Martino Cervo, Libero 24/8/2009, 24 agosto 2009
LA SPAZZATURA SICILIANA RACCOLTA (POCO) A PESO D’ORO
Palermo è sporca ma vivibile, in centro. Andando a Sud, poco sotto viale della Regione Siciliana, dove da corso Calatafimi parte via Paruta, il puzzo assale. I rifiuti, sabato mattina alle 10, sono accumulati fuori e dentro i cassonetti, in mezzo alla strada per metà carreggiata. Passa (...)
(...) un’auto, e aggiunge un sacchetto, senza fermarsi. Di solito, quando cominciano a parlarne i giornali locali, la raccolta ricomincia, fino alla prossima emergenza. Il dramma dei rifiuti, che fa stare Palermo e mezza Sicilia con l’incubo Campania di recente scongiurato dal solito Bertolaso, sta in voragini in cui la Corte dei Conti ha provato a guardare. Dai dati raccolti, la fotografia che esce è un mix di indebitamenti, eccesso di personale, scarsissima qualità del servizio e costi tariffari molto elevati.
Altro che authority
Concepiti per migliorare i servizi e come pura forma di authority, in Sicilia gli Ato – con qualche eccezione virtuosa – sono stati quasi subito trasformati, sotto il commissariamento Cuffaro, in realtà ibride e costosissime cui è stato assegnato senza alcuna gara il compito di gestire direttamente i rifiuti. L’evidente snaturamento e la dispersione di fondi cominciano dall’inquadramento giuridico ed economico. Gran parte del personale dedicato al settore è stato trasferito dalle dipendenze della Regione agli Ato tramite Federambiente, passando così a gravare sulle casse dei singoli comuni. Per disposizioni contrattuali il costo del semplice mantenimento, a parità di servizio, è aumentato del 30%, secondo i magistrati contabili. C’è in pratica una commistione, spesso sovrapposizione, tra gestione e controllo. Senza contare che le società ”esternalizzate” emettono fattura Iva, che si traduce in maggiori tasse per i cittadini. O, meglio, in una tassa sulla tassa, anche se si chiama tariffa. Una catena di debiti con i contribuenti tassati a un capo e gli enti che non erogano servizi adeguati dall’altro. Nel mezzo, le amministrazioni comunali con la pistola contabilmente puntata alla tempia. Le parole più esplicite e sintetiche vengono dalla Corte: «La raccolta e lo smaltimento dei rifiuti non sono collegabili ad alcun potere pubblico autoritativo trasferito a gestioni imprenditoriali degli Ato: gli stessi, in sé, non hanno alcun know how né alcuna managerialità, né alcuna esperienza, né mezzi, in quanto strutture promosse da pubbliche amministrazioni con governance di scelta sostanzialmente politica».
Al di là della teoria, i risultati sono «assolutamente insufficienti». Per i giudici sono «imprese improvvisate», all’insegna di un mix al ribasso che mescola il peggio di pubblico e privato. Molte discariche sono state chiuse, per mancati controlli, violazioni o altri problemi, portando al collasso quelle utilizzate. Ed è sempre stato difficilissimo, malgrado i fondi, costruire e avviare impianti più moderni, termovalorizzatori o depositi. Ora la Regione intende monitorare e risistemare questi enti. Al momento, la legge varata per ridurre a 14 gli Ato è rimasta lettera morta. Eppure servirebbe: all’Ato di Enna gli stipendi pesavano talmente tanto sui bilanci da rendere impossibile l’attività per le quali erano state in teoria assunte le persone.
