Gianluigi Nuzzi, Libero 27/8/2009, 27 agosto 2009
Luglio 1993. Detenuto nel carcere di San Vittore, Sergio Cusani, l’architetto della tangente Enimont aveva paura d’essere ucciso
Luglio 1993. Detenuto nel carcere di San Vittore, Sergio Cusani, l’architetto della tangente Enimont aveva paura d’essere ucciso. Guardingo lo confidò ai magistrati, ecco «mi ammazzano». E Antonio Di Pietro, Francesco Greco, insomma quelli del Pool non capirono. Non colsero lo strazio di un uomo abbandonato ai suoi segreti. Si tennero la confidenza senza comprendere, soprattutto, che proprio quei segreti avrebbero superato integri ogni inchiesta, andando a costituire la pietra tombale delle loro velleità investigative. Così è stato. Della maxi tangente Enimont si è conosciuto poco, pochissimo. Gli spiccioli, sì, un centinaio di miliardi finiti nelle tasche dei politici, di alcuni politici. Dopo il processo, seppur abbia buttato giù la Prima Repubblica, non c’è stato più niente. Dopo il processo è finita Mani pulite. I segreti sono sopravvissuti. Allignano nei rapporti tra poteri e persone nei palazzi. E fuori. Costituiscono, come ogni segreto, trama di ricatto e spinta di potere. Per questo i contributi di verità di attori, comprimari e comparse sulla scena Enimont aiutano, tutti, a ricostruire una vicenda che altrimenti, con le sue ombre, i misteri, il buio, ci porteremo dietro ancora per decenni. Affogando la verità in pozzi neri, in morti sospette come quella di Gabriele Cagliari, l’allora presidente dell’Eni, il socio dei Ferruzzi che nella cella di San Vittore riuscì a uccidersi infilandosi un sacchetto di plastica in testa. Una dinamica assurda che ricorda quella scelta appena a sette anni prima dal finanziere Michele Sindona. Si sarebbe suicidato sorseggiando un caffè corretto con cristalli di cianuro. Due suicidi a tasso d’improbabilità rilevante. Enimont, punto di svolta e di non ritorno, alchimia nata dalla mente diabolica del Corsaro di Ravenna, Raul Gardini. Enimont, matrimonio capestro tra chimica pubblica e privata celebrato il 9 maggio 1989 e che nemmeno consumò tempo e riti dello ius primae noctis visto che Raul iniziò subito a pescare il titolo in Borsa per superare quel 40% reciproco sia di Eni che di Montedison dettato dal patto che lasciava il 20% ai recinti. Il divorzio nel novembre del 1990 con Franco Piga, ministro delle Partecipazioni statali che introduce il ”patto del cow-boy”: sia il socio di Ravenna a scegliere se acquistare il pacchetto dell’Eni o cedere il proprio. Gardini si sfila, portando a casa 2.805 miliardi di vecchie lire, quasi 2,2 miliardi di euro di oggi. Il divorzio porta in dote una pioggia di mazzette. Non solo a politici di governo e d’opposizione, ma anche a manager, tecnici, membri del CdA, insomma gente d’azienda, usa a incassar tacendo. Già nell’autunno del 1990 parte la prima stecca da 4,7 miliardi per l’allora leader della Dc Arnaldo Forlani. Una montagna di denaro che arriva da una maxi provvista da 152,8 miliardi di vecchie lire in titoli di Stato costituita dal palazzinaro Domenico Bonifaci a disposizione dei signori di Ravenna. Soldi che per essere distribuiti ai politici passano dai caveau dello Ior, la banca del Papa dietro il colonnato di San Pietro. Cadono avvisi di garanzia e governo, si sgretolano i partiti della Prima Repubblica. il successo di Antonio Di Pietro, delle manette, di chi vuol rivoltare l’Italia come un calzino. Un successo di carta, di sabbia, destinato a incrinarsi al prossimo giro di verità. Solo con la recente emersione dell’archivio di monsignor Renato Dardozzi, che per conto del segretario di Stato Angelo Sodano seguiva le segrete cose all’interno dei Sacri Palazzi, infatti, si scopre che il fiume di denaro transitato in Vaticano è quasi il doppio rispetto a quello individuato dai magistrati del Pool. Per questo su Enimont, si sa ancora poco. I ragionieri dello Ior avevano partita doppia: la fila dei bonifici e dei Cct individuata dal Pool e quella ”non in rogatoria” ovvero sfuggita allo spettro degli inquirenti. Come emerge dall’archivio Dardozzi (da Vaticano SpA, Chiarelettere) all’inizio nei caveau della Santa Sede trovano Cct per 62,6 miliardi in più oltre agli iniziali 88,9 indicati nella rogatoria. Di certo, l’archivio di Dardozzi ci affida carte sconvolgenti che riducono l’azione di Mani pulite a vantaggio di ciò che ancora non si sa. A chi sono andati gli altri soldi? Mistero. Chi è a conoscenza delle altre tangenti e tace? Mistero. «Se avessi avuto in mano le carte di Dardozzi», disse l’ex Pm ai microfoni di Iceberg su Telelombardia, «non mi sarei dimesso dalla magistratura e la storia d’Italia sarebbe andata in modo diverso». Non c’è dubbio. Oggi, forse, si affaccia la possibilità di sapere qualcosa in più.