Elena Lisa, La stampa 24/8/2009, 24 agosto 2009
NUOVI POVERI IL POPOLO DEI DIVORZIATI
Avranno pure ragione gli economisti che dicono che la crisi è superata, io so solo che da settembre, uno stipendio di 1500 euro a cui devo toglierne 400 per il mantenimento di mia moglie e mio figlio, non mi basterà più. Per vivere sarò costretto a rubare». Emanuele Farnola ha 42 anni, lavora come impiegato, a Milano ed è un neo separato. Quest’estate è rimasto in città per portare a spasso i cani di chi è andato in vacanza. Si è inventato un secondo mestiere: il dog sitter e il tuttofare. Oltre ad accudire gli animali bagna le piante e prende la posta. Poco distante, a Como, una volontaria di una associazione che si occupa di mamme separate in difficoltà, Angela Micoli, 44 anni, usa parole diverse, ma esprime lo stesso concetto: «Sono sfinita, senza fiato. Ogni mese è una corsa al risparmio che io e i miei due bambini non possiamo più sostenere: campiamo con 800 euro, questa non è vita. Il mio ex marito mi passa 450 euro, io faccio un po’di pulizie e mi danno una mano i servizi sociali. Da settembre tutto questo non basterà. Mia figlia, la più grande, incomincerà la prima elementare. Libri, grembiulini, benzina per accompagnarla a scuola, dove troverò i soldi?».
Di nuovo soli
Eccoli i «nuovi poveri»". Uomini e donne che, un tempo sposati, appartenevano al ceto medio basso, ma che invece oggi, tornati single, nei censimenti fanno parte della fascia di chi vive sotto la soglia di povertà. Sono 50 mila in tutta Italia, secondo la Caritas, senza contare il sommerso. Una povertà che gli stessi separati, per una volta d’accordo, attribuiscono al sistema italiano del «divorzificio». «Oltre alla lacerazione emotiva dovuta a una separazione - dice Domenico Fumagalli presidente della sede Milanese dell’associazione «papà separati» -, i coniugi che non possono più stare insieme per conflitti e divergenze, devono pure affrontare una radicale trasformazione del loro stile di vita. E manco prima avessero fatto vita da nababbi, ora, se non hanno parenti, frequentano dormitori pubblici, mangiano alle mense dei poveri, dormono sulle sedie, negli aeroporti e nei garage degli amici«.
Le stime dell’Adoc, associazione di consumatori, parlano di costi che possono toccare i 23 mila euro a coppia, solo per quanto concerne il divorzio, senza contare le spese del vivere quotidiano. Si parte da un costo minimo per un accordo consensuale di 3300 euro. Circa 4000 per ricomprare tutto ciò che prima si usava in coppia, dagli elettrodomestici, ai piatti, da piccoli mobili alle pentole. A questo si aggiungono la terapia dallo psicologo - necessaria in caso di figli, circa 900 euro per 10 sedute -, e una media di 550 euro al mese per gli assegni di mantenimento. Per il divorzio, che dura mediamente sette anni, i costi per le spese legali aumentano vertiginosamente.
Il sostegno
Senza mettere in conto le spese per un nuovo affitto o un nuovo mutuo, per mangiare e vestirsi, per mantenere se stessi e i propri figli. La grave situazione di povertà, esplosa nell’ultimo anno, ha reso necessario un adeguamento delle politiche regionali e comunali: in Piemonte, ad esempio, tra le regioni in cui i matrimoni durano meno, sono state presentate due proposte: associazioni di volontariato potranno partecipare a bandi per edilizia agevolata. Chi ha figli, e certi requisiti, potrà contare su un assegno di mantenimento a fondo perduto. A Milano, appartamenti sequestrati alla mafia sono stati assegnati all’associazione «papà divorziati» che, a turno, li metterà a disposizione di chi non riesce più a pagarsi un posto per dormire. L’amministrazione ha pensato anche al cibo e ha stretto accordi col banco alimentare che distribuisce scatoloni con pasta, pane e latte nelle associazioni di Milano e Monza.
Nel capoluogo lombardo sono circa 400 gli uomini separati che passano la notte nei dormitori dell’Opera San Francesco. La Caritas, a Roma, ha stimato che circa 1000 clochard sono divorziati che hanno perso il lavoro.
Dice Rosy Genduso, presidente dell’associazione «mamme in difficoltà»: «Oltre a seguire le donne durante le fasi di separazione, dando loro un sostegno economico e psicologico, siamo stati costretti a svolgere un compito che prima del 2009 non era necessario: quello di prevenzione. Mostriamo ai coniugi tutti problemi economici ai quali andranno incontro e li facciamo riflettere sulla possibilità di stare ancora insieme. E questa volta non per amore, ma per denaro».