La tariffa, stando ai calcoli comunicati a Libero dall’associazione Adoc, in molte città è 2-3 più alta che a Roma o Milano e ogni due-tre mesi ricompare il problema dei rifiuti con rischi di disordini pubblici. Secondo Claudio Melchiorre (Adoc) «non c’è nemmeno un anno delle cinque annualità nella gestione degli Ato di Catania che sia contabilmente a posto, abbiamo registrato svariate illegittimità e abbiamo chiesto che i tributi versati siano restituiti ai cittadini. Una famiglia di 4 persone paga 280 euro l’anno per i rifiuti. A Roma, in condizioni analoghe, si paga la metà». Proprio a Catania, dove il governo ha annunciato un’operazione di ripianamento del debito con 200 milioni di euro, un po’ come fatto a Palermo dopo le minacce di interrompere la raccolta e far marcire la città, i soldi non sono ancora materialmente arrivati. Né qualcuno li richiede: un secondo dopo, busserebbero alla porta troppi creditori. L’ultimo controllo effettuato in Sicilia sui 250 impianti di compostaggio previsti nel piano iniziale ha rivelato che ne erano stati realizzati meno di dieci. Per cui le discariche sono piene di rifiuti indifferenziati.
le casse dell’amia
A Palermo l’Ato non è mai nato per mancanza di accordo politico, e la gestione dell’Amia – il vecchio ente – è uno dei crucci maggiori del sindaco Diego Cammarata. Il nuovo presidente del cda Gaetano Lo Cicero, al quale tocca il compito di tentare il risanamento, ha scritto da poco una relazione sconcertante. Ci sono dentro i 700 cellulari aziendali per poco più di 2mila dipendenti (250 euro a cellulare di bolletta annua), e un buco stimato in 200 milioni di euro (4 volte il capitale sociale) per il quale sono arrivati dallo Stato 80 milioni nel 2008 più 150 stanziati dal Cipe a fine luglio con i fondi Fas, sotto la minaccia di proteste e interruzioni del servizio. E il governo ha praticamente autorizzato un aumento dell’Irpef per tamponare il guaio, operazione a forte rischio di legittimità contabile. Nel frattempo, la procura indaga perché sospetta un falso in bilancio per oltre 40 milioni di euro: deve accertare se, mentre venivano firmati conti in attivo, i dirigenti abbiano distribuito premi produttività ai capistruttura e a se stessi per la qualità dei conti. E restano da chiarire 22 costosissime e misteriose missioni a Dubai dei vertici Amia, più l’incredibile vicenda dei cestini. Sotto la gestione di Enzo Galioto, predecessore di Lo Cicero, è stato sottoscritto un affitto dei cestini con una ditta spagnola. Costo: un milione e mezzo l’anno per 12.285 cestini a partire dal 2003. 620 euro a contenitore, che adesso, con la rescissione del contratto, sono da restituire.
la sicilia è differente
In Sicilia la raccolta differenziata è un’eccezione. Fuori Palermo, nella strada di Partanna, c’è un impianto per lo stoccaggio della raccolta. nuovo ed è costato all’Amia 3 milioni di euro. Non è mai stato collaudato ed è chiuso. Per incentivare la raccolta (oggi stimata attorno al 4%) il ministero dell’Ambiente ha recentemente stanziato 3,5 milioni di euro: l’obiettivo della Prestigiacomo è portare la percentuale al 60% entro fine anno. Intanto la discarica di Bellolampo è a rischio saturazione in attesa della quinta vasca di contenimento. Anche perché pare impossibile far partire gli inceneritori. L’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque presieduta dal dottor Felice Crosta ha visto di recente andare deserta la gara per l’assegnazione degli appalti di quattro nuovi impianti. Chiunque voglia partecipare al bando parte con un handicap di 330 milioni di euro, cifra da rimborsare ai vincitori della prima gara indetta nel 2002 ma stoppata dall’Europa per irregolarità nei bandi. Intanto l’Arra dovrebbe chiudere con la fine dell’anno, salvo diversi interventi. Ma c’è chi giura che intorno alla sua sopravvivenza si giochi la partita politica per il rientro dell’Udc in giunta di Raffaele Lombardo. «Sa qual è il problema vero?», si sfoga a Libero Franco Piro, responsabile economia del Pd dell’Isola ed ex assessore, «Che non paga mai nessuno. In Sicilia c’è una legge, la 10 del 1999, che prevede la rimozione dei manager che non rispettano il bilancio. Che io sappia, è stata usata in tre occasioni. E in tutti i casi il ricorso al Tar è stato vinto. Sono stati riassunti».