Bill Emmott, Corriere della Sera 25/8/2009, 25 agosto 2009
Il petrolio costa (di nuovo) troppo Ma gli scienziati puniranno l’Opec. Corriere della Sera, martedì 25 agosto 2009 L’economia ha ripreso a girare in tutto il mondo, o almeno sono questi i segnali più evidenti, anche se né l’Italia né la Gran Bretagna sono riuscite ad agganciare i livelli positivi del Pil registrati in Francia, Germania e Giappone
Il petrolio costa (di nuovo) troppo Ma gli scienziati puniranno l’Opec. Corriere della Sera, martedì 25 agosto 2009 L’economia ha ripreso a girare in tutto il mondo, o almeno sono questi i segnali più evidenti, anche se né l’Italia né la Gran Bretagna sono riuscite ad agganciare i livelli positivi del Pil registrati in Francia, Germania e Giappone. E la ripresa si porta dietro due fattori sorprendenti, che tali appaiono soprattutto se confrontati alle attese dichiarate da molti esperti appena un anno o addirittura sei mesi fa. Uno di questi è che il liberismo, che si affida alle forze del mercato piuttosto che agli interventi statali, gode ancora di ottima salute. L’altra sorpresa è meno piacevole: il rilancio economico si sta attuando con i prezzi del greggio arrivati già a 65-70 dollari al barile, il doppio rispetto a marzo e sette volte superiori a una decina d’anni fa. La longevità del liberismo, e della globalizzazione in generale, non deve stupire più di tanto, anche se molti avevano preconizzato o invocato la sua scomparsa. Per quanto possa essere desiderabile uno stato attivo e interventista, le risorse pubbliche di tutti i Paesi ricchi non sono in grado di finanziarlo. Le banche sono state nazionalizzate o finanziate da capitali pubblici in Paesi tanto diversi come Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania, e così pure l’industria automobilistica. Ma tutti questi Paesi non vedono l’ora di vendere il loro azionariato, allo scopo di ridurre il debito pubblico. Stiamo per assistere a una nuova ondata di privatizzazioni, che si spingerà ben oltre le società recentemente nazionalizzate, se questo debito dovrà essere riportato sotto controllo. Inoltre, la globalizzazione resta forte perché tutte le principali economie del Pianeta sperano ardentemente che la ripresa dell’economia mondiale giunga a salvarle. Grazie a ciò, e grazie alle regole istituite, con appositi trattati, dall’Organizzazione mondiale del commercio, finora sono stati annunciati pochissimi tentativi di protezionismo in reazione alla crisi. Il pericolo tuttavia non è ancora completamente svanito, perché la disoccupazione è in risalita sia in Europa che in America e solleciterà la classe politica a cercare nuove soluzioni, buone o cattive che siano. L’esperienza finora ci assicura che è possibile opporre resistenza a questo pericolo. La crescita del prezzo del greggio è una storia diversa. Il prezzo è raddoppiato da marzo a oggi e non solo perché la domanda si è impennata. Anzi, le indagini svolte dalla Bank of America Securities / Merrill Lynch a Londra mostrano che la domanda globale è rimasta a 3 milioni di barili al giorno (ovvero il 4 per cento) in meno rispetto alla cifra toccata nei primi mesi del 2008, e la banca non prevede che verrà superata fino al 2011 nel migliore dei casi. No, la spiegazione non sta nella domanda, ma negli approvvigionamenti: è in atto oggi una politica risoluta da parte del cartello dei produttori petroliferi, Opec, con il sostegno della Russia, che va nel senso di una riduzione della produzione. I Paesi Opec estraggono circa il 35 per cento del petrolio globale, e la Russia vi aggiunge un ulteriore 11,5 per cento. In confronto agli altri produttori esterni all’Opec, tuttavia, solo i Paesi arabi che dominano l’Opec sono in grado di incrementare o ridurre agevolmente la produzione e possiedono i giacimenti petroliferi meno costosi al mondo. Così, nel momento in cui la domanda globale del petrolio è scesa di 3 milioni di barili al giorno, questi Paesi hanno tagliato la produzione di 5 milioni di barili al giorno (o del 15 per cento) per mantenere alti i prezzi. E hanno inoltre bloccato gli investimenti delle multinazionali del petrolio presso i loro giacimenti, dirottandole verso località dove lo sfruttamento del sottosuolo è molto più costoso. A meno che i Paesi Opec, sotto la guida dell’Arabia Saudita, non decidano di moderare la loro avidità e di incrementare la produzione per far scendere i prezzi, le conseguenze potrebbero essere tre: la prima è che la ripresa economica, già intralciata dalla previsione di un fisco più ingordo, verrà ritardata ancora di più dall’elevata bolletta energetica. La seconda è che i Paesi produttori di petrolio come Russia e Venezuela potrebbero diventare sempre più intrattabili sotto il profilo politico, proprio perché gli alti prezzi del petrolio rimpinguano le loro tesorerie, rendendoli più arroganti. La terza, però, si dimostrerà più interessante nel lungo termine: ci sarà difatti una spinta enorme verso la ricerca e lo sviluppo di auto elettriche, di fonti energetiche rinnovabili nel solare e nel nucleare e nuove alternative ai carburanti fossili. In questo momento, gli analisti non prevedono che le automobili elettriche e le fonti energetiche alternative avranno un forte impatto fino al 2020 o al 2030. Ma se i prezzi degli idrocarburi si manterranno a livelli elevati, la ricerca di nuove forme di approvvigionamento ne trarrà nuovo slancio. Effetto, questo, favorito anche dalla globalizzazione e dal libero mercato: oggi centinaia di migliaia, forse milioni di scienziati e ingegneri sono al lavoro in Cina, Giappone, Europa, America e non vedono l’ora di trasformare e innovare la tecnologia energetica e automobilistica. Proprio come si sono viste trasformazioni rapidissime e impensate nell’elettronica, nei computer e nella telefonia mobile, lo stesso potrebbe accadere nel settore energetico e automobilistico, se l’Opec dovesse insistere nella sua politica di tener alto il prezzo del petrolio. Bill Emmott