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 2009  agosto 27 Giovedì calendario

«Un criminale rimaneggiamento, anzi: un furto». Così il regista americano Abel Ferrara si è scagliato, qualche mese fa, contro il collega tedesco Werner Herzog

«Un criminale rimaneggiamento, anzi: un furto». Così il regista americano Abel Ferrara si è scagliato, qualche mese fa, contro il collega tedesco Werner Herzog. «Può morire all’inferno. Odio queste persone. Mi fanno schifo», ha aggiunto. A farlo esplodere è stato il nuovo film di Herzog, ”Bad Lieutenant. Port of Call New Orleans”. La polemica è tornata in auge nei giorni scorsi, quando si è appreso che il lungometraggio di Herzog sarà in cartellone alla prossima Mostra di Venezia. Ferrara nel 1992, prima di perdersi, girò ”Il cattivo tenente” (’Bad Lieutenant”), interpretato da Harvey Keitel. Forte storia newyorkese di un poliziotto corrotto, ubriacone, depravato, pur se tormentato da inquietudini religiose. Alle violente accuse Herzog ha risposto semplicemente: «Non so che cosa ha fatto. Non ho mai visto un suo film. Non ho idea di chi sia. italiano? francese? Chi è? Forse potrei chiamarlo a recitare in un film, tranne per il fatto che non so che faccia abbia». Questa querelle è indicativa del carattere di Werner Herzog e del suo modo di pensare piuttosto originale, che si approfondisce leggendo l’intrigante intervista realizzata da Paul Cronin e pubblicata da minimum fax con il titolo Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita (pp. 405, euro 16,5). Al regista tedesco, per esempio, piace poco andare al cinema. Preferisce camminare. Bavarese nato nel 1942, autore di opere di grande fascino come ”Aguirre, furore di Dio” (1972), ”L’enigma di Kaspar Hauser” (1974), ”Nosferatu” (1979) e soprattutto ”Fitzcarraldo” (1982), Herzog porta il marchio del ”regista maledetto”. Nel corso della sua più che quarantennale carriera le leggende si sono affastellate. Come la storia del viaggio a piedi dalla Germania a Parigi per andare a trovare l’amica Lotte Heisner gravemente malata. Lotte lavora con Henri Langlois, l’uomo che non utilizzava la vasca da bagno in casa poiché ricolma di pellicole, alla Cinémathèque Française. In cambio della faticosissima marcia Herzog spera di ottenere come grazia la guarigione dell’amica. Arrivato a Parigi, la trova in eccellente salute. Questo aneddoto, vero o falso che sia, fornisce la chiave di lettura dell’opera di Herzog: fatica fisica, coraggio e fede. Così come Billy Wilder rifiutava il titolo di artista, ritenendosi al massimo un buon artigiano, anche Herzog ha lo stesso convincimento: «Quando hai una sceneggiatura davvero buona e un ottimo cast», confida a Cronin, «puoi praticamente fare a meno del regista». Nel racconto di Herzog non c’è spazio per la retorica, così cara ai registi europei. L’accademia per Herzog rappresenta la morte del cinema, l’esatto contrario della passione. Le accademie indeboliscono i muscoli della schiena di ogni aspirante regista: «Presso la mia utopistica scuola di cinema», dice, «farei fare agli studenti attività molto atletiche che implicano un contatto fisico, come il pugilato». E, sempre agli aspiranti registi, dà un suggerimento: «Andate fuori, nel mondo vero, andate a lavorare come buttafuori in un sex-club, come guardiani in un ospedale psichiatrico o in un mattatoio. Camminate a piedi, apprendete le lingue, imparate un mestiere o un’occupazione che non ha nulla a che fare con il cinema. Il cinema deve avere alla base un’esperienza di vita». Questo è Werner Herzog, regista muscolare. «Ho sempre avvertito», dice, «una notevole affinità con gli uomini forti. Per me ”uomo forte” è un’espressione che eccede le abilità meramente fisiche. Comprende il vigore intellettuale, l’indipendenza di spirito, la fiducia in se stessi e forse anche un qualche tipo di innocenza». Quando uscì il suo geniale ”Anche i nani hanno cominciato da piccoli” (1970), i critici tedeschi di sinistra lo misero in croce, accusandolo di aver demolito il mito della rivoluzione mondiale, e di fascismo, poiché metteva in scena una rivolta di nani patetica quanto fallimentare. «Incubi e sogni», ricorda lui, «non seguono le regole del politicamente corretto». La sua indipendenza è riassumibile in due battute. La prima sul cinema del Sessantotto: «La stragrande maggioranza di quei film era acqua per gargarismi, anziché una schietta e densa birra scura». La seconda sul mito del cinema d’autore: «Rispetto a un buon film di kung fu, uno come Jean-Luc Godard è a mio avviso un falsario intellettualistico». Il lungo cammino cinematografico di Herzog è costellato da leggende e accadimenti sensazionali. Aver sfruttato nani, disagiati mentali, attori e comparse per riprese azzardate su set impossibili, nella giungla, in acque zeppe di piraña, nel confine dove due eserciti combattono; nonché aver causato la morte di alcuni indios. Gli animalisti hanno denunciato Herzog perché ha colorato migliaia di topi bianchi (cosa vera) per farli diventare grigi (non c’erano soldi per affittare altri ratti); immobilizzato crudelmente una scimmia; addirittura tagliato i tendini (cosa non vera) ad un dromedario. «Puoi contrastare una voce solo con una voce ancora più folle», dice Herzog . «E così ho rilasciato una dichiarazione secondo cui avevo inchiodato il dromedario al suolo». La colpa dell’irrequietezza dell’animale non era del regista, ma del padrone: gli impartiva con le mani ordini a raffica: siediti, alzati, siediti. «Preso dalla disperazione l’animale ha persino defecato, cosa che ha un effetto assolutamente splendido sullo schermo». Herzog il regista con la frusta: o lo segui o muori. Nella conversazione con Cronin, si sforza ripetutamente di ridimensionare i lati forti della propria personalità. Smussa, lima, pialla e alla bisogna demolisce. Dell’attore Klaus Kinski (interprete di alcuni dei suoi lavori più importanti) Herzog descrive la strafottenza, la megalomania, la violenza e lo smisurato talento. Come domarlo? Con il fucile. Durante le infernali lavorazioni di ”Fitzcarraldo” Kinski vuole abbandonare il set: «Gli ho detto che avevo un fucile», ricorda Herzog, «e che prima di arrivare alla successiva ansa del fiume si sarebbe trovato otto proiettili in testa. Il nono sarebbe stato per me. Kinski ha istintivamente capito che non si trattava di uno scherzo e si è messo a invocare la polizia come un pazzo. Solo che la stazione di polizia più vicina era ad almeno cinquecento chilometri di distanza. Sapeva che facevo sul serio. Perciò per i restanti dieci giorni di riprese è stato molto docile e disciplinato». Su Kinski ricorda anche un aneddoto: ha mangiato le sue scarpe. Le ha bollite e ingollate in pezzettini, a causa di una scommessa persa. Jorge Luis Borges, quando da giovane faceva il critico cinematografico, rilevò come il maggior pregio per un regista fosse il saper rinunciare alle immagini superflue. Werner Herzog è il regista delle sole immagini essenziali. Chiudiamo con l’ennesima provocatoria battuta. Rivolgendosi ai giovani cineasti alle prese con progetti difficili, così li induce a reagire: «Non aspettate che sia il sistema a finanziare cose del genere. Rapinate una banca, per l’amore del cielo!».