Pietro Calvisi, il manifesto, 23/8/2009, 23 agosto 2009
Lo stress degli immigrati nel limbo senza permessi - «Non si vive e non si muore». Queste parole, ripetute da quasi tutti i migranti incontrati a Malta, descrivono la situazione di incertezza in cui vivono migliaia di persone ospitate nei «centri aperti» presenti sull’isola
Lo stress degli immigrati nel limbo senza permessi - «Non si vive e non si muore». Queste parole, ripetute da quasi tutti i migranti incontrati a Malta, descrivono la situazione di incertezza in cui vivono migliaia di persone ospitate nei «centri aperti» presenti sull’isola. Il governo della Valletta gestisce l’immigrazione in maniera del tutto diversa dall’Italia. Appena i migranti arrivano sull’isola o sono soccorsi in mare dalla marina maltese vengono subito rinchiusi nei cosiddetti «close detention centre» (centri di detenzione chiusi), vere e proprie carceri dove possono rimanere fino a 18 mesi. In molti casi, soprattutto per quanto riguarda i richiedenti asilo, le sbarre del centro si aprono già dopo 6 mesi. Nell’isola esistono 4 «centri chiusi», tre operativi e uno in ristrutturazione. Una volta rilasciati, i migranti saranno ospitati negli «open centre» messi a disposizione dal governo, dove, ufficialmente, in maniera temporanea si può alloggiare senza alcuna restrizione di movimento. Uno dei più popolati si trova a Marsa, a qualche decina di chilometri dalla capitale. Qui i residenti registrati, tutti rigorosamente uomini, sono circa 700 mentre secondo lo stesso responsabile della struttura, il ghanese Ahmed Bugri, sarebbero oltre «1100 le persone che usufruiscono degli alloggi». Il motivo di tale affollamento, spiega Bugri, è che «il centro si trova nel centro dell’isola ed ben collegato da tanti mezzi, è una struttura coperta e non una tendopoli come la maggior parte degli altri centri, e al suo interno ospita dei piccoli bazar e ristoranti, con prodotti tipici dei vari paesi di provenienza, dove i migranti creano un po’ di socializzazione». Seppur l’impegno degli operatori sia riconosciuto da tutti gli ospiti, le condizioni di vita a Marsa sono difficili soprattutto per quanto riguarda il morale delle persone, profondamente depresse e stressate. Quasi nessuno ha trovato lavoro e lo Stato garantisce per vivere un sussidio di quasi 140 euro al mese a persona. «La barca dove mi trovavo si era fermata perché era finita la benzina e poi siamo stati soccorsi dalla marina maltese. Era il 25 giugno del 2005», racconta Abdallah, somalo di Mogadiscio, che da quattro anni aspetta il permesso di rifugiato. «Dopo tutto questo tempo, di cui un anno passato in un centro di detenzione, sono stanco di vivere così. Qui è peggio che stare in Somalia, perché nel mio paese si può vivere o morire. Mentre a Malta né vivi né muori. una situazione di stallo pesantissima da affrontare soprattutto dal punto di vista mentale. Piuttosto che continuare a stare così preferisco tornare a Mogadiscio, e se devo combattere e rischiare la vita per sopravvivere sono disposto a farlo». Anche Adam aspetta ancora i documenti: lui è arrivato dalla Liberia nel 2004, ha passato un anno nel centro di detenzione di Floriana. «Siamo brava gente, venuta per lavorare e non per rubare o uccidere - dice - chiediamo al governo maltese solo di avere i documenti con cui poi trovare lavoro». Lo stress mentale porta anche a forti tensioni fra le varie etnie, creando una guerra fra poveri difficile da gestire. A Marsa vivono migranti che provengono da tutta l’Africa, ma anche dall’Asia centrale. Le comunità più numerose sono quelle somala, eritrea e sudanese, tutte popolazioni colpite da crisi umanitarie dovute alla guerra. Ma secondo gli altri gruppi etnici, in particolare dell’Africa occidentale, il governo maltese concederebbe con maggior facilità lo status di rifugiato agli originari del corno d’Africa che agli altri. «Mi hanno salvato dal mare, portandomi a Malta - ha detto Samuel, 34 anni del Togo - poi però mi hanno rinchiuso in una cella per 18 mesi e quando sono uscito la punizione si è aggravata perché non mi sono stati concessi i documenti. Vivo da oltre un anno in condizioni simili a quelle degli animali. Non abbiamo lavoro, anzi non possiamo lavorare perché non abbiamo i documenti. Questa non è vita. Il razzismo economico e le diseguaglianze che viviamo nei nostri paesi di origine non sono meno gravi dei problemi legati alla guerra. Dico questo perché noi dell’Africa occidentale siamo discriminati anche nei confronti degli altri immigrati, in particolare dei somali. Per loro ci sono tutte le attenzioni, i documenti e i permessi che invece vengono negati a noi altri. I somali combattono fra di loro. Nessuno li ha attaccati. Io non gli faccio la guerra. E allora perché devo pagare questa condizione al posto loro? In Ghana o in Togo c’è la pace. Ma hai mai visto in che situazione vive la gente? Anche senza la guerra viviamo in condizioni difficili di povertà». Denunce pesanti dettate soprattutto dallo stress. Bisogna tuttavia tenere conto che Malta, con i suoi 400mila abitanti, è pur sempre un stato con limitate disponibilità di mezzi e economie. «Lo scorso anno - spiega Darrell Pace, portavoce del ministro dell’Interno Carmelo Bonnici - sono giunti sull’isola 2700 migranti, metre fra il marzo del 2008 e quello del 2009 gli arrivi sono stati 3500, poco meno dell’1% della popolazione nazionale. come se in Italia fossero arrivate quasi 600mila persone».