Roberto Mania, la Repubblica 24/8/2009, 24 agosto 2009
PICCOLE IMPRESE DEL CENTRO-NORD ECCO L’ITALIA A RISCHIO CHIUSURA
Ma dai trasporti primi segnali di uscita dalla crisi
In Lombardia sono già stati 31 mila i licenziamenti e la cassa integrazione è salita del 425%
ROMA - Operai delle piccole fabbrichette dei distretti industriali del centro-nord: sono loro i lavoratori più a rischio, a quarant´anni dall´autunno caldo. Sono le loro imprese che potrebbero non riaprire i cancelli a settembre, perché senza più ordini e senza più risorse finanziarie. La crisi ha già soppresso 200 mila posti di lavoro. L´ha fatto soprattutto nell´industria e tra le qualifiche professionali più basse. L´ha fatto nel "made in Italy", dalla moda all´arredamento, senza risparmiare nessuno. E l´occupazione continuerà a scendere perché prima di vedere qualche segnale positivo bisognerà aspettare che il Pil cresca almeno dell´1 per cento. Non nel 2009, dunque, né nel 2010. Per quanto qualche segnale di ripresa si registri anche in Italia. Per esempio nei trasporti, stando all´ultima indagine congiunturale della Federtrasporto: rallenta il calo dei viaggiatori nel settore degli aerei (dal -15 per cento di gennaio al -4 di maggio), in quello autostradale e in quello navale (+2,8); ma si conferma la discesa del trasporto ferroviario (-1,5 per cento nel primo trimestre del 2009 dopo il - 2,8 per cento del 2008).
La mappa della crisi coincide con quella dell´industria italiana. Solo nella ricca provincia bergamasca sono quasi 6.000 i posti a rischio. Il dato emerge dal Rapporto Excelsior (Unioncamere-ministero del Lavoro) secondo cui l´occupazione scenderà di quasi il 2 per cento a fine anno. In Lombardia - dati sindacali - sono già stati 31 mila i licenziamenti e il ricorso alla cassa integrazione è aumentato del 425 per cento in un anno.
Nel Veneto dei capannoni infiniti sono decine e decine le piccole imprese che potrebbero chiudere in autunno. I sindacati restano in apnea, mentre sono già scoppiate la crisi della Ideal Standard (sanitari) di Trichiana (Belluno) con 250 esuberi, e della Safilo (occhiali) con 500 posti a rischio. Poi la Carraro di Campodarsego (650 in cig), il Linificio cotonificio nazionale di Marzotto a Portogruaro (250 in contratto di solidarietà da due anni), e la compagnia aerea Myair di Torri di Quartesolo (Vicenza) a un passo dal fallimento con 250 dipendenti.
Nell´industria degli elettrodomestici ci sono 40 mila posti a rischio su un totale di 200 mila addetti. Nei primi sei mesi dell´anno la produzione è crollata del 30 per cento. La "Antonio Merloni" di Fabriano e Nocera Umbra (3.000 dipendenti in tutto) è in amministrazione controllata da ottobre e non pare che ci sia un acquirente. La Manuli Rubber di Ascoli Piceno ha annunciato la chiusura e messo in mobilità 375 lavoratori. E potrebbero non riaprire anche 140 aziende della subfornitura dell´abbigliamento e del distretto calzaturiero del fermano: fornivano la Itierre di Isernia che è stata messa in amministrazione straordinaria. Nelle Marche, la regione di un´impresa ogni nove abitanti, la cassa integrazione è aumentata quasi del 90 per cento.
Prato è da anni in affanno. I piccoli imprenditori controterzisti si sono auto-organizzati anche per evitare lo sfratto della "Roccatura di Russotto" (produzione di rocche di filato), simbolo ormai del declino del distretto: domani si sono dati appuntamento per impedire pacificamente l´ingresso in azienda dell´ufficiale giudiziario. Sempre in Toscana sono destinati a non tornare al lavoro 140 dipendenti della Radicifil di Pistoia (filati per calzetteria). Con la Bertone finita nell´orbita della Fiat diventa molto incerto il futuro della ex Delphi nel livornese, che l´imprenditore Gian Mario Rossignolo pensava di rilanciare aggiudicandosi il prestigioso marchio piemontese.
E poi il Mezzogiorno, con gli stabilimenti Fiat (Termini Imerese e Pomigliano d´Arco) dal futuro incerto; con il distretto del salotto in progressiva decadenza (1.500 in cig) e il siderurgico di Taranto bloccato dalla crisi dell´acciaio (6.500 in cig); con i 10 mila posti in bilico in Sardegna (7.000 al Petrolchimico di Porto Torres, compreso l´indotto); e anche con i seimila pescatori siciliani che potrebbero non avere più un lavoro.