Antonio Salvati, La stampa 26/8/2009, 26 agosto 2009
VELENO NELLA GROTTA AZZURRA
CAPRI (Napoli)
Al peggio non c’è mai fine: dopo liquami e cocci di vetro, il mare di Capri subisce un nuovo affronto. Il più grave. La Grotta Azzurra, conosciuta in tutto il mondo per la limpidezza delle acque e lo splendore bianco argenteo che assumono gli oggetti immersi all’interno, è stata chiusa. Grotta interdetta, come lo specchio d’acqua antistante per un raggio di venti metri. Tutto per colpa del fetore proveniente dall’antro - tutt’altro che innocuo visto che all’ospedale sono finiti tre barcaioli - provocato da una schiuma biancastra che aveva fatto la sua comparsa nella mattinata di ieri.
Il processo
Proprio ieri, ironia della sorte, iniziava il processo a carico dei due operai sorpresi la scorsa settimana a sversare liquami da un’autobotte in prossimità della Grotta. L’udienza è stata aggiornata dopo che il giudice ha accettato la costituzione di parte civile dei comuni di Capri, Anacapri e della Federalberghi dell’isola azzurra.
La chiusura è un provvedimento preso dalla Capitaneria di Porto «vista la necessità di salvaguardare la pubblica incolumità». L’ordinanza ha il duplice intento d’interdire la zona e permettere ai tecnici dell’Arpac (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Campania) di prelevare dei campioni d’acqua nella zona contaminata. Bisognerà aspettare due giorni per capire che cosa ha appestato uno dei più belli spettacoli della natura assestando, in termini economici e d’immagine, un colpo basso all’estate caprese.
L’assessore all’Ambiente della Campania, Walter Ganapini, ha incontrato il direttore generale dell’Arpac, Gennaro Volpicelli, per fare il punto della situazione. «Le analisi ci daranno i risultati sullo stato chimico e biologico delle acque», assicura Ganapini. I tecnici giunti in zona hanno supposto che si tratti di un’alta concentrazione di cloro o candeggina.
Il degrado
«In attesa dei risultati delle analisi, sembra che una maledizione sia caduta su Capri. Solo una fatalità, frutto di un destino cinico e baro, o colpa di un mix di anarchia, degrado e illegalità», si chiede il presidente di Legambiente Campania, Michele Buonomo. Cercheranno di rispondere i carabinieri, coordinati dal pm Bisceglie.
I militari stanno cercando di accertare da dove sia giunta quella schiuma biancastra finita nella Grotta Azzurra.
Diverse le ipotesi in cerca di conferme: dalle più probabili che indicano la striscia di schiuma come prodotto della rottura di una tubazione di piscina; o come quella che vede nella chiazza in mare il risultato del «lavaggio» di un natante che ha poi scaricato tra i flutti le acque sporche. C’è anche una terza ipotesi, sussurrata e che riscuote poco credito tra gli inquirenti: un atto dimostrativo da parte di un mitomane o un sabotaggio.
L’avanza Guido Lembo, chansonnier e animatore della notti capresi dei vip: «Ho una mia idea, e cioè che quella schiuma è un vero e proprio atto di sabotaggio. La tempistica con la quale stanno avvenendo questi episodi a catena induce a più di un sospetto».
Strano odore
L’allarme è stato lanciato in mattinata dai barcaioli che accompagnano le centinaia di turisti in fila ogni giorno per gustare lo spettacolo del Duomo Azzurro.
Sono stati i primi ad avvertire lo strano odore proveniente dall’antro. Per tre di loro, colpiti da cefalea e lacrimazione, sono state necessarie cure mediche. Niente di grave ma sono stati comunque sottoposti a tutti gli accertamenti in ospedale. I medici hanno escluso l’intossicazione, i tre barcaioli sono stati dimessi in buone condizioni di salute.
Si chiude così la settimana terribile per l’Isola Azzurra. Martedì 18 due operai scoperti a sversare i fetidi liquami contenuti in un’autobotte proprio nello specchio d’acqua antistante la Grotta Azzurra. Tre giorni dopo i carabinieri sorprendono il titolare di uno dei più noti ristoranti della zona che si disfa delle bottiglie frantumandole sugli scogli. Quando l’arrestano dice: «Lo faccio da trent’anni», troppo debole come difesa. Poi, l’altra sera, l’ultima scoperta: una vera e propria piantagione di Cannabis indica, formata da tredici piante alte quasi due metri, a strapiombo sul mare.