsi in un´impresa lunga e complessa?
«In primo luogo è una professione che presenta ottime prospettive per il futuro. Poi coniuga lo sviluppo tecnologico con la componente umanistica. Infine c´è la passione per un lavoro che investe i problemi di migliaia di persone. E non è poco».
Poi c´è il fenomeno donna.
«Le donne che aspirano alla professione medica sono in costante aumento. Sono brave, determinate e danno sempre più filo da torcere ai loro colleghi maschi. Il 18 agosto mi sono incontrato, per dare loro il benvenuto, con le aspiranti matricole del Policlinico Umberto I e del Sant´Andrea. Per i tre quarti erano donne. Stare lì, anziché andare al mare, vuol dire essere determinate ad andare fino in fondo».
Resta il fatto che è uno dei percorsi universitari più lunghi e faticosi.
«Certo. E non può che essere così. Un medico ha una grande missione e grandi responsabilità da affrontare. Sono dodici anni spesi per raggiungere l´obiettivo. I primi sei di corso universitario nei quali lo studente è a carico della famiglia. Ma appena inizia la specializzazione il giovane porta a casa 1.700 euro al mese, e paga il ministero della Sanità. Lo prevede una direttiva europea che ha stabilito per lo specializzando un contratto di formazione-lavoro».
Ma ce la fanno tutti?
«Su ottomila immatricolati arrivano alla laurea tre studenti su quattro. un dato omogeneo a livello internazionale che mi ha confermato, nel corso di un recente incontro, il preside della facoltà di Medicina di Harvard. Quindi su 8 mila raggiungono in media il traguardo circa 6 mila studenti. Oggi le borse di studio per la specializzazione sono 5 mila. I mille che restano fuori faranno il medico di famiglia, oppure entreranno nelle industrie farmaceutiche, altri sceglieranno altri percorsi professionali».
Quelli che faranno i medici seguiranno in gran parte le orme del padre o della madre?
«Non è più così. Oggi la percentuale è del 10 per cento».
Il 3 settembre nelle università statali ci sarà il test. Ottanta quiz da risolvere in 120 minuti.
«Vengono decisi da una commissione del ministero dell´Università. Io non voglio saperne nulla».
Ma vanno bene così come sono?
«Quelli di cultura generale proposti negli scorsi anni urlano vendetta. Non puoi chiedere ad uno studente se è più vicina Casablanca al Cairo di quanto lo sia Stoccolma da Istanbul. I quiz di cultura generale devono essere impostati sulla logica deduttiva perché è il modo di ragionare del medico che da quattro sintomi deve elaborare una possibile diagnosi, salvo poi effettuare altri esami per confermarla o smentirla. Ho chiesto alla Gelmini di provvedere. Siamo in attesa».